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dalla manía. Di che il Tasso ha pur fatto esperienza in sè troppo e la lettera di Dante ad Arrigo VII spira furore e ferocia. Che le vittorie d'un conquistatore di tutta l'Italia, e la desolazione di più che mezzi gli abitatori suoi, e lo sterminio di alcune città bisognassero a liberarla dalle perpetue e civili carnificine, e assicurare a' nepoti« l'eredità della pace (1) » era verità che Dante sentiva, vedeva, e predicava con sapienza, e fortezza degna degli amatori non evirati della loro patria. Fors' era severo assai troppo contro a Firenze. Comunque si fosse, questo di Dante non poteva a' Fiorentini parere amore di patria. E se mentre oggi uno li chiama a far pianto su le parole soavi del Convito, un taluno intuonasse la lettera ad Arrigo VII, proromperebbero, invece di lagrime, in fremiti, e peggio le donne. E a dirne il vero, a me pare che l'amore ardente, inquieto, e perplesso degli Italiani per la loro patria, sia malarrivato a' di nostri, perchè in essi è passione agitata di gelosia, di vanità e di mollezza, e di querula chiacchiera femminile.

CXI. La lettera ad Arrigo VII fu scritta in luglio nel 1311 e allorchè Dante aveva da quarantasei anni d'età; e secondo il suo sistema e i computi di Bayle (2), non finivano undici mesi da che era uscito di giovinezza. Fosse ch' ei si desse a dettare il Convito di pianta; o solamente, com' è più verosimile, mettesse insieme e allargasse con ordine e stile molte questioni, da lui tocche e abbozzate in più tempi diversi, e le intrecciasse al commento delle sue canzoni amorose e che in fatti pare ideato siccome appiglio a filosofiche di

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squisizioni d'ogni maniera certo è che per quel suo compartimento delle quattro età del mortale ei sino a tutto l'anno quarantesimoquinto della sua vita tenevasi giovine (1), onde a volere intendere le parole con rigore grammaticale, la giovinezza GIA' trapassata (2) di Dante mentre scriveva le prime pagine del Convito, conviene meno all'anno quarantesimosesto, che al quarantesimottavo. Ed era il 1515; e Arrigo morì; I' Imperio restò vacante; e il papa Guascone nè più nè meno si dichiarò Imperadore da sè (3). E certo anche la apologia veduta da Leonardo, ove Dante facevasi merito di non essersi ritrovato con l'esercito imperiale sotto Firenze, non fu scritta innanzi che Arrigo morisse. Or a che mai le nuove discolpe, se non per avere pace da' guai dell' esilio? Or lo stesso motivo, e appunto nel tempo medesimo ch' ei non vedeva nè l'ombra pure di nuove speranze per le riforme d'Italia, non potrebbe averlo indotto a innestare tra bene e male quella perorazione mansuetissima nel Convito quand' ei pur dice ch' era intrapreso appunto in quel tempo? Odo i valenti esclamare che io spargo su la fama di Dante le macchie di poca fermezza e simulazione. Pur si ricordino che io nell'uomo non guardo il Dio. Frattanto essi guardino attorno: e, se pur osano, anche un po' dentro nella loro coscienza; e rispondano Quanti sono a' di nostri i mortali che disperando delle cose pubbliche non si siano riconsigliati a far meglio del peggio? Dante si stava alle strette « o di de

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(3) « Nos, tam ex superioritate, quam ad Imperium non est-dubium nos habere, quam ex potestate, in qua, vacante Imperio, Imperatori succedimus. » Pastorale Clementina, presso il Muratori; — e il Continuatore del Baronio, Annali Ecclesiastici, 1312-1314.

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porre ogni vergogna e stendere la mano all' altrui pane, e tremare per ogni vena (1) › - o spianarsi la via del ritorno a' suoi tetti. Che s' ei persisteva in disperatissima pertinacia, doveva anche deporre ogni domestica carità, e lasciare a' suoi figliuoli e a' nepoti perpetua l'eredità dell' esilio. Ad essi ei pensava, allorquando sperò che il Signore di Verona consolerebbe la posterità, non foss' altro, de' ghibellini (2). Pur mentre che il giovinetto non era cresciuto terribile, la Germania aveva due Cesari che per molti anni si guerreggiarono il titolo; e i papi arrogandosi i diritti della corona imperiale, lasciavano che il re Roberto n'usasse a suo beneplacito. Onde il Muratori trovò che nell' anno 1314, « pareva che avesse da finire il mondo per la fazion ghibellina in Italia (5). »

CXII. E non pure il principio, ma quanto abbiamo del libro del Convito pare dettato dalla necessità di quel tempo, e ordinato a produrre un' onesta riconciliazione fra l'esule e la repubblica. Non però mentre cede alla fortuna, s'umilia a' piedi degli uomini. Non rinnega la sua professione di fede in politica, ma la ravvolge di metafisica; e il suo fierissimo abborrimento a' governi popolari adonestasi solto altissime lodi alla letteratura e al sapere, e disprezzo per l'ignoranza della moltitudine destinata dalla natura al lavoro, e privata d'agio e di mente e di libertà da meditare su gli ordini della vita civile (4). Delle Repubbliche non condanna l'istituzione, nè le pospone al potere assoluto pur quasi di fuga ne tocca gl' inconvenienti; e fra gli altri

(1) Purg. x1, 135-141.

(2) Qui dietro sez. LXXIX.

(3) Annali, an. cit.

Convito, pag. 94, e spesso.

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l'elezione di magistrati i quali non furono dagli studi, nè dalla esperienza di lunga vita educati ad amministrare le leggi. Questa singulare virtù, cioè giustizia, fu veduta per gli antichi filosofi apparire perfetta in questa età (la vecchiaia); e il reggimento delle città commisero in quelli che in questa età erano; e però il collegio degli rettori fu detto Senato. O misera, misera patria mia! Quanta pietà mi stringe per te, qualvolta leggo, qualvolta scrivo cosa che a reggimento civile abbia rispetto! Ma però che di giustizia nel penultimo trattato di questo libro si tratterà, basti qui al presente questo poco aver toccato di quella (1) » - L'autorità imperiale fu sempre l'altissimo, unico, eterno principio d'ogni politico sistema di Dante; e qualvolta ei v' alluda, tu puoi raccogliere i semi del suo libro intorno alla Monarchia, diretto tutto ad abbattere i Re-Sacerdoti. Pur nel Convito parla raramente della Chiesa di Roma, e non mai senza venerazione. Esalta il diritto imperiale in guisa che riesce impossibile ad esercitarsi; e mentre adula la vanità di tutta l'Italia, la sua teoria ripugnando allo stato dell' Europa in que' tempi, e alla natura invariabile delle cose, non poteva parere nè pure a' nemici suoi, se non una delle speculazioni innocenti, frequentissime anche a' di nostri, che ti promettono di ridurre a non mutabile felicità questa terra con ogni futura generazione delle sue bestie umane e ferine, e la lasciano andare, com'è andata, ed andrà, ÆTERNO PERCITA MOTU. Primamente, stando al Convito all' Imperadore doveva obbedire tutto il genere umano (2). Inoltre

l'imperio spettava agl' Italiani, « però che più dolce natura signoreggiando, e più forte in soste

(1) Convito, pag. 270.
(2) Pag. 200, e altrove.

nendo, e più sottile in acquistando, nè fu, nè fia, che quella della gente latina, siccome per isperienza si può vedere, e massimamente quello popolo santo, nel quale l'alto sangue troiano era mischiato, cioè Roma: Iddio quello elesse a quello ufficio — onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente; ma da divina provvidenza ch'è sopra ogni ragione (1). » Per ultimo L'autorità impe

riale deve reggere il mondo in compagnia dell' autorità filosofica; da che,« forza senza filosofia, riesce pericolosa; e filosofia senza forza, pare quasi debole, non per sè, ma per la disordinanza della gente. Congiungasi la filosofica autorità colla imperiale, a bene e perfettamente reggere. Û miseri, che al presente reggete! E o miseri, che retti siete! Chè nulla filosofica autorità si congiugne con li vostri reggimenti, nè per proprio studio, nè per consiglio.

Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi, voi, che le verghe deʼreggimenti d'Italia prese avete. E dico a voi, Carlo, e Federigo regi; e voi altri principi, e tiranni e guardate, chi allato vi siede per consiglio : e annumerate quante volte il dì questo fine della umana vita per li vostri consiglieri v'è additato. Meglio sarebbe, voi, come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra le cose vilissime (2).

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CXIII. Quest'ultima perorazione convertesi nella Commedia in poesia profetica, a minacciare uno per uno liberamente i re della terra (3). Pur nel Convito l'autore serbando la stessa imparzialità, dissimula il nome del re Roberto, ch'era tiranno sotto

1) Pag. 199.

(2) Convito, pag. 206-207.

(3) Parad. xix, 104-148, e qui dietro sez. Lv.

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