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imitando l'amico suo Machinardo Pagani Signore d'Imola e di Faenza-« uomo savissimo, nemico dei Pastori di Santa Chiesa; guelfo in Toscana, e ghibellino in Romagna (1) » — e il poeta se ne adirava:

Ben faranno i Pagan da che il Demonio

Lor sen girà (2).

La Romagna per donazioni imperiali, se apocrife o vere non so, ma d'antichissima prescrizione, era fatta provincia ecclesiastica; onde molti professandosi a un tempo vassalli e ribelli, se la usurpavano a rischio di scomuniche rivocate e rifulminate secondo che ciascheduno dava o negava armi e danaro a' pontefici. Non si tosto cacciò i Traversari, Guido da Polenta, per acquistarsi diritto legittimo a governare i suoi concittadini, s'adoperò di ridurre tutto il paese

Fra il Po, e il monte e la marina e il Reno (3),

sotto la potestà temporale de' Vicari di Cristo (4). Se non che dopo molti anni di quieto dominio, fu intimato a lui e a tutti gli altri di rendere le fortezze delle città al capitano generale di papa Nicolò IV. I figliuoli di Guido, introdotte occultamente in Ravenna le genti mandate da' congiurati di Romagna, mossero il popolo a sedizione, e il luogotenente pontificio rese l'armi e rimase prigione de' sudditi ch'egli era mandato a correggere (5). Un arcivescovo

(1) Commento del Boccaccio, di Pietro Dante, e dell' Anonimo al verso citato. Ed. Fior.

(2) Purg. xiv, 118.

(3) Ivi, vers. 92.

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Annali Cesenati e Forlivesi, Script. Rer. Ital., vol. XIV, pag. 1104. - Vol. XXII, pag. 139 dove trovo l'anno 1265, forse errore di stampa e mi sono attenuto al 1275, su l'autorità del Muratori, quantunque alleghi storie più tarde.

(5) Annali d'Ital. 1290.

dopo cinque anni fu capitano più fortunato, ed espugnata Ravenna, spianò le case di Guido e de' suoi figliuoli; e li rilegò, richiamando gli esuli loro av versari a preporli al governo (1). Pur que'da Polenta non indugiarono a racquistarlo, poichè nel 1300, quando il poeta parlava con l'ombra del conte di Montefeltro, v'erano da più anni, e padroni anche di Cervia.

CXLIX. Scarse sono e disperse nelle antiche cronache romagnuole le notizie di Guido. La storia di Ravenna, composta da tre secoli dopo da Girolamo Rossi, mi sembra opera d' egregio scrittore (2). Se non che spesso per troppa ambizione di narrare le faccende d'un municipio, come se fossero vicissitudini d'un impero, disanima l'altrui fede; e mirando al grande corre al ridicolo, tanto più presto quanto più affetta la latinità de'Romani quando erano signori del mondo. Soffermasi intorno alle rimotissime antichità e all' epoche degli esarchi ravviluppate nelle vanaglorie de' Bisantini; e guarda ritroso ai tempi ne' quali pur nondimeno l'impeto subitaneo degli Italiani dalla barbarie alla civiltà ed alle lettere somministra sul genere umano osservazioni singolarissime, e da non potersi spiare in altre epoche. Inoltre l'autore fu medico di papa Clemente VIII; e il libro ebbe per editore il senato della città sotto gli occhi de' cardinali Legati quando la loro dominazione era fatta assoluta e perpetua. Quindi i pontefici dell'età di Dante sono rappresentati padri clementi e re sapientissimi; e i principi, che si ripar

(1) Annali di Forlì, vol. cit., pag. 166, e di Cesena, pag. 1111 - e negli Annali d'Italia, sotto il 1295.

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L'autore la

(2) HYERONIMI, RUBEI, Hist. Rav. lib. x, ann. 1571. ripubblicò ampliata, ma non m'è toccato mai di vederla.

tivano gran parte d'Italia, sembrano caporali di masnade rei del patibolo. E pur erano combattenti indomabili, e maestri solenni di quante arti procacciano nome d'uomo di stato a chi più sa valersene. Guerreggiavano con pochi soldati talor traditori, e spesso codardi. Si mantenevano indipendenti, pur confessando di non averne diritto. Questo esempio perpetuo di disobbedienza al loro sovrano, giustificava la moltitudine a sedizioni contr'essi; onde n'erano cacciati feriti ed imprigionati; e Guido e i suoi figliuoli più d'una volta (1): e nondimeno continuavano a dominarla. Erano quasi tutti educati sino dalla loro gioventù nelle leggi, e andavano a risiedere per alcun tempo da giudici nelle altre città (2), quando tutte a scansare i pericoli degli amori e degli odii cittadineschi, davano ad amministrare le ragioni criminali e civili a' forestieri i quali spesso facevano inoltre da consiglieri politici e mediatori fra que' piccoli stati, e talor gli occupavano. Fra i pericoli delle loro risse mortali e le usurpazioni reciproche, i tiranni Romagnuoli si stavano alle strette fra i ghibellini potenti di Lombardia, e i guelfi in Toscana che li sollecitavano federati nella contesa fra il sacerdozio e l'impero; e dalla quale, finch' era indecisa, pendeva il loro potere: e temendo il vincitore, schermivansi da quelle leghe con temperamenti più malagevoli a trattarsi che l'armi.

CL. Per doti sì fatte, Guido da Polenta acquistò e protrasse la signoria per cinquant'anni, pur promovendo a un' ora le lettere che gli erano domestiche più forse che ad altro tiranno di quella età. Non sopravvisse al poeta se non per lodarlo sopra la

(1) Annali di Forlì, pag. 163-
(2) Annali di Cesena, pag. 1107.

e di Cesena, pag. 1110-1134.

bara, e fare alla sua sepoltura «singolare onore a Bullo fatto da Ottaviano Cesare in qua; però che a guisa di poeta fu onorato con libri e con moltitudine di dottori di scienzia (1). » — Gli alzò anche un avello, descritto da chi lo vide egregio atque eminenti tumulo lapide quadrato et amussim constructo, compluribus insuper egregiis carminibus inciso insignitoque (2) -quantunque altri n' abbia fatto poi merito al padre del cardinal Bembo, che nel 1483 lo rabbelli. Due Fiorentini Legati nella provincia dopo ducent'anni lo ristorarono, a spese dei Ravennati; e un altro non è ancor mezzo secolo lo rifece con magnificenza, meravigliosa a chiunque ne legge la descrizione (3); non così a chi lo guarda, e vi trova la vanità degli uomini che per aggiungere i loro miseri nomi ne' monumenti su' quali parla l'eternità, li rimutano, e annientano le reliquie grate alla storia. Non prima Dante fu sotterrato, che Guido fuggito o chiamato in Bologna, vi restò esule; e Ostasio da Polenta Signore di Cervia ammazzò l'arcivescovo loro congiunto ch'era a parte del governo in Ravenna, e il vecchio mori fuggiasco (4). Non però i figli suoi si rimasero dall'opporsi al Legato di Papa Giovanni XXII, che andava a scomunicarvi le ossa di Dante (5). Ma Dante non aveva forse potuto ridurre il suo cuore a tanto d' indulgenza da perdonare al vecchio Guido lo studio di non parteggiare fra' successori di Cesare e di San Pietro se non quanto importava a' giornalieri interessi del suo dominio; e non trovo che nel 1318 ei s'aggiungesse alla lega de' ghibellini. Che altri motivi

(1) Chiose dell'Anonimo, Parad. xvi, 97-99.

(2) MANETTI, presso il Mehus, Vita di D.

(5) Firenze, 1780.

(4) Annali d'Italia, 1522.

(5) Vedi dietro, sez. XIII.

non inducessero Dante a rimeritare di premio si scarso la generosità dell'ospite suo, chi mai può dirlo, o negarlo? pur chi rispondesse ch'ei tacque a caso, s'ingannerebbe. L'episodio di Francesca d'Arimino, figliuola di Guido, potrebbe addursi in prova di poco rispetto alla fama di quella casa, se non si manifestasse scritto piuttosto per gratitudine a consolare il padre e i fratelli d'una sciagura che non poteva occultarsi. La divinità della poesia le scemò l'infamia esagerata dallo scandalo popolare. Quell'amore è narrato con arte attentissima a non lasciar pensare all'incesto. La colpa è purificata dall'ardore della passione, e la verecondia abbellisce la confessione della libidine; e in tutti que' versi la compassione pare l'unica Musa

Francesca, i tuoi martiri

A lagrimar mi fanno tristo e pio.

CLI. Taluni idearono che il poeta dicesse « tristo, per proprio rimorso di simili colpe, e conseguentemente pel meritato ugual gastigo: pio, per compassione a quelle anime (1).» Altri fa lungo discorso a trovare « Come tristo possa importare empio, a far bellissimo contrapposto con pio: venendo a essere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e dovuta miseria dei dannati; del che nel ventesimo di questa cantica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli fa dire, che è sciocchezza averne pietà, e somma scelleraggine aver sentimenti contrarii al divino giudicio, che li punisce (2): e pio poteva dirsi il poeta, per non poter vincere la naturale violenza di quell'affetto, che contro a sua voglia lo costringeva a la

(1) LOMBARDI, Inf. v, commento a' versi 72-112-197. (2) Di ciò è fatto parola, sez. XLIX.

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