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poco più innanzi che Dante morisse (1). Or sia ch'ei potesse d'indi in poi scrivere tutta quanta la terza. Ma altresì il parentado di Cane della Scala col Signore di Feltre, che diede preponderanza alla fazione ghibellina sino a' confini del Friuli, è indicato sin da principio della prima cantica e avvenne nel 1316 (2). Pertanto chiunque persiste e contende che l'opera non era ritoccata materialmente a norma degli avvenimenti, s'assume di dimostrare che poco più di quattr’anni bastassero a comporla dal primo all'ultimo verso. A me invece risulta che anche i passi i quali, più che agli avvenimenti, guardavano alle dottrine di religione, soggiacquero, e se l'autore fosse vissuto, sarebbero soggiaciuti a nuove alterazioni e più ardite. Le guerre civili inferocivano verso la fine della sua vita, tanto che se ei tardava un anno a morire, sarebbe stato cacciato anche dal suo ricovero di Ravenna (3). Le sue disavventure esacerbavano le sue passioni. Le pubbliche calamità provocavano più veementi invettive contro a' pontefici. Mezza l'Italia speravasi in merito il Paradiso se avesse distrutto l'altra metà, finchè gli anatemi vinsero l'armi (4). Frattanto la resistenza de' ghibellini e le imprese di Cane della Scala accrescevano ira e speranza e furore al poeta, e allora sentivasi più fortemente ispirato a riordinare per mezzo di celesti rivelazioni la religione di Cristo e l'Italia. A dirne il vero, ei tenevasi uno de' pochi degni dell'amicizia dello Spirito Santo; e privilegiato di intelletto e sapienza per non esser diretto mai dalle leggi umane, ma per dirigerle (5). Scolpavasi della

(1) Sez. XXI.

(2) Sez. LXXXVIII.

(3) Sez. CL.

(4) MURATORI, Annali d'Italia, 1319-1342, e qui appresso.

(5) « Quod si cuiquam, quod asseritur, videatur indignum,

taccia di tanta arroganza, non pure co' nomi di Riccardo da San Vittore, e di Bernardo, e di Agostino, ma di San Paolo (1) che non per tanto accenna più che non narra d'essere stato rapito al terzo cielo (2); e il non averne parlato per lunghissimo tempo gli merita venerazione; il parlare di sè, senza pur mai dire lo, lo libera d'ogni sospetto di vanità ; e il dubitarne e il mostrarsene attonito dopo quattordici anni, e tuttavia silenzioso di quanto vide e ascolto, occupa l'anima de' credenti del terrore sublime di misteri potenti finchè si veggono

Splendere occulti nell'immenso lume.

Se non che furono profanati dagli innesti dell'antica filosofia pervertita anch'essa per via di sofismi ad assoggettare la fede a nuove dottrine e le strane teologie che d'ogni maniera si insignorirono de' primi dogmi, assunsero molti morenti fra gli immortali a santificarle con più distinte rivelazioni che perciò vennero succedendosi sempre più invereconde.

CLXV. Così una mitologia nuova usurpava sembianze di verità dalla nuova religione, finchè la più poeticamente fantastica, e la più storica insieme e più sacra e più filosofica delle visioni, crebbe nel

Spiritum Sanctum audiat amicitiæ suæ participes quosdam homines profitentem. Nam in Sapientia de sapientia legitur: Quoniam infinitus thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt, participes facti sunt amicitiæ Dei. Sed habet imperitia vulgi sine discretione judicium. Nam intellectus ac ratione dotati nullis consuetudinis astringimur. Nec mirum: cum nec ipsi legibus, sed ipsis leges potius dirigantur. » Epist. Ded. al Parad., pag. 478. (1) Loc. cit.

(2) Scio hominem in Christo ante annos quatuordecim (sive in corpore, sive extra corpus, nescio: Deus scit), raptum hujusmodi usque ad tertium cœlum. Et scio hujusmodi hominem (sive in corpore, sive extra corpus nescio: Deus scit), quoniam raptus est in Paradisum et audivit arcana verba, quæ non licet homini loqui. Corinth. Sez. xií, 2-4.

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secolo e nella mente di Dante. Ma ch'ei s'arricchisse di un tesoro di belle invenzioni trovate primamente da un Alberigo, novizzo Benedettino, che viaggiò anch'esso negli altri mondi, parmi visione puerile d'alcuni dotti ecclesiastici, che gareggiando a cogliere in furto il poeta, stanno a consulta con santi Padri, Cardinali e Pontefici d'ogni età e d'ogni nota. Non però ne interrogarono mai nè gli Apostoli nè i Profeti, o non foss'altro, le concordanze della Scrittura (1). Dante si duole che i preti, per poca vocazione d'interpretare la parola divina, scomunicassero i morti con cerimonie crudeli a' cadaveri (2); e gli esce la grande immagine

Orribil furon li peccati miei;

Ma la bontà infinita ha si gran braccia,
Che prende ciò che si rivolve a lei.

Or questa non è forse sentenza frequente, e ricca di poesia ne' libri mosaici e ne' salmi, e negli evangeli? e nondimeno l'annotatore recente di Alberigo registra que' versi quasi si fossero traduzione delle frasi fratesche, Nullus hominum de magnitudine scelerum suorum desperet, quia omnia in pœnitentia expiantur (3). Ma se quest'Alberigo non si fosse occultato per secoli dentro gli archivii per abbellirsi«< con la scrittura assai antica, ei caratteri guasti da troppa età (4), » sì che gli antiquarii facessero echeggiare per tutta Europa il TROVAI d'Archimede, oggi ei starebbesi inosservato con gli altri della sua stampa ne' volumi delle vite de'santi, pronte da leggersi in molte edizioni e in

(1) CANCELLIER!, intorno alla questione sopra la originalità del Poema di Dante, Roma, 1814 e gli opuscoli del Bottari e del Costanzo nelle giunte alle Ediz. Rom. e Pad.

(2) Purg. 11, 121.

(3) L'editore romano al cap. xvш d'Alberico.

Lett. del Bottari, Ediz. Padov., vol. V, pag. 148.

più lingue. La loro testimonianza è giustificata dai canoni di critica storica, e questo del Tiraboschi «Che a ciò che uno assicura di avere veduto con gli occhi proprii non si nieghi fede così di leggieri (1). Adunque non rido della semplicità di popoli mezzo barbari, nè accuserò d'impostura gli storici che scrivevano per que' secoli. E ne desumo - Che Dante tendendo a riformare la religione, importavagli di narrare ch' ei vide san Pietro circondargli tre volte la fronte di luce, e consacrarlo alla missione apostolica di san Paolo. (2) Le sue rivelazioni de' regni de'morti, a riescire potenti sul mondo d'allora avevano da parere non immaginarie, ma vere; e non tanto mirabilmente poetiche, quanto religiosamente autentiche al pari delle predicate alla moltitudine nelle chiese, e talor descritte negli annali de' regni. Una visione, avvenuta cent' anni dopo l'età d'Alberigo, narravala poco innanzi che Dante nascesse, il più veritiero de' monaci che mai scrivessero storia. Somiglia alle altre nell' invenzione e nel metodo : bensì corre meglio circostanziata. Non è di fanciullo rapito da una colomba, come Alberigo; ma d'uomo che va a parlare a' morti nella settimana santa, e a traverso d'un gran deserto, come il poeta (3).

CLXVI. Anche il sistema allegorico nella Commedia, tanto diverso dalla semplicità, l'unità, e l'evidenza pittorica delle significazioni della greca mitologia, benchè sembri invenzione della teologia gotica della età ferrea, pur nondimeno ha profonde e bizzarre le sue radici ne' libri apostolici: e più assai nelle Epistole, dove, i due figliuoli di Abramo, l'uno nato

(1) Stor. della Lett., vol. III, pag. 31-32, ediz. Pis. (2) Vedi, sez. XLII е XLIV.

MATH. PARIS, Historia Angliæ ad an. 1196.

di donna serva, l'altro di libera; l'uno secondo la carne, l'altro secondo la legge, figurano il Vecchio Testamento, ed il Nuovo e la serva è figurata dal monte Sinai, perchè era vicino alla città di Gerusalemme soggetta a' Romani; e per madre libera intendesi la Gerusalemme del cielo (1). E Dante procede così complicando i misteri allegorici in guise efficaci forse alla religione, ma pericolose alla poesia. Lascierei volentieri, con le altre tutte a termini dove le trovo, anche l'allegoria della selva che introduce al poema, se alcune sue forme e significazioni esse pure non s'accordassero letteralmente alla missione evangelica di san Paolo. I primi interpreti (non perchè non vedessero, ma non s' attentavano di additare, sin da' primi versi della Commedia, i nomi di personaggi potenti e il vero pericoloso) spiegarono per la via smarrita nella selva oscura, gli errori delle passioni del poeta; e per la Lonza, il Leone e la Lupa, le idee generali della libidine, dell'ambizione, e dell' avarizia, che fino allora lo avevano disviato dalla religione, e dalla sapienza. Primo Gasparo Gozzi s'accorse «< che l'invenzione aveva più del grande di quello ch' altri credevasi; » e stimando tuttavia che la selva significasse gli errori della vita di Dante intendeva in quelle tre fiere i vizi delle città democratiche e dell'Italia (2). Questa opinione benchè perplessa, e in parte non vera, fu come barlume alla verità. Poi venne chi la travide, e ideò che la

(1) Quoniam Abraham duos filios habuit: unum de ancilla, et unum de libera. Sed qui de ancilla, secundum carnem natus est: qui autem de libera, per repromissionem:

Quæ sunt per allegoriam dicta: Hæc enim sunt duo testamenta. Unum quidem in monte Sina in servitutem generans: quæ est Agar: Sina enim mons est in Arabia qui conjunctus est ei quæ nunc est Jerusalem, et servit cum filiis suis. Illa autem, quæ sursum est Jerusalem, libera est; quæ est mater nostra. Galat. iv, 22-26. (2) Gozzi, Difesa di Dante, Ediz. Zatta.

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