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Lonza fosse Firenze, e il Leone il regno di Francia, e la Lupa la curia di Roma (1): se non che interpretò che la selva dalla quale il poeta voleva uscire fosse la pubblica reggenza fiorentina; » ond' altri rispose: Adunque volendo egli uscire dalla reggenza fiorentina che lo cacciò, gli s'opposero Firenze, Roma, e il reame di Francia (2)» Il riso provocato da una assurda applicazione annientò anche le vere nella nuova interpretazione; e ogni critico si raffrettò a professare l'antica e abbellirla : di che vedi qui a piedi (3).

CLXVII. Non però mostrasi men tenebrosa, e si rimane sospesa nel primo canto, e non che rispondere nè al progresso nè al termine del poema o alla storia che gli è fondamento, cozza con le altre parti di quella medesima allegoria. Quindi il Gozzi non sapeva darsi ad intendere « come il Veltro >> (che nel senso letterale e naturale e poetico e storico addita evidentemente Cane della Scala) « Principe e signore d'una larga nazione, e profeticamente disegnato, dovesse con l'armi sue cacciare di città in città e rimettere in inferno una Lupa che figurava l'avarizia di Dante (4) » Strane cose >> - esclama oggi l'autore d'un dotto libretto-«su le quali per cinque secoli non era caduto sospetto! E sa Dio quale

(1) DIONISI, Aned. I, seg.

LOMBARDI, Esame delle pretese Correzioni del Dionisi, cap. 11. (3) « La via verace fu smarrita da Dante alla morte di Beatrice (come osservano il Biagioli e lo Scolari) avvenuta nel 1290. Perduta la virtuosa sua amica, rimasto in balía di se stesso, con un vuoto immenso nel cuore, preso da false speranze di bene, si abbandonò a' piaceri de' sensi, secondo il Biagioli, o alle pubbliche faccende, secondo lo Scolari, che lo condussero alle amarezze estreme da lui sofferte. »> Note de' varii, Ediz. Pad. e l'esame della Divina Commedia di Giuseppe de Cesari. Introduz. al Discorso primo nelle giunte di Roma, vol. IV. (4) Loc. cit.

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somiglianza essi (gli espositori) rinvennero fra Can Grande della Scala, uom vivo e vero, ed alcune astratte e intellettive cose di morale, siccome sono i vizi e le passioni dell'animo (1) » -Infatti ove alla selva si muti il significato fantasticato dal Dionisi, e le tre fiere si abbiano per simboli di cose politiche, la sua interpretazione raccoglie e riflette lume in più versi oscuri nelle tre cantiche; e intorno a ciò le prove addotte nel nuovo libretto non hanno contrasto. Pur non è da deridere gli antichi espositori; i quali non che discernere coerenze e aderenze fra Cane della Scala, e le astratte idee di morale, non l'hanno pur mai nominato sotto que' versi. Vero è che la Lonza e il Leone e la Lupa furono spiegati sino d'allora per tre peccati mortali de' quali il poeta andava a purgarsi negli altri mondi-ma dobbiamo compiangere in que' primi commentatori la dura necessità di dissimulare ciò che sapevano, e fors' anche avevano udito da Dante. Il suo figliuolo, alla predizione che il Veltro farà morire di doglia la Lupa, pare che scriva da smemorato de quo tantum quæritur—prædicit nascere quemdam plenum sapientiæ. E un Anonimo-« Chi sia questo Veltro non è deffinito, ed è pretermesso da molti valenti uomini>>

E il Boccaccio: « Manifestamente confesso ch'io non l'intendo-ma pare intendere altro che non dica la lettera (2); o un imperadore che verrà ad abitare a Roma; o Saturno col secolo d'oro (3). » Il Veltro era anche «Cristo giudice nella fine del mondo; » ei confini de' suoi stati,

E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro,

(1) MARCHETTI, Della prima e principale allegoria del poema di Dante. Ed. Pad., vol. V, pag. 395-415.

(2) Chiose all'Inf. 1, 101, seg.

(5) Ed. Fior., vol. IV, pag. 42.

diventarono «< cieli e nuvole (1). » Onde a scoprirvi il nome del Signor di Verona bisognò il corso di ducent'anni; e n' ha merito il Velutello. Ad ogni modo di tutto quasi che abbiamo di certo nelle allusioni storiche, siamo pur debitori a que' primi commentatori; e ove mostravano d'ignorare cose note a' loro occhi, la colpa era de' tempi.

CLXVIII. Restava a pena un anno di vita al poeta, e Roberto di Napoli eletto ad opporre tutte le armi de' guelfi alla lega de' ghibellini, sollecitava Papa Giovanni XXII, di minacciare dell'interdetto i principi federati dello Scaligero. Il discorso del generoso annalista d'Italia sia qui referito, poichè, dallo stile rimesso in fuori, diresti d'intendere le ultime parole di Dante morente- «Ma perciocchè si sarebbe potuto dire, siccome in fatti si disse, che al pontefice sconveniva il mischiarsi in guerre, per invadere gli stati altrui, e poco ben sonare il far servire la religione a fini politici, mentre non appariva, che i romani pontefici avessero diritto alcuno temporale sopra Milano e sopra le altre città di Lombardia, Marca di Verona, e Toscana, mentre essi principi tenevano quelle città dall'imperio, e le conservavano per l'imperio fu anche trovato il ripiego di dar colore di religione a questa guerra. Andò pertanto ordine agl'Inquisitori di fare un processo d'eresia a Matteo Visconti e a' suoi figliuoli; e lo stesso dipoi fu fatto contro Cane della Scala, ed altri Capi dei ghibellini d'allora: i quai tutti, benchè protestassero d'essere buoni cattolici, e ubbidienti alla Chiesa nello spirituale, pure si trovarono dichiarati eretici, e fu predicata contro di loro la Croce. Insomma abusossi il re Roberto, per quanto potè, della smoderata sua

(1) Presso il Lombardi, chiose al canto cit.

autorità nella Corte pontificia, facendo far quanti passi a lui piacquero a papa Giovanni, con porgere ora motivo a noi di deplorare i tempi d'allora. Che i re e principi della terra facciano guerre, è una pension dura, ma inevitabile di questo misero mondo. In oltre, che il re Roberto tendesse a conquistare l'Italia, può aver qualche scusa. Altrettanto ancora faceano dal canto loro i ghibellini; nè questi certo nelle iniquità la cedevano ai guelfi. Ma sempre sarà da desiderare, che il Sacerdozio istituito da Dio per bene dell'anime, e per seminar la pace, non entri ad aiutare e fomentar le ambiziose voglie de' principi terreni; e molto più guardi dall'ambizione se stesso(1).»

CLXIX. A rinfiammare l'ira e il dolore di Dante, e fargli più gravi i pericoli, venne capitano dell'esercito pontificio un figliuolo di quel Carlo di Valois, mandato già da Bonifacio VIII in Firenze stipendiato da'guelfi, a diffamare il poeta, e cacciarlo con altri molti della repubblica (2). Il cardinale Poggetto, che poscia voleva dissotterrarlo dalla sepoltura, era Mentore del giovine principe, ed esecrato dal poeta esso pure come cardinale e francese e figliuolo bastardo del papa francese (3). Il concorso di queste circostanze rafferma la congettura che i vaticinii contro la Chiesa rinfierirono nel poema di Dante verso la fine della sua vita (4) e aggiunge verità alla narrazione o non osservata, o sprezzata, che a'suoi figliuoli per quasi un anno non venne fatto di apparecchiare una copia intera dell'opera (5). Ne'tredici canti del Paradiso ch' essi

(1) MURATORI, an. 1319-1520.

(2) G. VILLANI, lib. IX, 107.
(3) PETRARCA, Epist. sine tit. VII.
(4) Qui dietro, sez. CXLI.
(5) Sez. XXVI-XXVIII.

DANTE

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temevano, o dicevano smarriti, le invettive a' papi sono più libere e più veementi. Nota che in uno di que'canti san Pietro consacra il poeta, e gl' impone di evangelizzare la verità, per purificare la religione dagli adulterii »

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E tu, figliuol, che per lo mortal pondo

Ancor giù tornerai, apri la bocca,

E non asconder quel ch'io non ascondo (1).

Pur mentre ei si moriva, la fortuna imponeva ai suoi figliuoli di dissimulare. Dove e quando e per quali espedienti venisse lor fatto di palesare il pocma, non ho prova, nè indizii da ricavarne un'unica congettura. Ma le ragioni che strinsero il padre al secreto, erano più imperiose a' figliuoli, e agli ospiti suoi. La preponderanza de'papi in quegli anni fece sentire a' dittatori diversi della Romagna che erano sudditi (2); e ne seguì l'esilio, e la morte del signor di Ravenna: e bench'altri forse ne dubiti, io credo che Dante andò a chiedere i Veneziani d'aiuto, << e mori tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de' signori da Polenta con cui dimorava (3). L'indole e lo stato dell'animo di Dante in quella condizione di tempi, mi farebbero presumere vero, ch'ei si moriva accorato, perchè i Veneziani per odio a Guido loro nemico non si mossero mai dal decreto di negargli udienza (4). Se non che è circostanza aggiunta da testimonii più tardi, e amplificata da chi la ridice ascrivendola ad una guerra fra la repubblica e Guido; di che

(1) Parad. xxvII, 64-66.

(2) Annali d'Italia, 1320.
(3) G. VILLANI, lib. IX, 155.

(4) F. VILLANI, GIANNOZZO MANETTI, ed altri presso il Mehus. Vita Ambr., pag. 167-170.

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