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che sia stato mai ricordato serbavasi in Padova (1); e la traduzione, che sola da prima fu conosciuta, uscì nel 1529 in Vicenza (2). Rincrescemi, che per onore del nome, ho fatto altrove menzione, più che non meritava per sè, della diatriba famosa contro alle dottrine letterarie di Dante creduta del Machiavelli (3); -e senz'altro, anche una descrizione della peste di Firenze, del 1527, abbellita di certo amorazzo in una chiesa, gli viene attribuita indegnamente, perchè era allora per l'appunto occupato di cure pubbliche; fu mandato commissario, col Guicciardini, in Piacenza, e quasi appena tornato, ammalò a mezzo l'anno, e morì. Allo stile leccato, parrebbe scrittura del Firenzuola. L'altra intorno alla lingua anche Apostolo Zeno non prima la vide, l'ebbe in sospetto d'apocrifa, perchè s'inframmette in questioni grammaticali insorte più tardi (4). Da prima fu dal Bottari aggiunta anonima alle chiacchiere dell'Ercolano (5); ma non passarono due anni che i Fiorentini n'abbellirono il Machiavelli (6), e bastò ed oggi tutti sel credono. Ben affetta, non però li ritrae, i modi di lui, e rimase ignotissima per ducento anni agli editori dell'opere sue: parmi fattura, o m'inganno, sotterrata a fine d'essere discoperta, a contrapporre l'autorità d'un grand'uomo ad un altro. Di questa e d'altre industrie, ad alcuni grammatici fiorentini doveva forse rimordere la coscienza; ma niuno d'essi poteva, nè avrebbero mai voluto, annientare i ma

(1) CORBINELLI, lettera dedic. delle Annot., pag. 83. Ediz. citata qui dietro.

(2) Vedi ne' cataloghi delle Ediz. del Trissino, la prima del suo Castellano.

(3) Nelle Edizioni tutte degli ultimi cinquant'anni, e nelle serie Milan. de' classici, Op. Mach., vol. X, pag. 364.

(4) Note alla Bibliot. del Fontanini, vol. I, pag. 37. Venezia, 1753. (5) Ediz. del Tartini. Firenze, 1730.

Vita di Luigi Pulci, innanzi al Morgante. Firenze, 1732.

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noscritti di Dante. L'esemplare latino fu ricuperato in Padova da un Fiorentino, e stampato in Parigi da un Fiorentino, acciò che « l'originale rimasto solo ed unico dall'ingiuria del tempo, facendosi palese al mondo e comune, molti si chiarificassero che pure era il libro che scrisse Dante in prosa latina (1). Adunque l'editore per originale intendeva il testo latino, e contrapponevalo alla versione italiana che stava di fatto in sospetto d'apocrifa. Ben ei presumevalo uno di parecchi esemplari smarritisi; ma poteva egli presumere a un' ora che tutti fossero stati ricopiati da Dante, e che perciò quell' unico preservatosi dovesse pur essere autografo? E se non era, avrebbe egli a' grammatici fiorentini importato di incenerire ogni qualunque carta tracciata dalla mano di Dante, affinchè dal confronto non si potesse appurare più mai se il trattato stampato intorno alla lingua fosse o non fosse quell'opera ch' era stata composta da esso? E s'era di mano dell' autore, il Corbinelli, antiquario per vocazione, non v'avrebbe egli riconosciuto la lettera magra, lunga, e molto corretta (2),» o l'avrebbe egli taciuta? L'edizione fu dedicata ad Arrigo III, e forse chè il codice è tuttavia da trovarsi nella biblioteca reale a Parigi. E chi può dire che non esistano ancora in Toscana o in copia o in originale le lettere addotte si spesso dall' Aretino?

«

CLXXVI. Ragguaglia accidenti senza ragione o numero o tempo, chi fantastica il come le carte vadano dimenticate e confuse e appiattate e raminghe nel mondo. Nè per custodi nè per archivii verrà mai provveduto che molte non si dileguino. Il doge Fo

(1) CORBINELLI, Ediz. cit., pag. 84.

(2) LEONARDO ARETINO, Vita di D., pag. 16.

scarini ne ha fatto prova in Venezia, dove nè commozioni popolari, nè conquista di forestieri, nè arbitrio di principi, hanno mai disordinato gli archivii; e nondimeno cercò senza frutto assai documenti, che pur dovevano esservi; ma non vi apparivano (1). Firenze invece dall' età del poeta al regno di Cosimo I granduca, fu preda di democratici, d'aristocratici, di dittatori, di papi, di cardinali, di frati, e tiranni legittimi e bastardi, così che per disperazione crearono Cristo gonfaloniere perpetuo del popolo (2); e tutti manomettevano ogni cosa pubblica, e s'insignorivano d'ogni scrittura (3). Poscia Cosimo I, e gli Spagnuoli suoi padroni, non so se abolissero ogni documento che potesse mai ricordare la libertà, ma di certo facevano ardere quanti libri potevano alla memoria de' Medici (4). Stipendiavano storici che risiedevano negli archivii, donde forse più d' uno arricchiva il suo museo privato di carte preziose ai posteri; e n'ho agli occhi taluno-ipse appellat, studium; amici ejus, morbum et insaniam; alii latrocinium. Comunque si fosse, non v'era da ritrovare di Dante più che le lettere. Chi disse mai, o poteva mai dire d'aver veduto in Firenze gli autografi d'una sola delle opere sue? Questo è innegabile, che quantunque le prime copie della Commedia non uscissero fra' Fiorentini; e le prime, e le altre sino a' di nostri scendessero tutte dal testo procacciato da' figli sovra gli originali del padre, non uno dei mille e più codici romagnuoli, lombardi, e toscani,

(1) FOSCARINI, Lett. Ven. spesso.

(2) SEGNI, Vita di Nicolò Capponi.

(5) DAVANZATI, Oraz. in morte di Cosimo I, pag. 192. Ed. Mil. Discorso sul Testo del Decamerone, pag. xc-XCIV. Ed. Pi

ckering.

e quindi niuna edizione di stampatori preservò il titolo decretato dall'autore-Libri titulus est:

INCIPIT COMOEDIA
DANTIS ALLAGHERII

FLORENTINI NATIONE

NON MORIBUS (1).

Da questa mutilazione antichissima esce un indizio che l'autografo non fu compilato puntualmente. L'iscrizione in fronte alla dedicatoria del Paradiso non è diversa; e verosimilmente non meno infami a' suoi concittadini leggevansi le due lettere intitolate, l'una al principe de' ghibellini toscani, e l'altra a Morello, o, com'io presumo, a Spinetta de' Malaspina (2); e vennero occultate dopo la morte di Dante, sì che forse il Boccaccio non ne udì che la tradizione. Anche la sola della quale ei palesa d'avere fatto uso, arrivò, non pure scompagnata dall'opera alla quale pur era autentica prefazione, ma nè più mai rammentata sino verso la fine del secolo XVII (3). Fu stampata dal Zeno (4)— sopra un esemplare, che dalla latinità del proemio d'autore incerto, parrebbemi preservato da un contemporaneo del Poliziano.

CLXXVII. Non però sino al termine della lunga dominazione de' primi Medici la prosperità del poeta fu mai redenta dal bando di ribellione e d'infamia. Allorchè nell'anno 1429, Firenze ridomandò a' Ravennati le ossa di Dante (5), la fazione aristocratica prevaleva nella Repubblica. Cosimo poi nominato

(1) Dedic. a Cane della Scala, pag. 470.

(2) Qui dietro, sez. LXXXIV-LXXXVIII.

(3) MAZZONI, Difesa di Dante, pag. 74. Cesena, 1688.

(4) GALLERIA DI MINERVA, Vol. III, Venezia, 1700.

(5) SALVINO SALVINI, Fasti consol. dell'Accad. Fior. Introduz. ove cila la lettera del Comune tratta dagli Archivii.

padre della patria, ne fu cacciato, e vi ritornò ditlatore senz'altre armi che di pane alla moltitudine e di carnefici i quali mozzavano il capo a'potenti. L'anno 1494 vide i figliuoli di Lorenzo il Magnifico dichiarati ribelli, e abrogata la sentenza di bando perpetuo al nome degli Allighieri (1). Adunque, o i Medici tutti s'erano dimenticati dell'autore della Divina Commedia-o la ragione di giustizia si tarda ai suoi discendenti, continuava a sgorgare dalle stesse politiche necessità, che sin da principio costrinsero

suoi figli a pubblicarla timidamente in Italia. Le fazioni mutarono nomi, ma non mai le cagioni, nè l'armi, nè l'arti della rissa civile la quale in Firenze perpetuavasi fra poche famiglie che per continuata ricchezza assumevano orgoglio e diritto di aristocrazia, e poche altre che s'arrogavano il tribunato della plebe; e in ciò i Medici perseverarono di padre in figlio, finchè occuparono la signoria tanto più lungamente quanto più professavano di attenersi alla Chiesa, alla Francia, e alla plebe (2). Ed era l'originale dottrina de' guelfi; e dopo la morte di Dante s' andò corroborando più sempre ne' lunghi regni di Papa Giovanni XXII, e di Roberto di Napoli suo Signore (3), sì che divenne costituzione della Repubblica. E benchè a' Medici non sovrastassero danni, nè dagl'imperatori che allora non si lasciavano mai rivedere in Italia, nè da' Francesi scaduti dal regno di Napoli, dovevano tuttavia contenersi dall'annullare atti de' passati governi popolari, rieccitare memorie sopite, e dichiarare l'innocenza del più fiero fra quanti scrittori assalirono mai la chiesa di

(1) Vedi accennato il decreto presso il Pelli, Mem. pag. 41, nota (*); e il fatto era stato riferito nel Magazzino Toscano, vol. I, pag. 11.

(2) MACHIAVELLI, Stor. Fior.

Vedi qui dietro, sez. LIII.

DANTE

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