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in ogni parola, e con quanta diversità di maniere ei spiegavali (1)? Una ei l'addita a chiare sentenze: « L'adolescenza ch'entra nella selva erronea di questa vita non saprebbe tenere il buon cammino (2)» - ca me basta, tanto più quanto scopresi traduzione de' versi

Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura,
Chè la diritta via era smarrita.

Altrove per la selva intende moltitudine d'uomini, paesi e linguaggi (3); e sì l'allegoria, che il vocabolo additano il mondo e i viventi. Ma in queste significazioni morali ogni uomo compiaccia al suo genio. Bensì quanto alle storiche, il dotto illustratore della nuova interpretazione ha chiarito fuor di ogni dubbio che la Lonza, il Leone, e la Lupa, simboleggiano Firenze, Francia, e Roma, e i potenti che congiurarono alle sue sciagure (4). Ora i fonti sacri da' quali il poeta tolse que' simboli e gli applicò alle condizioni d'Italia, mostreranno, spero, ch'egli mirava a più alto scopo, e che quell'allegoria la quale pare accattata in via di prologo, si mantiene concorde perpetuamente al poema, e all'impresa di ordinare la religione. Idcirco percussit eos LEO DE SILVA: LUPUS ad vesperam vastavit eos: PARDUS vigilans super civitates eorum: omnis qui egressus fuerit ex eis, capietur, quia multiplicatæ sunt prævaricationes eorum, confortate sunt aversiones eorum (5). La Lonza «presta molto, agli antichi era pardo e pantera; i suoi varii colori, la sua fe

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rocia e la leggerezza dinotano Firenze divisa in bianchi e neri, e crudele di tutte le libidini d'una moltitudine instabile ed avventata. Il Leone da cui Dante fu liberato nella selva, non è egli Filippo il Bello, immagine del tiranno di san Paolo? Ut per me prædicatio impleatur, et audient omnes gentes: liberatus sum de ore LEONIS (1). Ed era Nerone, secondo l'interpretazione di san Girolamo (2), dal quale Dante per avventura aveva anche saputo la derivazione di lupanare da Lupa antichissima meretrice: (3) o da Giovenale che Dante aveva spesso alle mani (4)

Ite, quibus grata est picta lupa, barbara mitra (5). Senzachè, le sarebbe inapplicabile il verso,

Molti son gli animali a cui s'ammoglia (6).

CLXXXVI. Vien, parmi, acquistando forza di vero l'ipotesi della missione divina di Dante da' tre Apostoli che nell' altissimo de' cieli lo consacrarono a militare (7). Vide anche nel Paradiso terrestre,

Seder sul carro una puttana sciolta:
Vide di costa a lei dritto un gigante;
E baciavansi insieme alcuna volta (8).

Qui nel gigante ognuno ravvisa Filippo il Bello: non però nella meretrice la Chiesa romana; ma si

(1) Timoth. Sec. iv, 17.

HIERONYMI, Prolog. ex Catalog. præf. Vulgatæ.

In Chron. Euseb. de nomine Faustuli Pastoris uxore.
Convito, pag. 276.

Sat. 1, 66.

Inf. I.

Sez. XLVI, pag. 89-90.

Purg. XXXII.

la corte o curia, e chi la cattedra, e chi la dignità pontificia

Sis quocumque tibi placet
Sancta nomine, Romulique
Ancique, ut solita es, bona
Sospites ope gentem.

Sarai sempre la bella donna della Commedia, vedova di santo marito, ammogliata a parecchi che ne faranno strazio vendendola agli adulteri, ad arricchirne (1). Alcuni della gerarchia papale se ne risentirono, e un arcivescovo di Milano infamò Dante come Apostolo d'eresie (2). Ma la Sacra Congrega-` zione dissimulandole addormentò la curiosità popolare su quelle allusioni; e i veggenti non le rivelavano in modo si aperto che provocassero la proibizione del libro. Quando poi le sette protestanti si richiamarono per testimonianza della verità alle parole di Dante, la Cattolica con l'eloquenza del Bellarmino difese a un'ora la potestà temporale dei papi, e provò che il Poeta era figlio sommesso alla Chiesa proposizioni, a dir vero, che cozzerebbero fra di loro, e ciascheduna d'esse sta contro alla verità patente de' fatti. Se non che i teologi sono spirati dall'alto a ragionare, e senza, e contro de'fatti, e derivano discorsi lunghissimi e conclusioni da principii ch'io non intendo; però mi riporto. Il punto che m'è visibile in controversie si fatte s'aggira in questo che la tristizia de' sacerdoti non può contaminare la santità impartita alla Chiesa dal suo fondatore. A Dante pareva altrimenti; nè vedeva alloramai santità fuorchè nel suo fondatore; nè credeva

(1) Inf. tutto il canto xx.

(2) MANETTI, Vila di D. e gli autori presso il PELLI, Mem. pag. 156,

nota 1.

che il sacerdozio e la Chiesa fossero cose divisibili mai, nè diverse: e a correggerle, bisognava mutarle. Le iniquità del sacerdozio nelle tre cantiche sono rivelate in guisa che ogni accusa procede acquistando più sempre autorità ed evidenza maggiore. E per non accennare che le chiarissime, dopo l'avidità meretricia della Chiesa rappresentata sotto l'allegoria della Lupa, nell'Inferno è scritto sopra una delle sepolture degli eresiarchi

ANASTASIO PAPA GUARDO (1).

O sia che il poeta avesse appurato il vero, o si stesse alla tradizione del fatto, se ne giovò ad ogni modo con animo di negare la dottrina dell' infallibilità del sommo pontefice anche ne' dogmi. Poco appresso, papa Nicolò III, narrando le sue simonie, e d'alcuni de' suoi predecessori, predice la dannazione del vivente, e de' futuri: e il poeta, quasi costrettovi, dichiara il simbolo della Lupa; e lo giustifica con l'autorità degli apostoli

Di voi Pastor s'accorse il Vangelista,
Quando colei, che siede sovra l'acque,
Puttaneggiar coi regi a lui fu vista (2).

E allorchè san Francesco si dà per vinto dalla dialettica di un demonio che prova la nullità dell' assoluzione papale a' peccati commessi in beneficio del patrimonio di san Pietro, chi mai non vi scorge la dottrina delle indulgenze e le distinzioni de' casuisti (5)? - Questa fra le molte altre allusioni, non così alla disciplina come alle dottrine della chiesa di Roma, vanno acquistando forza e perspicuità col progresso della prima cantica.

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CLXXXVII. Ne' primi canti del Purgatorio è rinnegata ogni virtù alle scomuniche pontificie contro a' peccatori pentiti e morenti senza l'assoluzione del confessore (1). Il numero d'anni richiesto a purgare le anime tanto che risplendano degne de' cieli, può diminuirsi, al parere di Dante, « da' buoni preghi; e più ch'altro, dalle lagrime degli innocenti e delle vedove a Dio (2). Che riprovasse gli anniversarii d'esequie e di messe, e il merito dell'elemosina a'sacerdoti, ne danno indizii que' versi:

Se orazione in prima non m'aita,

Che surga su di cor che in grazia viva:

L'altra che val, che in ciel non è gradita (3)?

Forse illustrano la minaccia alla fine della cantica

Chi ne ha colpa creda

Che vendetta di Dio non teme suppe.

«

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Taluni infatti v' intesero le suppe di pane e vino nel sacrificio della messa; e ne vennero controversie famose allora a' teologi (4)-ed oggi a' filologi, educati anch'essi allo studio di stabilire argomenti sottili sopra equivoci di parole. Chi nel latino supus ritrova il francese souple, e per « suppe non temute dalla vendetta di Dio» intende simulazioni e lusinghe· Chi dalle suppe fa uscire supplex le interpreta per supplicanti-Chi desidera migliori etimologie, «va cercando un qualche codice che invece di suppe, legga duppe, e n'esca il francese duper;» a non

(1) Purg. 1, 118-138,

(2) Ivi, vers. 141, v. 70-72, viii, 70-72, xxп, 82, seg. (3) Ivi, IV, 133.

Fra gli espositori il Daniello; Purg. xxxш, 33, e intorno all'epoca del Concilio di Trento l'Avviso piacevole d'un nobile giovane francese alla bella Italia, uscito in Ginevra, e confutato dal cardinale Bellarmino.

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