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L'occhio umano, paziente, fedelissimo organo, è agente più libero e più intelligente degli altri, perchè vive più aderente alla memoria; ma non per tanto non può fare che passino cent'anni e che le penne tutte quante non si divezzino dalle forme correnti dell' alfabeto. Così ogni età n' usa di distinte e sue proprie; onde per chiunque ne faccia pratica bastano ad accertarlo del secolo d'ogni scrittura. Ma sono divari permanenti nelle carte; arrivano a' posteri; e si lasciano raffrontare dall'occhio. Non così l'orecchio; capricciosissimo, perchè raccoglie involontario. istantaneo è di necessità tutti i suoni; e gli organi

« excès qu'on n'ose plus y remédier. » Ma e qual rimedio se la pronunzia s'altera insensibilmente? Johnson ha bel dire che a pronunziare ottimamente s'ha da stare alle lettere scritte. Ma in Inghilterra predicava al deserto. (V. la prefaz. al Vocab. di Walker). Franklin fra mille altri tentativi a beneficio de' suoi concittadini, s' argomentò anche di fermare l'ortografia e regolarla in guisa che la pronunzia fosse immagine in tutto della scrittura. Inventò sei nuovi caratteri, rimutò le forme tuttequante dell'alfabeto inglese, e scrisse alcuni saggi che niuno imitò, e che, se non fossero stati raccolti fra l'opere sue postume (vol. II, pag. 551-566. London, Longman. 1806) sarebbero oggi dimenticati. Tant'è malagevole, anche agli uomini di grandissima autorità di far accettare innovazioni le quali contrastano alla consuetudine insieme ed alla natura degli organi umani veri arbitri delle Lingue, perchè l'uso chiamato arbitro solo, non è se non effetto delle modificazioni che la natura come in tutte le altre cose dell' universo porta dove più, dove meno visibili, ove lente ove preste, ma sempre; e negli organi della voce umana le porta impercettibili a un'ora e più rapide che in ogni altra cosa. Onde a Franklin riesci più facile di sottoporre a leggi i fulmini, ma non sarebbe riuscito mai di fermare la lingua parlata alla scrittura inventata da esso, perchè quand' anche quanti popoli in Europa e in America e in Asia parlano inglese avessero adottato il suo metodo, la loro pronunzia era per ricevere di necessità alterazioni infinite che avrebbero richiesto alterazione di metodo. E l'inglese più che le altre tutte pare lingua variabilissima nella pronunzia con gli anni, si perchè è diffusa fra colonie che inavvedutamente partecipano della pronunzia diversa degli aborigeni Indiani, Americani, Africani, e si perchè è più parlata nelle faccende pubbliche, e la scrittura sente perciò più necessità di proseguire ad accomodarsi alla pronunzia popolare.

della voce gli sono connessi, cooperanti, passivi, e meccanici imitatori e però niun uomo cresce muto se non perchè nasce sordissimo. Di quanto dunque più preste, e più varie, e più impercettibili che la scrittura non saranno le alterazioni della pronunzia? ma si rimutano senza che mai lascino, non pure le forme delineate come ne' vocaboli scritti, ma nè una lontana reminiscenza. Or chi mai fra'posteri potrà rintracciarle se non con l'orecchio ? e dove le troverà egli? Ridomandandole all'aria, che se le porta? o al tempo che torna a ingombrare l'orecchio di nuovi suoni? ALLAGHERI, com'ei scrivevalo, e poscia Aligieri, Alleghieri, Alligheri, suona egli lungo o breve nella penultima? or è ALLIGHIERI; ma in Verona s'è fatto sdrucciolo, ALIGERI. Certo se gli arcavoli risuscitassero in qualunque città penerebbero ad intendere i loro nepoti.

CCXI. Ma perciò che i Fiorentini di padre in figlio continuarono a ingoiare vocali, o rincalzarle raddoppiando consonanti, l'Accademia ideò che quel vezzo fosse nato a un parto co' loro vocaboli (1). l'ur è sempre accidente più tardo; anzi comune ed inevitabile a ogni lingua parlata: e tutti i popoli con l'andare degli anni per affrettare e battere la pronunzia scemano modulazioni, perchè sono molli e più lunghe; e le articolazioni riescono vibrate insieme e spedite. De' Greci, è detto; e più numero tuttavia di vocali scrivono gl'Inglesi, e pare che parlino quasi non avessero che alfabeto di consonanti: ma chi ne' loro poeti antichi leggesse all'uso moderno, non troverebbe versi nè rime. Nè credo che altri possa additare poesia di gente veruna

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(1) Avvertim. della Lingua, vol. II, pag. 129-160. Ed. Mil. dei Classici.

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fondatori della lingua scritta non si siano dilettati di melodia; e che non vi dominassero le vocali; e che poi non si diminuissero digradando. Anche nella prosodia latína, che era meno primitiva e tolta di pianta da Greci, e in idioma più forte di consonanti finali, regge l'osservazione; ed anche nelle reliquie di Ennio pochissime, pur le battute de'ventiquattro tempi dell'esametro su le vocali per via d'iato sono moltissime; e spesse in Lucilio; e parecchie in Lucrezio; non rare in Catullo; non più di sette, che io me ne ricordi, in Virgilio; e una sola in Orazio, nè forse una in Ovidio. Or altri veda se sa mai trovarne una sola in Lucano e negli altri tutti congegnatori intemperanti di consonanze fino allo strepitosissimo Claudiano? Ben diresti che la Divina Commedia sia stata verseggiata studiosamente a vocali. Ma che le modulazioni non prevalessero alle articolazioni de' versi, avveniva più presto in Italia che altrove; perchè il Petrarca aveva temprato l'orecchio alla prosodia provenzale sonora di finali tronche più che la siciliana che a Dante veniva fluida di melodia. La lingua nondimeno per que' suoi fondatori fu scritta, nè mai parlata; e quindi i libri non avendo compiaciuto alle successive pronunzie, gli organi della voce hanno da stare obbedientissimi all'occhio. Il danno della parola dissonante dalla scrittura nelle lingue popolari e letterarie ad un tempo, è minore della sciagura che toccò alla italiana destinata anzi all'arte degli scrittori, che alla mente della nazione. A questo i tempi, quando mai la facciano parlata da un popolo, provvederanno. Per ora il potersi scrivere così che ogni segno alfabetico sia elemento essenziale del senso e del suono in ogni vocabolo, rimane pur quasi vantaggio su le altre sino da' giorni di Dante. Onde mi proverò di rapprossimarla alla prosodia di

tutte le poesie primitive, e alla ortografia che dove le lingue vivono scritte, ma non parlate, si rimane letteraria, permanente nelle apparenze, e svincolata de' suoni accidentali e mutabili d'età in età nelle lingue popolari, e ne' dialetti municipali. Forse così la lezione della Divina Commedia perdendo i vezzi di fiorentina ritornerà schietta e italiana.

FINE DEL TOMO PRIMO.

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NOTA ALLA PAG. 98.

TESTIMONIANZE CONTRO IL MINISTERO ECCLESIASTICO VENALE.

Ecce ego ad prophetas somniantes mendacium, ait Dominus, qui narraverunt ea, et seduxerunt populum meum in mendacio suo, et in miraculis suis: cum ego non misissem eos, nec mandassem eis, qui nihil profuerunt populo huic, dicit Dominus. Jer. XXIII, 32.

Et canes impudentissimi nescierunt saturitatem: ipsi pastores ignoraverunt intelligentiam: omnes in viam suam declinaverunt, unusquisque ad avaritiam suam, a summo usque ad novissimum. Isai. LVI, 11.

Fili hominis, propheta de pastoribus Israel: propheta et dices pastoribus: Hæc dicit Dominus Deus: Væ pastoribus Israel, qui pascebant semetipsos: nonne greges a pastoribus pascuntur?

Lac comedebatis, et lanis operiebamini, et quod crassum erat, occidebatis: gregem autem meum non pascebatis.

Vivo ego, dicit Dominus Deus: quia pro eo quod facti sunt greges mei in rapinam, et oves meæ in devorationem omnium bestiarum agri, eo quod non esset pastor: neque enim quæsierunt pastores mei gregem meum, sed pascebant pastores semetipsos, et greges meos non pascebant. Ezech. XXXIV, 2, 3, 8.

Hæc dicit Dominus super prophetas, qui seducunt populum meum: qui mordent dentibus suis, et prædicant pacem: et si quis non dederit in ore eorum quippiam, sanctificant super eum prælium.

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