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vis paterae aurae fuerunt ducentae septuaginta sex, libras ferme omnes pondo: argenti facti signatique decem et octo millia et trecenta pondo: vasorum argenteorum magnus numerus. Haec omnia C. Flaminio quaestori appensa adnumerataque sunt. Tritici quadraginta millia modium, hordei ducenta septuaginta. Naves onerariae sexaginta tres in portu expugnatae captaeque : quaedam cum suis oneribus, frumento, armis, aere praeterea, ferroque et linteis, et sparto et navali alia materia ad classem aedificandam : ut minimum omnium inter tantas opes belli captas, Carthago ipsa fuerit.

XLVIII. Eo die Scipio, C. Laelio cum sociis navalibus urbem custodire jusso, ipse in castra legiones reduxit, fessosque milites omnibus uno die belli operibus (quippe qui et acie dimicassent, et capienda urbe tantum laboris periculique adissent, et capta, cum iis, qui in arcem confugerant, iniquo etiam loco pugnassent) curare corpora jussit. Postero die, militibus navalibusque sociis convocatis, primum diis immortalibus laudesque et grates egit, qui se non urbis solum opulentissimae omnium in Hispania uno die compotem fecissent, sed ante eo congessissent omnis pene Africae atque Hispaniae opes; ut neque hostibus quidquam relinqueretur, et sibi ac suis omnia superessent. Militum deinde virtutem collaudavit, quod eos non eruptio hostium, non altitudo moenium, non inexplorata stagni vada, non castellum in alto tumulo situm, non munitissima arx deterruisset, quo minus transcenderent omnia perrumperentque. Itaque, quamquam omnibus omnia deberet, praecipuum muralis coronae decus ejus esse, qui primus murum adscendisset profiteretur, qui se dignum eo duceret dono. Duo professi sunt: Q. Trebellius centurio legionis quartae, et Sex. Digitius socius navalis nec ipsi tam inter se acriter contendebant, quam studia excitaverant uterque sui corporis hominum. Sociis C. Laelius praefectus classis; legionariis M. Sempronius Tudinatus aderat. Ea contentio quum prope seditionem veniret, Scipio tres recuperatores quum se daturum pronunciasset, qui, cognita causa testibusque auditis, judicarent, uter prior in oppidum transcendisset; C. Laelio et M. Sempronio advocatis partis utriusque, P. Cornelium Caudinum de medio adjecit, eosque tres recuperatores considere, et causam cognoscere jussit. Quum res eo majore ageretur certamine, quod amoti tantae dignitatis non tam advocati, quam moderatores studiorum fuerant; C. Laelius, relicto consilio, ad tribunal ad Scipionem accedit, eumque docet,

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lotti; e settanta quattro bandiere. E grande quantità d'oro e d'argento fu portata al comandante; le coppe d'oro dugento settanta sei, ciascuna del peso a un dipresso di una libbra; di argento lavorato e coniato diciotto mila e trecento libbre, e numero grande di vasi d'argento. Tutte queste cose furono pesate e numerate al questore Caio Flaminio; inoltre quaranta mila moggia di grano, e dugento e settanta di orzo. Nel porto si sono sforzate e prese sessanta tre navi da trasporto, alcune col loro carico, frumento, armi, inoltre rame, e ferro, e vele, e sparto, ed altre materie occorrenti ad allestire una flotta; di maniera che, di tante ricchezze conquistate, fors'era Nuova-Cartagine la minore.

XLVIII. Il dì medesimo Scipione, lasciato Caio Lelio colla gente di mare alla custodia della città, ritrasse le legioni negli accampamenti; ed ordinò che i soldati, stanchi dall'aver sostenuto in un giorno solo quante sono le fazioni della guerra (che aveano combattuto alla campagna, ed incontrato tante fatiche e pericoli nel prendere la città, e poi che fu presa, dovuto azzuffarsi anche in sito svantaggioso con quelli, che s' erano rifuggiti nella rocca) curassero le persone. Il di seguente, radunati i soldati e le genti di mare, dapprima rendette lodi e grazie agli dei immortali, che non solamente in un giorno stesso l'avesser fatto signore della città più doviziosa della Spagna,ma vi avessero innanzi accumulate le ricchezze di quasi tutta l'Africa, e della Spagna, sì che nulla avanzasse a'nemici, ed ogni cosa abbondasse a sè ed a'suoi. Di poi lodò il valore dei nemici; nè l'altezza delle mura, nè il mal noto guado dello stagno, nè il castello posto su alto poggio, nè la fortissima rocca potè rattenere, sì che tutto non valicassero e sforzassero. Quindi, quantunque fosse egli debitore a tutti di tutto, l'onore però della murale corona a colui apparteneva, che primo montato fosse sul muro; quegli, che si stimasse degno di tal dono, si presentasse. Due si presentarono: Quinto Trebellio, centurione della quarta legione, e Sesto Digizio, soldato della flotta. Nè combattevan essi tanto acremente tra loro, quant'era la gara, che avea ciascun d'essi svegliata nella gente del proprio corpo. Caio Lelio, prefetto della flotta, sosteneva i soldati di mare, Marco Sempronio Tuditano i legionarii. Questa contesa piegando quasi a sedizione, ed avendo Scipione dichiarato, che nominerebbe tre arbitri, i quali, conosciuta la cosa, ed uditi i testimonii, giudicassero chi fosse montato primo sul muro, a Caio Lelio e Marco Semproio difensori delle due parti aggiunse terzo Publio Cornelio Caudino; e comandò che questi tre arbitri sedessero e conoscessero il fatto. Trattandosi la

« rem sine modo ac modestia agi, ac prope esse, ut manus inter se conserant. Ceterum, etiamsi vis absit, nihilominus detestabili exemplo rem agi; quippe ubi fraude ac perjurio decus petatur virtutis. Stare hinc legionarios milites, hinc classicos, per omnes deos paratos jurare, magis quae velint, quam quae sciant, vera esse, et obstringere perjurio non se solum suumque caput, sed signa militaria et aquilas, sacramentique religionem. Haec se ad eum de sententia P. Cornelii et M. Sempronii deferre. » Scipio, collaudato Laelio, ad concionem advocavit pronunciavitque, se satis compertum habere, Q. Trebellium et Sex. Digitium pariter in murum escendisse ; seque eos ambos, virtutis causa, coronis muralibus donare. Tum reliquos, prout cuique meritum virtusque erat, donavit. Ante omnes C. Laelium praefectum classis et omni genere laudis sibimet ipse aequavit, et corona aurea ac triginta bubus donavit.

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XLIX. Tum obsides civitatium Hispaniae vocari jussit: quorum quantus numerus fuerit, piget scribere, quippe quum alibi trecentos fer

me,

alibi septingentos viginti quinque fuisse inveniam. Aeque et alia inter auctores discrepant. Praesidium Punicum alius decem, alius septem, alius haud plus quam duûm millium fuisse scribit. Capta alibi decem millia capitum, alibi supra quinque et viginti invenias. Scorpiones majores minoresque ad sexaginta captos scripserim, si auctorem Graecum sequar Silenum: si Valerium Antiatem, majorum scorpionum sex millia, minorum tredecim: adeo nullus mentiendi modus est. Ne de ducibus quidem convenit: plerique Laelium praefuisse classi; sunt, qui M. Junium Silanum dicant. Arinem praefuisse Punico praesidio, deditumque Romanis, Antias Valerius; Magonem alii scriptores tradunt. Non de numero navium captarum, non de pondere auri atque argenti, et redactae pecuniae, convenit. Si aliquibus assentiri necesse est, media simillima veris sunt. Ceterum Scipio, vocatis obsidibus, primum universos bonum animum habere jussit. «Venisse eos in populi Romani potestatem, qui beneficio, quam metu, obligare homines malit, exterasque gentes fide ac societate junctas habere, quam tristi subjectas servitio." Deinde, acceptis nominibus civitatium, recensuit captivos,

cosa con vie maggiore accanimento, perchè s'erano rimossi que' personaggi di somma autorità, stati fin allora non tanto sostenitori, quando moderatori dei due partiti, Caio Lelio, partitosi dal consiglio, si accosta al tribunale di Scipione, e gli espone, che or mai non si serbava più nè misura, nè rispetto, e poco mancare che non si venga alle mani. Del resto, anche qualora non si usi violenza, essere nondimeno la cosa di pessimo esempio, come quella, in cui si cerca onore alla virtù colla frode e collo spergiuro. Starsi da una parte i legionarii, dall'altra i soldati della flotta pronti a giurare per tutti gli dei più presto quello, che sanno esser vero, e a caricare dell' onta dello spergiuro non solamente sè stessi e le teste loro, ma le insegne militari, le aquile e la santità del giuramento. Tutto questo gli riferiva di parere eziandio di Publio Cornelio e di Marco Sempronio. » Scipione, lodato Lelio, chiamò i soldati a parlamento e dichiarò, «esser egli certo abbastanza, che Quinto Trebellio e Sesto Digizio erano ambedue montati ad un tempo stesso sul muro; e ch'egli, in premio del valore, li regalava ambedue della corona murale. » Regalò poscia gli altri, secondo il merito e la virtù di ciascheduno; sopra tutti eguagliò a sè medesimo in ogni genere di lode Caio Lelio, prefetto della flotta, e donogli una corona d'oro, e trenta buoi.

XLIX. Indi si fe' chiamare gli ostaggi della Spagna, de' quali non so dire il numero quanto fosse; perciocchè in un luogo li trovo presso a trecento, in un altro settecento e venticinque. Nell'allre cose v'ha egualmente discrepanza tra gli autori. Chi dice che il presidio Punico fosse di dieci, chi di sette, chi non più di due mila uomini. Qua trovo fatti dieci mila prigioni, colà più di venticinque. Dirò tra maggiori e minori, da sessanta scorpioni, se seguo Sileno, greco scrittore; se Valerio Anziate, sei mila de' maggiori, tredici mila de'minori; tanta è l' impudenza del mentire. Non si conviene nè anche de'capitani. I più fanno prefetto della flotta Lelio; alcuni Marco Giunio Silano. Valerio Anziate scrive, che Arine comandava il presidio Punico, e ch'egli si è arrenduto ai Romani; altri nominan Magone. Non si conviene del numero delle navi prese, non del peso dell' oro e dell'argento, nè del denaro tratto dalle vendite. S'egli è pur forza assentire ad alcuni, l'opinione di mezzo e la più verisimile. Del resto Scipione, chiamati gli ostaggi, primieramente gli esortò tutti a starsi di buon animo:

esser venuti in poter del popolo Romano, il quale preferisce di obbligarsi gli uomini piuttosto.coi benefizii, che col timore, e di piuttosto stringere a sè le genti straniere coll'amicizia e colla fede, che tenersele soggette in tristo servag

quot cujusque populi essent ; et nuncios domum misit, ut ad suos quisque recipiendos veniret. Si quarum forte civitatium legati aderant, eis praesentibus suos restituit: ceterorum curam benigne tuendorum C. Flaminio quaestori attribuit. Inter haec e media turba obsidum mulier magno natu, Mandonii uxor, qui frater Indibilis llergetum reguli erat, flens ad pedes imperatoris procubuit, obtestarique coepit, ut curam cultuinque feminarum impensius custodibus commendaret. Quum Scipio, « nihil profecto defuturum, » diceret; tum rursus mulier, « Haud magni ista facimus, inquit: quid enim huic fortunae pon satis est? Alia me cura, aetatem harum intuentem (nam ipsa jam extra periculum injuriae muliebris sum) stimulat. » Aetate et forma florentes circa erant Indibilis filiae, aliaeque nobilitate pari, quae omnes eam pro parente colebant. Tum Scipio, "Meae populique Romani disciplinae causa facerem, inquit, ne quid, quod sanctum usquam esset, apud nos violaretur: nunc, ut id curem impensius, vestra quoque virtus dignitasque facit; quae ne in malis quidem oblitae decoris matronalis estis." Spectatae deinde integritatis viro tradidit eas, tuerique haud secus verecunde ac modeste, quam hospitum conjuges ac matres, jussit.

L. Captiva deinde a militibus adducitur ad eum adulta virgo, adeo eximia forma, ut, quacumque incedebat, converteret omnium oculos. Scipio, percunctatus patriam parentesque, inter cetera accepit, desponsam eam principi Celtiberorum adolescenti: Allucio nomen erat. Extemplo igitur parentibus sponsoque ab domo accitis, quum interim audiret, deperire eum sponsae amore, ubi primum venit, accuratiore eum sermone, quam parentes, alloquitur. « Juvenis, inquit, juvenem appello, quo minor sit inter nos hujus sermonis verecundia. Ego, quum sponsa tua capta a militibus nostris ad me ducta esset, audiremque, eam tibi cordi esse, et forma faceret fidem, quia ipse, si frui liceret ludo aetatis, (praesertim recto et legitimo amore) et non res publica animum nostrum occupasset, veniam mihi dari sponsam impensius amanti vellem: tuo, cujus possum, amori faveo. Fuit sponsa tua apud me eadem, qua apud soceros tuos parentesque suos, verecundia servata tibi est, ut inviolatum et dignum me teque dari tibi donum posset. Hane mercedem unam pro eo munere paciscor; amicus populo Romano sis: el, si me virum bo

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gio. " Indi, presi i nomi delle città, passò in rassegna gli ostaggi, quanti appartenessero a ciascun popolo ; e mandò messi alle case, perchè ciascuno venisse a ricuperare i suoi. Se ci erano a caso presenti gli ambasciatori di alcune città, a questi li restituì; e commise al questore Caio Flaminio, che avesse cura amorosa degli altri. In questo, dal mezzo della turba degli ostaggi, una donna attempala, moglie di Mandonio, ch'era fratello d' Indibile, re degli Ilergeti, si gettò piangendo ai piedi di Scipione, e si fe'a pregarlo, che raccomandasse quanto più poteva caldmente ai custodi la cura ed il governo delle femmine. Dicendo Scipione, che nulla sarebbe loro mancato, " di nuovo la donna, «non ci curiamo, disse, gran fatto di codeste cose; e che non basta a questa nostra fortuna? altra cura mi punge, mentre riguardo all' età di queste (che quanto a me, son già fuori del pericolo di femminile insulto). » Le stavano d'intorno, fiorenti per età e per bellezza le figlie d'Indibile, ed altre egualmente nobili donzelle, che tutte la veneravano qual madre. Allora Scipione: farei, disse, per mio e istituto proprio del popolo Romano, che niente di ciò, che in ogni luogo è rispettabile e sacro, fosse qui violato da noi. Che ora io badi a ciò più intensamente, il fa pur anche questa vostra virtù e dignità, poi che nè meno in mezzo alle sciagure foste dimentiche del matronale decoro. » Indi consegnolle ad uomo di specchiata costumatezza; e gli ordinò di guardarle con riverenza e rispetto non altrimenti, che se fossero mogli o madri di ospiti Romani.

L. Poscia gli si mena dinanzi una vergine adulta, di così rara bellezza, che dovunque passava, traeva a sè gli sguardi d'ognuno. Scipione, chiestane la patria e i genitori, intese tra l' altre cose, ch'ella era promessa sposa ad un giovane principe dei Celtiberi, nomato Allucio. Chiamati subito da casa i genitori e lo sposo, udito frattanto, ch'egli amava perdutamente la sposa, come fu quegli arrivato, Scipione drizzò la parola più particolarmente a lui, che ai genitori di lei : «Giovane, disse, mi volgo a te giovane, onde possiamo intrattenerci tra noi due con manco rispetto. Essendomi stata menata prigioniera da' nostri soldati codesta tua sposa, e udendo ch'ella era sommamente cara al tuo cuore, di che mi facea fede la sua bellezza, siccome, se mi fosse lecito abbandonarmi ai piaceri dell'età mia, specialmente in retto e legittimo amore, e non avesse la repubblica preoccupato l'animo mio, vorrei che mi fosse perdonato, se amassi intensamente la tua sposa, così di buon grado, poi che il posso, favoreggio l' amor tuo. Fu la tua sposa rispettata tanto presso di me, quanto esser poteva presso i tuoi suoceri, ed i di lei genitori: ti fu

num credis esse, quales patrem patruumque meum jam ante hae gentes norant, scias multos nostri similes in civitate Romana esse; nec ullum in terris populum hodie dici posse, quem minus tibi hostem tuisque esse velis, aut amicum malis. " Adolescens, simul pudore et gaudio perfusus, dextram Scipionis tenens, deos omnes invocare ad gratiam illi pro se referendam, quoniam sibi nequaquam satis facultatis, pro suo animo atque illius erga se merito, esset. Parentes inde cognatique virginis appellati: qui, quoniam gratis sibi redderetur virgo, ad quam redimendam satis magnum attulissent auri pondus, orare Scipionem, ut id ab se donum acciperet, coeperunt; haud minorem ejus rei apud se gratiam futuram esse, affirmantes, quam redditae inviolatae foret virginis. Scipio, quando tanto opere peterent, accepturum se pollicitus, poni ante pedes jussit, vocatoque ad se Allucio, "super dotem, inquit, quam accepturus a socero es, haec tibi a me dotalia dona accedent: " aurumque tollere, ac sibi habere jussit. His laetus donis honoribusque dimissus domum, implevit populares laudibus meritis Scipionis: « Venisse diis simillimum juvenem, vincentem omnia, quum armis, tum benignitate ac beneficiis. » Itaque, delectu clientium habito, cum delectis mille et quadringentis equitibus intra paucos dies ad Scipionem revertit.

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LI. Scipio retentum secum Laelium, dum captivos obsidesque et praedam ex consilio ejus disponeret, satis omnibus compositis, data quinquereme, captivisque, Magone et quindecim fere senatoribus, qui simul cum eo capti erant, in navem impositis, nuncium victoriae Romam mittit. Ipse paucos dies, quibus morari Carthagine statuerat, exercendis navalibus pedestribusque copiis absumpsit. Primo die legiones in armis quatuor millium spatio decurrerunt: secundo die arma curare et tergere ante tentoria jussit: tertio die rudibus inter se in modum justae pugnae concurrerunt, praepilatisque missilibus jaculati sunt: quarto die quies data: quinto iterum in armis decursum est. Hunc ordinem laboris quietisque, quoad Carthagine morati sunt, servarunt. Remigium classicique milites, tranquillo in altum evecti, agilitatem navium simulacris navalis pugnae experiebantur. Haec extra urbem

serbata intatta, onde poterti offerire un dono di me degno, e di te. Per codesto regalo questa mercede sola patteggio; sii tu amico del popolo Romano. E se mi stimi uomo dabbene, quali furon già in addietro conosciuti da queste genti il padre mio, ed il mio zio, sappi esserci molti in Roma, che mi somigliano; e potersi dire con verità non trovarsi oggi al mondo altro popolo, che tu debba volere, che sia meno nemico tuo e de' tuoi, o più bramare che ti sia amico. » Il giovanetto, ricolmo ad un tempo di confusione e di gioia, tenendo la mano di Scipione, invocava tutti gli dei che gli rendessero in vece sua le dovute grazie, poi che non aveva egli poter bastante di ciò fare, secondo l'animo suo ed i meriti di lui. Indi furon chiamati i genitori ed i parenti della fanciulla ; i quali, poi che la si rendeva loro senza mercede, ed a redimer la quale seco avean portato gran peso d'oro, si fecero a scongiurare Scipione, che gli piacesse di riceverlo in dono; protestando che non gli sarebbero men tenuti di ciò, che dell'aver ad essi restituita intatta la fanciulla. Scipione, poi che il chiedevano con tanta istanza, promesso che il prenderebbe, ordinò che l'oro gli fosse portato davanti a' piedi; e chiamato Allucio,« sopra la dote, disse, che sei per ricevere dal suocero, abbiti da me per giunta questo regalo di nozze ; " e gli ordinò, che si togliesse quell' oro, e lo tenesse per suo. Lieto di questi doni ed onori, tornato a casa, empiè tutti i suoi concittadini delle lodi meritate di Scipione : « Esser venuto un giovane somigliantissimo agli dei, che soggioga tutto coll' armi, e insieme colla benignità e coi benefizii. Di poi Allucio, fatta una scelta di clienti, ritornò tra pochi giorni a Scipione con mille e quattrocento eletti cavalieri.

LI. Scipione, ritenuto seco Lelio insino a tanto che col di lui consiglio disponesse dei prigioni, degli ostaggi, e della preda, poi ch'ebbe tutto assestato, datagli una quinquereme, imbarcativi sopra i prigionieri, e Magone, e circa quindici senatori, ch' erano stati presi con lui, lo mandò a Roma messaggero della vittoria; ed egli, i pochi giorni,che avea stabilito di restarsi a Nuova-Cartagine, li consumò nell'esercitar le genti da mare e da terra. Il primo giorno dopo le legioni sotto l'armi difilarono dinanzi a lui per lo spazio di quattro miglia; nel secondo fe' che governassero e rinettassero l'armi davanti alle tende; il terzo si affrontarono insieme tirando col bottone, a forma di giusto combattimento, e si saettarono con giavellotti non ferrati; nel quarto s' ebbe riposo; nel quinto nuova rassegna. Tennero per tutto il tempo, che stettero a Nuova-Cartagine questa vicenda di fatiche e di riposo. I remiganti,

terra marique corpora simul animosque ad belinm acuebant: urbs ipsa strepebat apparatu belli, fabris omnium generum in publica officina inclusis: dux cuncta pari cura obibat. Nunc in classe ac navali erat; nunc cum legionibus decurrebat; nunc operibus adspiciendis tempus dabat, quaeque in officinis, quaeque in armamentario ac navalibus fabrorum multitudo plurima in singulos dies certamine ingenti faciebat. His ita inchoatis, refectisque, qua quassi erant, muris, dispositisque praesidiis ad custodiam urbis, Tarraconem est profectus, a multis legationibus protinus in via aditus: quas partim dato responso ex itinere dimisit, partim distulit Tarraconem, quo omnibus novis veteribusque sociis edixerat conventum. Et cuncti fere, qui cis Iberum incolant, populi, multi etiam ulterioris provinciae convenerunt. Carthaginiensium duces primo ex industria famam captae Carthaginis compresserunt: deinde, ut clarior res erat, quam ut tegi ac dissimulari posset, elevabant verbis. « Necopinato adventu ac prope furto unius diei urbem unam Hispaniae interceptam: cujus rei tam parvae praemio elatum insolentem juvenem, immodico gaudio speciem magnae victoriae imposuisse. At, ubi appropinquare tres duces, tres victores hostium exercitus audisset, occursuram ei extemplo domesticorum funerum memoriam. " Haec in vulgus jactabant, haudquaquam ipsi ignari, quantum sibi ad omnia virium, Carthagine amissa, decessisset.

e i soldati marinareschi,recandosi ne'dì tranquilli in alto mare, facean prova dell' agilità dei lor legni in finta pugna navale. Questi esercizii fuori della città per mare e per terra addestravano ad un tempo gli animi ed i corpi alla guerra. La città stessa rimbombava dello strepito dei militari apparecchi; standosi i fabbri d'ogni sorte rinchiusi in pubblica officina. Scipione attendeva a tutto con pari cura: ora visitava la flotta e l'arsenale; ora passava a rassegna le legioni; ora impiegava il tempo nell'osservare i lavori e quello che ogni dì si facesse nelle officine, nella fabbrica d'armi, o nei cantieri dalla molta gente, che a gara vi lavorava. Fatte queste disposizioni, e ristaurati i muri, dov'erano conquassati, e distribuito il presidio per la città, se ne andò a Tarracona incontrato subito per via da molte legazioni; parte delle quali, data risposta per istrada, licenziò, parte gli rimise a Tarracona, dove intimato avea l'assemblea dei vecchi e dei nuovi alleati. E vi vennero quasi tutti i popoli, che abitan di qua dall'Ibero, molti anche di quei di là. I comandanti Cartaginesi dapprima compressero la fama della presa di Nuova-Cartagine; indi essendo la cosa chiara tanto, che non v'era più luogo a celarla o dissimularla, colle parole la diminuirono; « che arrivando i nemici improvvisamente avean preso, quasi di furto in un giorno solo, non altro, una città della Spagna; che invanito l'insolente giovane della riuscita di sì picciola impresa, l' avea, per intemperanza di gioia, spacciata qual grandissima vittoria. Ma come udrebbe avvicinarsi tre comandanti, tre nemici eserciti vincitori, gli verrebbe subito a mente la ricordanza delle domestiche sciagure. » Tali cose spacciavano presso il volgo, non ignorando essi stessi, quanto, perduta Nuova-Cartagine, scemate si fossero per ogni conto le forze loro.

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