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duas mulieres compertum est, Vestiam Oppiam | maggiore, « Presa Capua, disse, mi sovviene Atellanam Capuae habitantem, et Fauculam Cluviam, quae quondam quaestum corpore fecisset ; illam quotidie sacrificasse pro salute et victoria populi Romani; hanc captivis egentibus alimenta clam suppeditasse. Ceterorum omnium Campanorum eumdem erga nos animum, quem Carthaginiensium, fuisse ; securique perculsos a Q. Fulvio esse magis, quorum dignitas inter alios, quam quorum culpa eminebat. Per senatum agi de Campanis, qui cives Romani sunt, injussu populi non video posse: idque et apud majores nostros in Satricanis factum est, quum defecissent, ut M. Antistius tribunus pebis prius rogationem ferret, sciretque plebs, uti senatui de Satricanis sententiae dicendae jus esset. Itaque censeo, cum tribunis plebis agendum esse, ut eorum unus pluresve rogationem ferant ad plebem, qua nobis statuendi de Companis jus fiat. » L. Atilius tribunus plebis ex auctoritate senatus plebem in haec verba rogavit:& Omnes Campani, Atellani,Calatini, Sabatini, qui se dediderunt in arbitrium ditionemque populi Romani Fulvio proconsuli, quaeque una secum dediderunt, agrum urbemque, divina, humanaque utensiliaque, sive quid aliud dediderunt: de iis rebus quid fieri velitis, vos rogo, Quirites. Plebes sic jussit: « Quod senatus juratus, maxima pars, censeat, qui assident, id volumus jube

musque."

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XXXIV. Ex hoc plebiscito senatusconsultus "Oppiae Cluviaeque primum bona ac libertatem restituit: si qua alia praemia petere ab senatu vellent, venire eas Romam." Campanis in familias singulas decreta facta, quae non operae pretium est omnia enumerare. «Aliorum bona publicanda: ipsos liberosque eorum et conjuges vendendas, extra filias, quae enupsissent prius quam in populi Romani potestatem venirent. Alios in vincula condendos, ac de his posterius consulendum. “ Aliorum Campanorum summam etiam census distinxerunt, publicanda necne bona essent: « pecua captiva, praeter equos, et mancipia, praeter puberes virilis sexus, et omnia, quae solo non continerentur, restituenda censuerunt dominis. Campanos omnes, Atellanos, Calatinos, Sabatinos, extra quam qui eorum, aut ipsi aut parentes eorum, apud hostés essent, liberos esse jusserunt, ita ut nemo eorum civis Romanus aut Latini nomimis esset: neve quis eorum, qui Capuae fuissent,

d'essere intervenuto al consiglio coi consoli, quando si ricercò quale de' Campani avesse ben meritato della patria nostra; e non essersi trovate che due donne, Vestia Oppia Atellana, abitante in Capua, e Faucula Cluvia, in addietro femina di partito; quella aver fatti ogni di sagrifizii per la salute e la vittoria del popolo Romano; questa aver porti di nascosto alimenti ai prigionieri bisognosi. Di tutti gli altri Campani essere stato l'animo simile a quello dei Cartaginesi; ed aver Fulvio fatti percuoter di scure quelli, che avanzavano gli altri per dignità, piuttosto che per colpa. Non vedo che il senato possa deliberare dei Campani, che son cittadini di Roma, senza che il popolo ne lo autorizzi; il che trovo essersi fatto dai nostri maggiori nel caso dei Satricani, che si erano ribellati, avendo prima il tribuno della plebe Marco Antistio proposto alla medesima, e questa approvato che potesse il senato dare il suo giudizio nell'affare dei Satricani. Sono dunque di avviso che si debba trattare coi tribuni della plebe, acciocchè uno, o più d'essi propongano alla plebe una legge, per cui ci sia data facoltà di statuire sul fatto de' Campani. » Il tribuno Lucio Atilio, di volontà del senato, portò alla plebe la seguente proposizione: « Tutti i Campani, Atellani, Calatini, Sabatini, che si dierono in potere ed arbitrio del popolo Romano nelle mani del console Fulvio, e che dierono con seco il contado, la città, le cose tutte umane e divine, le masserizie, e se altro dierono, vi domando, o Quiriti, quello che vi piace ne sia fatto. La plebe così ordinò : « Quello che parrà al senato, raccolto, giurato, e colla pluralità di voti, quello vogliamo e comandiamo.

XXXIV. In forza di questo plebiscito il senato consultato « restituì primieramente i beni e la libertà ad Oppia ed a Cluvia: se alcun altro premio chieder volessero al senato, venissero a Roma." Altri decreti furon fatti per ciascuna famiglia Capuana in particolare, cui non è pregio dell'opera noverare. Di alcuni doversi confiscare i beni, e vendere essi, i loro figli e le mogli, eccetto le figliuole, che si fossero maritate, innanzi che venissero in potere del popolo Romano. Altri fossero imprigionati, e di questi sarebbe deliberato dappoi. Quanto ad altri, distinsero anche la somma del censo, onde stabilire se si avessero a confiscare i beni, o no: decretarono, che i bestiami presi, eccetto i cavalli e gli schiavi, eccetto i maschi giunti a pubertà, e tutto quello, che non fosse compreso nel fondo, si avesse a restituire ai padroni. Ordinarono, che tutti i Campani, Atellani, Calatini, Sabatini, eccetto quelli, i quali essi, o i loro

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dum portae clausae essent, in urbe agrove Campa- | padri si trovassero presso i nemici, fossero liberi,

no intra certam diem maneret. Locus ubi habitarent, trans Tiberim, qui non contingeret Tiberim, daretur. Qui nec Capuae, nec in urbe Campana, quae a populo Romano defecisset, per bellum fuissent, eos cis Lirim amnem Romam versus ; qui ad Romanos transissent prius, quam Hannibal Capuam veniret, cis Vulturnum emovendos censuerunt. Ne quis eorum propius mare quindecim millibus passuum agrum aedificiumve haberet. Qui eorum trans Tiberim emoti essent, ne ipsi posterive eorum uspiam pararent haberentve, nisi in Vejente, aut Sutrino Nepesinove agro; dum ne cui major, quam quinquaginta jugerum, agri modus esset. Senatorum omnium, quique magistratus Capuae, Atellae, Calatiae gessissent, bona venire Capuae, jusserunt. Libera corpora, quae venum dari placuerat, Romam mitti, ac Romae venire. Signa, statuas aeneas, quae capta de hostibus dicerentur, quae eorura sacra ac profana essent, ad pontificum collegium rejecerunt. » Ob haec decreta moestiores aliquanto, quam Romam venerant, Campanos dimiserunt. Nec jam Q. Fulvii saevitiam in sese, sed iniquitatem deûm atque exsecr abilem fortunam suam incusabant.

XXXV. Dimissis Siculis Campanisque, delectus habitus: scripto deinde exercitu, de remigum supplemento agi coeptum. In quam rem quum neque hominum satis, nec, ex qua pararentur, stipendiumque acciperent, pecuniae quidquam ea tempestate in publico esset, edixerunt consules, ut privati ex censu ordinibusque, sicut antea, remiges darent cum stipendio cibariisque dierum triginta. Ad id edictum tantus fremitus hominum, tanta indignatio fuit, ut magis dux, quam materia, seditioni deesset. « Secundum Siculos Campanosque plebem Romanam perdendam lacerandamque sibi consules sumpsisse. Per tot annos tributo exhaustos nil reliqui, praeter terram nudam ac vastam habere. Tecta hostes incendisse, servos agri cultores rempublicam abduxisse, nunc ad militiam parvo aere emendo, nunc remiges imperando. Si quid cui argenti aerisve fuerit, stipendio remigum et tributis annuis ablatum : se, ut dent, quod non habeant, nulla vi, nullo imperio cogi posse. Bona sua venderent; in corpora, quae reliqua essent, saevirent : ne unde re

a condizione però, che nessun di loro fosse citta. dino Romano o del nome Latino; e che nessun di quelli, che fossero rimasti in Capua nel tempo, in cui furon chiuse le porte ai Romani, rimanga in Capua o nel contado Capuano dopo un dato giorno; si assegnasse loro un luogo, dove abitassero, di là dal Tevere, che però non lo toceasse. Quelli, che durante la guerra non erano stati nè in Capua, nè in altra città della Campania, che si fosse ribellata dai Romani, stessero di qua del fiume Liri verso Roma; e quelli, che si eran dati ai Romani, innanzi che Annibale venisse a Capua, si mettessero di qua del fiume Vulturno; ma che nessuno di tutti questi avesse case o poderi a meno di quindici miglia dal mare. Quelli che fossero trasportati di là dal Tevere, nè essi, nè i loro posteri acquistassero o possedessero, fuorchè nel territorio Veientano o Sutrino o Nepesino, purchè nessuno avesse più di cinquanta jugeri. Comandarono, che i beni di tutti i senatori e di tutti quelli, che aveano esercitati magistrati in Capua, in Atella, in Calazia, fossero venduti in Capua. Gli uomini di condizione libera, che si avessero a vendere, fossero mandati a Roma, e quivi venduti. Le imagini, le statue di bronzo, che si dicessero prese a'nemici, secondo che fossero sacre o profane, si rimettessero al collegio de' pontefici. Per questi decreti si rimandarono i Capuani a casa alquanto più dolenti, che non erano venuti a Roma; nè più accusavano la sevizie di Quinto Fulvio verso di loro, ma sì l'ingiustizia degli dei, e la spietata loro fortuna.

XXXV. Licenziati i Siciliani e i Capuani, si fe' la leva indi arrolato l'esercito, si cominciò a pensare al supplemento dei remiganti. Al che fare non vi essendo bastante copia d'uomini, nè si trovando in quel tempo danaro nella pubblica cassa, onde acquistarli e stipendiarli, i consoli ordinarono che i privati, secondo la classe e il censo di ciascheduno, somministrassero, come altre volte, i remiganti con paga e vittuaria per trenta giorni. Al pubblicarsi di questo editto tanto fu il fremito, tanta l'indignazion della gente, che mancò piuttosto il capo alla sommossa, che la materia. « Dopo la ruina dei Siciliani e dei Campani essersi assunti i consoli di perdere e straziare la plebe Romana; esausti per tant'anni dai tributi non altro rimaner loro, che la terra nuda e deserta. Aver i nemici bruciate le cose, aver la repubblica levati i servi, che lavoravano i campi, ora comperandoli a poco prezzo per la milizia, ora ordinando leva di remiganti. Se alcuno aveva qualche po' di moneta o di argento, spari anche questo nelle paghe dei remiganti, e

dimantur quidem, quidquam superesse. » Haec non in occulto, sed propalam in foro atque oculis ipsorum consulum ingens turba circumfusi fremebant: nec eos sedare consules, nunc castigando, nunc consolando, poterant. Spatium deinde his tridui se dare ad cogitandum dixerunt: quo ipsi ad rem inspiciendam expediendamque usi sunt. Senatum postero die habuerunt de remigum supplemento: ubi quum multa disseruissent, cur aequa plebis recusatio esset, verterunt orationem eo, ut dicerent, « Privatis id, seu aequum, seu iniquum, onus injungendum esse: nam unde, quum pecunia in aerario non esset, paraturos navales socios? Quomodo autem sine classibus aut Siciliam obtineri, aut Italia Philippum arceri posse, aut tuta Italiae litora esse ? »

XXXVI. Quum in hac difficultate rerum consilium haereret, ac prope torpor quidam occupasset hominum mentes, tum Laevinus consul, "Magistratus senatui, et senatum populo, sicut honore praestent, ita ad omnia, quae dura atque aspera essent, subeunda duces debere esse. Si quid injungere inferiori velis, id prius in te ac tuos si ipse juris statueris, facilius omnes obedientes habeas. Nec impensa gravis est, quum ex ea plus quam pro virili parte sibi quemque capere principum vident. Itaque classes habere atque ornare volumus populum Romanum? privatos sine recusatione remiges dare? nobismetipsis primum imperemus. Aurum, argentum, aes signatum omne senatores crastino die in publicum conferamus; ita ut annulos sibi quisque et conjugi et liberis, et filio bullam, et, quibus uxor filiaeve sunt, singulas uncias pondo auri relinquant; argenti, qui curuli sella sederunt, equi ornamenta et libras pondo, ut salinum patellamque deorum causa habere possint: ceteri senatores libram argenti tantum, aeris signati quina millia in singulos patresfamiliae relinquamus. Ceterum omne aurum, argentum, aes signatum ad triumviros mensarios extemplo deferamus, ante nullo senatusconsulto facto; ut voluntaria collatio et certamen adjuvandae reipublicae excitet ad aemulandum animos primum equestris ordinis, dein reliquae plebis. Hanc unam viam, multa inter nos collocuti, consules invenimus. Ingrediemini, diis bene juvantibus. Respublica incolumis et privatas res facile salvas praestat: publica prodendo,tua nequidquam serves. "In haec tanto animo consensum est, ut gratiae ultro consulibus agerentur. Senatu

nelle annue imposte. Non v' ha però forza, non comando, che li possa costringere a dare ciò, che non hanno. Vendessero pure i loro beni; incrudelissero contro le persone, che sole restano; non avanza loro nè anche di che riscattarsi." Così fremendo parlava, nè già occultamente, ma pubblicamente in sulla piazza e sugli occhi stessi de'consoli, immensa turba di popolo raccoltosi all'intorno; nè potevano i consoli nè coi rimprocci nè coi conforti acquetarli. Dissero in fine, che davan loro lo spazio di tre giorni a pensare; spazio, di cui si valsero essi pure per esaminare e disbrogliare la cosa. Raccolsero il senato il dì seguente per trattarvi del supplemento dei remiganti; dove, avendo molto disputato sulla giustizia del rifiuto della plebe, vennero finalmente a conchiudere; « che questo aggravio, fosse giusto o no, era pur forza imporlo ai privati; perciocchè non essendovi danaro nel tesoro, donde si poteva procacciarsi gente di mare? Come poi senza flotta ritener la Sicilia, o allontanar Filippo dall'Italia, o difenderne le coste ?"

XXXVI. In così grande imbarazzo non si sapendo a che partito appigliarsi, ed essendo le menti degli uomini quasi colpite da torpore, allora il console Levino: « Siccome i magistrati il senato, ed il senato avanza il popolo, così debbon essi essere i primi ad incontrare ogni più grave ed aspro peso. Se vuoi alcuna cosa imporre agl' inferiori, gli troverai più facilmente obbedienti, se innanzi ne avrai dato carico a te stesso ed a' tuoi. Nè par loro grave la spesa, quando scorgono i principali cittadini prendersene più gran parte, che non lor tocca. Vogliamo pertanto che il popolo Romano abbia flotte, che le allestisca? che i privati non ricusino di dar le ciurme? Imponiamo prima a noi stessi. Domani noi senatori portiamo al tesoro tutto l'oro, l'argento, la moneta di rame che abbiamo, sì che ognuno ritenga solamente un anello per sè, per la moglie e pe' figli, e la berchia pel figliuolo; e chi ha moglie e figliuole, non altro che un'oncia d'oro per ciascuna; e chi ebbe magistrati curali, i fornimenti d'argento del cavallo, e due libbre d'argento per la saliera e la coppa al servigio degli dei: gli altri senatori si ritengano soltanto una libbra d'argento, e ogni padre di famiglia cinque mila assi in moneta di rame. Tutto l'altro oro, argento, rame coniato, portiamolo subitamente ai triumviri della zecca, senza che ne sia fatto decreto del senato, acciocchè la volontaria collazione, e la gara di soccorrere la repubblica svegli l'emulazione prima nell'ordine de'cavalieri, poscia nel resto della plebe. Dopo di aver molto conferito insieme, non troviamo noi consoli altra via. Prendetela dunque col buon

inde misso, pro se quisque aurum, argentum et aes in publicum conferunt, tanto certamine injecto, ut prima inter primos nomina sua vellent in publicis tabulis esse; ut nec triumviri accipiundo, nec scribae referundo sufficerent. Hunc consensum senatus equester ordo est secutus; equestris ordinis plebes. Ita sine edicto, sine coërcitione magistratus, nec remige in supplementum, nec stipendio respublica eguit, paratisque omnibus ad bellum, consules in provincias profecti sunt.

XXXVII. Neque aliud magis tempus belli fuit, quo Carthaginienses Romanique pariter variis casibus immixti magis in ancipiti spe ac metu fuerint. Nam Romanis et in provinciis, hinc in Hispania adversae res, hinc prosperae in Sicilia, luctum et laetitiam miscuerant: et in Italia, quum Tarentum amissum damno et dolori, tum arx cum praesidio retenta praeter spem gaudio fuit : et terrorem subitum pavoremque urbis Romae obsessae et oppugnatae Capua post dies paucos capta in laetitiam vertit. Transmarinae quoque res quadam vice pensatae. Philippus hostis tempore haud satis opportuno faetus; Aetoli novi adsciti socii, Attalusque Asiae rex, jam velut despondente fortuna Romanis imperium Orientis. Carthaginienses quoque Capuam amissam et Tarentum captum aequabant; et, ut ad moenia urbis Romanae nullo prohibente se pervenisse in gloria ponebant, ita pigebat irriti incepti, pudebatque adeo se spretos, ut, sedentibus ipsis ad Romana moenia, alia porta exercitus Romanus in Hispaniam duceretur. Ipsae quoque Hispaniae, quo propius spem venerant, tantis duobus ducibus exercitibusque caesis, debellatum ibi ac pulsos inde Romanos esse; eo plus, ab L. Marcio tumultuario duce ad vanum et irritum victoriam redactam esse, indignationis praebebant. Ita aequante fortuna, suspensa omnia utrimque erant, integra spe, integro metu, velut illo tempore primum bellum inciperent.

XXXVIII. Hannibalem ante omnia augebant, quod Capua, pertinacius oppugnata ab Romanis, quam defensa ab se, multorum Italiae populorum LIVIO 2

favore degli dei; la cosa pubblica salvata salva anche le private; abbandonando le pubbliche ti lusinghi invano di salvar le tue." In che però fu il consentimento sì grande, che se ne fecero ai consoli spontanei ringraziamenti. Indi, licenziato il senato, ognuno porta alla cassa pubblica l'oro, l'argento e il rame monetato, tanta essendo la gara insorta, che tutti volevano scritto primo il loro nome ne' pubblici libri; sì che nè bastavano i triumviri a ricevere, nè gli scrivani a registrare. Questo consentimento del senato fu seguitato dall'ordine equestre, quello dell'ordine equestre dalla plebe. Così senza editto, senza forza usata dai magistrati, non mancò alla repubblica nè supplemento di remiganti, nè soldo per gli stipendii; e fatti tutti gli apparecchii per la guerra, andarono i consoli alle lor province.

XXXVII. Nè fuvvi altro tempo di guerra mai, nel quale i Cartaginesi ed i Romani egualmente, pel vario avvicendare dei casi, sieno stati più sospesi tra la speranza ed il timore. Perciocchè quanto ai Romani e nelle province, quinci i disastrosi avvenimenti nella Spagna, quinci i felici nella Sicilia, aveano mescolato insieme il lutto ad un tempo e l'allegrezza; e nell'Italia la perdita di Taranto arrecò danno e dolore, e la rocca col suo presidio conservata porse insperata letizia; e il subito terrore e la paura, che s'era avuta per l'assedio e la oppugnazione di Roma, pochi dì dopo per la presa di Capua voltossi in gioia. Anche le cose d'oltre mare furono da una specie di alternativa bilanciate. Filippo s'era dichiarato nemico in tempo tutt'altro, che opportuno; s'erano aggiunti nuovi alleati gli Etoli, ed Attalo, re dell'Asia, quasi la fortuna sin d'allora promettesse ai Romani l'impero dell'Oriente. Anche i Cartaginesi si pareggiavano colla perdita di Capua e colla presa di Taranto ; e come si recavano a gloria d'esser venuti senza contrasto sino sotto le mura di Roma, così dolevansi del mal riuscito tentativo; e si vergognavano d'essere stati si altamente dispregiati, che mentre si stavan essi ad una porta di Roma, da un'altra uscisse un esercito alla volta di Spagna. Le Spagne stesse, quanto più s'erano isperanzite, che tagliati a pezzi due sì valenti capitani ed eserciti, la guerra fosse finita, e fossero cacciati fuora i Romani, tanto più si crucciavano, che un capitano tumultuario, qual si era Lucio Marcio, avesse resa vana ed irrita la vittoria. Così, la fortuna bilanciando gli avvenimenti, tutto era in sospeso dall' una parte e dall'altra, come se appunto allora si cominciasse la guerra.

XXXVIII. Ciò che più ch'altro travagliava Annibale grandemente si era, che Capua più ostinatamente combattuta dai Romani, che difesa

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animos averterat : quos neque omnes tenere praesidiis, nisi vellet in multas parvasque partes carpere exercitum, quod minime tum expediebat, poterat ; nec, deductis praesidiis, spei liberam vel obnoxiam timori sociorum relinquere fidem. Praeceps in avaritiam ex crudelitatem animus ad spolianda, quae tueri nequibat, ut vastata hosti relinquerentur, inclinavit. Id foedum consilium, quum incepto, tum etiam exitu fuit : neque enim indigna patientium modo abalienabantur animi, sed ceterorum etiam; quippe ad plures exemplum, quam calamitas, pertinebat. Nec consul Romanus tentandis urbibus, sicunde spes aliqua se ostendisset, deerat. Salapiae principes erant Dasius et Blattius: Dasius Hannibali amicus; Blattius, quantum ex tuto poterat, rem Romanam fovebat, et per occultos nuncios spem proditionis fecerat Marcello; sed sine adjutore Dasio res transigi non poterat. Multum ac diu cunctatus, et tum quoque magis inopia consilii potioris, quam spe effectus, Dasium appellabat: at ille, quum ab re aversus, tum acmulo potentatus inimicus, rem Hannibali aperit. Arcessito utroque, Hannibal quum pro tribunali quaedam ageret, mox de Blattio cogniturus, starentque submoto populo accusator et reus; Blattius de proditione Dasium appellabat. «Enimvero, ille, velut in manifesta re, exclamat, sub oculis Hannibalis secum de proditione agi. " Hannibali atque eis, qui aderant, quo audacior res erat, minus similis veri visa est. « Aemulationem profecto atque odium esse ; et id crimen afferri, quod, quia testem habere non posset, liberius fingenti sit. » Ita inde dimissi sunt: nec Blattius ante abstitit tamen tam audaci incepto, quam idem obtundendo docendoque, quam ea res ipsis patriaeque salutaris esset, pervicit, ut praesidium Punicum (quingenti autem Numidae erant) Salapiaque traderetur Marcello. Nec sine caede multa tradi potuit: longe fortissimi equitum toto Punico exercitu erant. Itaque, quamquam improvisa res fuit, nec usus equorum in urbe erat, tamen, armis inter tumultum captis, et eruptionem tentaverunt, et, quum evadere nequirent, pugnantes ad ultimum occubuerunt; nec plus quinquaginta ex his in potestatem hostium vivi venerunt: plusque aliquanto damni haec ala equitum amissa Hannibali, quam Salapia, fuit: nec deinde unquam Poenus (quo longe plurimum valuerat) equilatu superior fuit.

da lui, gli aveva alienati gli animi di molti popoli d'Italia; i quali nè potea tutti contenere coi presidii, se non voleva sminuzzare l'esercito in molti piccioli brani, il che non gli conveniva fare in questo tempo; nè, fuor traendone i presidii, lasciar libera alla speranza, o esposta al timore la fede degli alleati. L'animo di lui dedito sfrenatamente all' avarizia ed alla crudeltà, lo fe' piegare al partito di spogliare que' luoghi, che non poteva difendere, onde lasciarli al nemico devastati. Questa determinazione fu brutta non meno nel suo concepimento, che infelice nell'esito; perciocchè si alienavano gli animi non solamente di quelli, che soffrivano l'indegno trattamento, ma eziandio degli altri; chè l'esempio andava a colpire assai più gente, che non la stessa calamità. Nè il console Romano mancava di tentare or questa, or quella città tutte le volte, che se gli offriva alcuna speranza. Erano principali cittadini di Salapia Dasio e Blattio; Dasio era amico di Annibale; Blattio, quanto più il poteva senza pericolo, favoreggiava i Romani; e con segreti messaggi avea porto speranza a Marcello di dargli la terra; ma non si potea venirne a fine senza l'aiuto di Dasio. Blattio, poi ch'ebbe molto e lungamente indugiato, finalmente, ed anche allora più per inopia di miglior consiglio, che per isperanza di buon successo, se ne aperse con Dasio. Ma questi avverso alla cosa, e nemico dell'emolo di sua potenza, svelò il tutto ad Annibale. Mentre Annibale, chiamati a sè l'uno e l'altro, stavasi in tribunale spicciando alcune cose, per poi tosto intrattenersi di Blattio, e trovandosi intanto l'accusatore ed il reo appartali alquanto dal popolo, Blattio sollecitava Dasio a ribellarsi. Questi, come se la cosa fosse già manifesta, si fa a gridare, « che gli si propone di ribellarsi sin sotto gli occhi dello stesso Annibale. » La cosa quant'era più ardita, tanto sembrò meno verisimile ad Annibale e a quelli che eran presenti: « Esser questo ad evidenza non altro che un tratto di gelosia e di odio; e l'accusa, che si dava, tanto era più facile ad infingersi, quanto che non si potea provare con testimonii. » Quindi furono licenziati. Nè Blattio ristette mai dall'ardita impresa sino a che, battendo sempre lo stesso punto, e mostrando quanto sarebbe la cosa ad essi stessi salutare ed alla patria, ottenne che Dasio consentisse di dare a Marcello Salapia col presidio Cartaginese (erano cinquecento Numidi). Nè si potè dare senza molta strage. Ci era la più valente cavalleria di tutto l'esercito Cartaginese. Quindi, sebbene la cosa fosse improvvisa, nè potessero far uso de' cavalli in città, nondimeno, prese l'armi in sul primo tumulto, tentarono di lanciarsi fuori, nè riuscendo loro di scampare,

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