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pensino quei che tanto godono contemplando le bellezze d'un che par lor essere in paradiso, e pur non sanno dipingere: sapessero, arían molto maggior contento, perché più perfet conosceríano quella bellezza, che nel cor genera lor tanta satis

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LIII. Rise quivi messer Cesare Gonzaga, e disse: Io già pittore; pur certo so aver molto maggior piacere di veder donna, che non aría, se or tornasse vivo, quello eccellentissim che voi poco fa avete nominato. Rispose il Conte: Quest 5 vostro non deriva interamente da quella bellezza, ma dalla che voi forse a quella donna portate; e, se volete dir il prima volta che voi a quella donna miraste, non sentiste sima parte del piacere che poi fatto avete, benché le bellezz quelle medesime: però potete comprender quanto più parte 10 vostro abbia l'affezion che la bellezza. Non nego ques messer Cesare; ma secondo che 'l piacer nasce dalla affezi l'affezion nasce dalla bellezza: però dir si pò che la bellezz causa del piacere. Rispose il Conte: Molte altre cause anc infiammano gli animi nostri, oltre alla bellezza; come i co 15 sapere, il parlare, i gesti, e mill' altre cose, le quali però a modo forse esse ancor si potríano chiamar bellezze; ma so il sentirsi essere amato: di modo che si pò ancor senza q lezza di che voi ragionate amare ardentissimamente; m amori che solamente nascono dalla bellezza che superficial 20 demo nei corpi, senza dubbio daranno molto maggior piace piú la conoscerà, che a chi meno. Però, tornando al nostro penso che molto più godesse Apelle contemplando la be Campaspe, che non faceva Alessandro: perché facilmente der che l'amor dell'uno e dell' altro derivasse solamente 25 bellezza; e che deliberasse forse ancor Alessandro per quest donarla a chi gli parve che più perfettamente conoscer 1 Non avete voi letto, che quelle cinque fanciulle da Croton tra l'altre di quel populo elesse Zeusi pittore, per far di tu una sola figura eccellentissima di bellezza, furono celebrat

LIII. 8. Che poi fatto avete. Cioè di 'quello che abbiate sentito e provato di poi.

11. Secondo che 'l piacer ecc. A quel modo che il piacer nasce ecc.

18. Quegli amori ecc. Gli amori puramente sensuali, che nascono dalla sola ammirazione e dilettazione estetica.

19. Superficialmente. Sta qui per esteriormente.

27. Non avete voi letto ecc. Di questo fatto notissimo parlano molti scrittori antichi, fra i quali Cicerone nel principio del secondo libro della Rhetorica o de inventione, e Plinio (Op. cit. lib. XXXV, 9). II

C. si attiene a Cicerone, disc
Plinio, il quale, forse per err
disse il fatto avvenuto, non a
ad Agrigento. Anche l'Ariost
(Orl. Fur. C. XI, st. 71) le bell
pia, cantava:

E se fosse costei stata a
Quando Zeusi l'immagine fa
Che por dovea nel tempio d
E tante belle nude insieme
E che per farne una in perf
Da chi una parte e da chi u
Non avea da tor altra che c
Che tutte le bellezze erano

poeti, come quelle che per belle erano state approvate da colui, che 30 perfettissimo giudicio di bellezza aver dovea?

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LIV. Quivi, mostrando messer Cesare non restar satisfatto, né voler consentir per modo alcuno che altri che esso medesimo potesse gustare quel piacer ch' egli sentiva di contemplar la bellezza d'una donna, ricominciò a dire: ma in quello s'udí un gran calpestare di piedi, con strepito di parlar alto: e cosí rivolgendosi ognuno, si vide 5 alla porta della stanza comparire un splendor di torchi, e subito drieto giunse con molta e nobil compagnia il signor Prefetto, il qual ritornava, avendo accompagnato il papa una parte del cammino; e già allo entrar del palazzo dimandando ciò che facesse la signora Duchessa, aveva inteso di che sorte era il giuoco di quella sera, e 'l 10 carico imposto al conte Ludovico di parlar della Cortegianía; però quanto più gli era possibile studiava il passo, per giungere a tempo d'udir qualche cosa. Cosí, subito fatto riverenzia alla signora Duchessa, e fatto seder gli altri, che tutti in piedi per la venuta sua s'erano levati, si pose ancor esso a seder nel cerchio con alcuni 15 de' suoi gentilomini; tra i quali erano il marchese Febus e Ghirardino fratelli da Ceva, messer Ettor Romano, Vincenzo Calmeta, Orazio Florido, e molti altri; e stando ognun senza parlare, il signor Prefetto disse: Signori, troppo nociva sarebbe stata la venuta mia qui, s'io avessi impedito cosí bei ragionamenti, come estimo che sian 20 quelli che ora tra voi passavano; però non mi fate questa ingiuria, di privar voi stessi e me di tal piacere. Rispose allora il conte Ludovico: Anzi, signor mio, penso che 'l tacer a tutti debba esser molto più grato che 'l parlare; perché essendo tal fatica a me piú che agli altri questa sera toccata, oramai m'ha stanco di dire, e 25 credo tutti gli altri d'ascoltare, per non esser stato il ragionamento mio degno di questa compagnia, né bastante alla grandezza della materia di che io aveva carico; nella quale avendo io poco satisfatto a me stesso, penso molto meno aver satisfatto ad altrui. Però a voi, Signore, è stato ventura il giungere al fine: e bon sarà mo 30 dar la impresa di quello che resta ad un altro che succeda nel mio loco; perciò che, qualunque egli si sia, so che si porterà molto meglio ch'io non farei se pur seguitar volessi, essendo oramai stanco

come sono.

LIV. 6. Torchi, per torce, è forma arcaica, ma che al C. poteva derivare dalla parlata lombarda. Più addietro (Cap. XL, 87) s'è incontrata la forma dialettale torze.

7. Il signor Prefetto. Cioè il giovinetto Francesco Maria della Rovere; il figlio adottivo del Duca Guidobaldo e nipote di papa Giulio II, che lo aveva creato Prefetto della Città di Roma. Secondo la cronologia che s'è già fissata, questo ritorno del giovane principe, che aveva accom

pagnato il pontefice sulla via di Foligno, dovette avvenire nella notte dall'8 al 9 di marzo del 1507.

16. Il marchese Febus ecc. Per questi personaggi si veda il Dizionarietto biogr.

25. E credo tutti gli altri. E credo abbia stancato tutti gli altri d'udire.

27. Né bastante ecc. Né adeguato all'altezza ed importanza dell'argomento. 31. Dar la impresa. Cioè affidarla, dare il carico.

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LV. Non sopportarò io, rispose il Magnifico Juliano, p alcuno esser defraudato della promessa che fatta m'avete so che al Signor Prefetto ancor non dispiacerà lo intende parte. E qual promessa? disse il Conte. Rispose il Magi 5 dechiarirci in qual modo abbia il Cortegiano da usare qu condizioni, che voi avete detto che convenienti gli sono. signor Prefetto, benché di età puerile, saputo e discreto più parea s'appartenesse agli anni teneri, ed in ogni suo m mostrava con la grandezza dell'animo una certa vivacità 10 gegno, vero pronostico dello eccellente grado di virtú dove doveva. Onde subito disse: Se tutto questo a dir resta, pa assai a tempo venuto; perché intendendo in che modo d tegiano usar quelle bone condizioni, intenderò ancora q siano, e cosí verrò a saper tutto quello che infin qui è sta 15 Però non rifiutate, Conte, di pagar questo debito d'una quale già sete uscito. Non arei da pagar tanto debito, Conte, se le fatiche fossero piú egualmente divise; ma lo stato dar autorità di comandar ad una signora troppo pa e cosí, ridendo, si volse alla signora Emilia; la qual sub 20 Della mia parzialità non dovreste voi dolervi; pur, poi ragion lo fate, daremo una parte di questo onor, che voi fatica ad un altro; e, rivoltasi a messer Federigo Fres disse, proponeste il gioco del Cortegiano; però è ancor ra che a voi tocchi il dirne una parte: e questo sarà il sati 25 domanda del signor Magnifico, dechiarando in qual modo e tempo il Cortegiano debba usar le sue bone condizioni, quelle cose che 'l Conte ha detto che se gli convien sapere. messer Federigo, Signora, disse, volendo voi separare il tempo e la maniera delle bone condizioni e ben operare 30 tegiano, volete separar quello che separar non si pò, perc

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gnora
Emilia risponde arg
Conte Canossa, sebbene più cl
provero, che rivela la familia
di quei convegni, andasse a c
chessa, la quale aveva comm
re» di dare « tutta la sua au
nobile dama. Ma anche qu
mento di poteri la buona Du
betta l'aveva fatto ridendo, 1
VI), rivolta alla Signora Emi
detto: «Acciò che ognuno v'a
dire vi faccio mia locotener
tutta la mia autorità ».

27. Allora messer Federigo goso tenta di sottrarsi al cari vuole affidare, e di lasciarlo osservando che la trattazione andare divisa; ma la signora una facile ragione lo induce

cose son quelle che fanno le condizioni bone e l'operar bono. Però avendo il Conte detto tanto e cosí bene ed ancor parlato qualche cosa di queste circostanzie, e preparatosi nell'animo il resto che egli avea a dire, era pur ragionevole che seguitasse insin al fine. Rispose la signora Emilia: Fate voi conto d' essere il Conte, e dite 35 quello che pensate che esso direbbe; e cosí sarà satisfatto al

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LVI. Disse allor il Calmeta: Signori, poiché l'ora è tarda, acciò che messer Federico non abbia escusazione alcuna di non dir ciò che sa, credo che sia bono differire il resto del ragionamento a domani; e questo poco tempo che ci avanza si dispensi in qualche altro piacer senza ambizione. Cosi confermando ognuno, impose la signora 5 Duchessa a madonna Margherita e madonna Costanza Fregosa, che danzassero. Onde subito Barletta, musico piacevolissimo e danzator eccellente, che sempre tutta la corte teneva in festa, cominciò a sonare suoi instrumenti; ed esse, presesi per mano, ed avendo prima danzato una bassa, ballarono una roegarze con estrema grazia, e 10

35. Fate voi conto ecc. Qui abbiamo ano di quei giochi di parole che, a partire dai primi secoli, si riscontrano, quando piú, quando meno copiosi, anche nella notra letteratura. Cfr. lib. II, cap. LXIII.

36. E cosí sarà satisfatto ecc. Ogni sosa sarà compiuta a dovere, la trattazione procederà senza inconvenienti di sorta.

LVI. 1. Acciò che messer Federico ecc. Per togliergli il pretesto di non essere prearato e di rifiutarsi ad obbedire.

5. Senza ambizione. Tranquillo, molesto, tale da non eccitare desiderî troppo avi di onore e di preminenza.

6. Madonna Margherita. Vedasi nel Diionarietto biografico, sotto Gonzaga.

7. Barletta. Oltre a questo e ad un tro accenno dell'A. (II, 11), non conosco tre notizie intorno a questo musico e anzatore della Corte Urbinate, che doeva certo essere maestro eccellente nel'arte sua per meritare le lodi d'un giuice come il C. e il favore d'una Corte me quella d'Urbino.

9. Suoi instrumenti. Piú sopra si sono icordati gli strumenti musicali piú in voga ella società elegante del sec. XVI: qui arà utile citare un passo dei Ragionaenti del Firenzuola (ed. cit. p. 283), dove i discute della preferenza da darsi al into o alla vivola (viola): « e finalmente per erissima conclusione di madonna la Rei

fu detto, che ancorché il liuto per se Asse di maggior diletto, e che maggior aestria si ricercasse al sonarlo, nientedileno a pudica donna e a nobile uomo, ' quali secondo il costume greco oggidí è

permesso saper ben sonare e ben cantare, e a quelli massimamente che avessero qualche dimestichezza con le Muse, era la vi vola, o vogliamo dir lira, assai piú conveniente, come proprio instrumento di Apollo, signore e maestro di tutte le Muse e de' poeti ».

10. Una bassa. La bassa danza era una specie di ballo d'origine spagnuola, e assai in voga per tutti i secoli xv e XVI. Circa la sua composizione è da vedere il Trattato dell'Arte del ballo di Guglielmo Ebreo Pesarese, testo inedito del sec. XV (Bologna, Romagnoli, 1873, Disp. 131 della Scelta di curios. letter. p. 30), dove (pp. 38 sgg.) sono anche date parecchie descrizioni minute di basse danze, ognuna delle quali contrassegnata con denominazioni speciali, come la Reale, l'Alessandresca, Cupido, Partita crudele, Venus e Zauro. Queste due ultime son dette composte nientemeno che « per (cioè da) Lorenzo di Piero di Cosimo de' Medici ». Da un passo di questo Trattato (p. 72 « qui finiscono le basse danze et incominciano i balli ») si ricava che comunemente facevasi una distinzione fra i balli propriamente detti e le basse danze, che corrispondevano ai nostri balli figurati (Cfr. G. B. Doni, De' trattati di Musica, t. II della Lyra Barberina, Firenze, 1763, p. 93). Si vedano anche le Otto basse danze di M. Guglielmo da Pesaro e di M. Domenico da Ferrara, pubbl. da D. M. Faloci Pulignani (In Foligno, tip. Scariglia, 1887, per nozze Renier-Campostrini) di sur un codice di Foligno, e la prefazione dell' editore.

Una roegarze. È il nome d'una dan

singolar piacere di chi le vide; poi, perché già era pass pezza della notte, la signora Duchessa si levò in piedi ognuno reverentemente presa licenzia, se ne andarono a do

za d'origine francese, che ricorre assai di raro nei libri del secolo XVI, come nel curioso volumetto intitolato Banchetti Compositioni di vivande et apparecchio generale di Christoforo di Messisburgo, in Ferrara, per Giovanni de Buglhat et Antonio Hucher Compagni nell'anno MDXLIX (c. 2 r.), dove l'Autore, descrivendo il banchetto dato il 21 maggio 1529 da Ippolito d' Este

al fratello Ercole e alla di lui
nata, dice che, portata in tav
ma vivanda, « venne fuori de
il tamburino della illustrissim
danzando con 4 giovani e 4 da
tanta saggezza che fu meravi
scheduno e cosí andarono balla
muna, la bassa di Spagna, la
il brando sempre d'attorno al

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