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aversi con queste sue piacevolezze acquistato una certa libertà, per 5 la qual lor convenga e sia licito e fare e dire ciò che loro occorre cosí senza pensarvi. Però spesso questi tali entrano in certe cose, delle quai non sapendo uscire, voglion poi aiutarsi col far ridere; e quello ancor fanno cosí disgraziatamente che non riesce: tanto che inducono in grandissimo fastidio chi gli vede ed ode, ed essi restano 10 freddissimi. Alcuna volta, pensando per quello esser arguti e faceti, in presenzia d'onorate donne, e spesso a quelle medesime, si mettono a dir sporchissime e disoneste parole; e quanto più le veggono arrossire, tanto piú si tengon buon Cortegiani, e tuttavia ridono, e godono tra sé di cosí bella virtú, come lor pare avere. Ma per niuna 15 altra causa fanno tante pecoragini, che per esser estimati bon compagni: questo è quel nome solo che lor pare degno di laude, e del quale più che di niun altro essi si vantano; e per acquistarlo si dicon le più scorrette e vituperose villanie del mondo. Spesso s'urtano giú per le scale, si dan de'legni e de' mattoni l'un l'altro nelle reni, met- 20 tonsi pugni di polvere negli occhi, fannosi ruinar i cavalli adosso ne' fossi o giù di qualche poggio; a tavola poi, minestre, sapori, geatine, tutte si danno nel volto: e poi ridono; e chi di queste cose sa far piú, quello per meglior Cortegiano e piú galante da sé stesso 'apprezza, e pargli aver guadagnato gran gloria; e se talor invitano 25 cotai sue piacevolezze un gentilomo, e che egli non voglia usar questi scherzi selvatichi, subito dicono ch'egli si tien troppo savio e gran maestro, e che non è buon compagno. Ma io vi vo'dir peggio. Sono alcuni che contrastano e mettono il prezzo a chi pò mangiare bere più stomacose e fetide cose; e trovanle tanto aborrenti dai 30 jensi umani, che impossibil è ricordarle senza grandissimo fastidio.

XXXVII. E che cose possono esser queste? disse il signor Lulovico Pio. Rispose messer Federico: Fatevele dire al marchese

XXXVI. 6. Loro occorre è giustamente 1ostituito al gli occorre della lezione prinitiva; loro viene in mente, in capriccio. 7. In certe cose. Qui forse è troppo inleterminato. invece di « in certi ragionanenti. discorsi di cose ecc. ».

9. Disgraziatamente. Senza grazia, inelicemente,

10. In grandissimo fastidio. Assai più roprio del « in grandissima melancolia » lella lezione primitiva.

16. Bon compagni. Allegri, spiritosi comagnoni.

20. Mettonsi. Più proprio «gettansi ». 22. A tavola poi ecc. Questi atti che a loi parrebbero oggi assai strani e inveroimili, non sono punto esagerati. Basti riordare le gesta che, alla mensa di un iulio II, e istigatore e buon compagnone 1 Bibbiena, compieva fra Mariano; il quale, Come scrive un testimonio oculare, « capo

di tavola fece delle pacie a suo modo in
quantità; in mezzo la zena a l'improviso
saltò in su la tavola, corendo in fino di
capo, menando di man a Cardinali, a Ve-
scovi ».
Di più veniamo a sapere che « alla
seconda vivanda li polastri volavano per
la tavola cacciati dal frate; poi da li pre-
ti, con li sapori et minestre se dipingeva-
no li volti et panni ». (V. Luzio, Federico
Gonzaga ostaggio alla corte di Giulio II,
ed. cit.). Sapori. Sorta di salsa; piú co-

mune savori.

30. E trovanle. Forse più chiara e propria la lezione primitiva del cod. laurenz.: « e le imaginano ».

XXXVII. 2. Al Marchese Febus: Dal Marchese Febus, secondo un uso frequente nei nostri classici. Circa a questo personaggio vedasi il Dizionarietto biografico: e si ricordi il Cap. LIV, del lib. I, dove esso è nominato insieme col fratello Ghirardino.

Febus, che spesso l'ha vedute in Francia, e forse gli è intervenuto Rispose il marchese Febus: Io non ho veduto far cosa in Francia 5 di queste, che non si faccia ancor in Italia; ma ben ciò che hanno di bon gl' Italiani nei vestimenti, nel festeggiare, banchettare, ar meggiare, ed in ogni altra cosa che a Cortegian si convenga, tutto l'hanno dai Franzesi. Non dico io, rispose messer Federico, che ancor tra Franzesi non si trovino dei gentilissimi e modesti cavalieri; 10 ed io per me n'ho conosciuti molti veramente degni d'ogni laude; ma pur alcuni se ne trovan poco riguardati: e, parlando generalmente, a me par che con gli Italiani piú si confaccian nei costumi i Spagnoli che i Franzesi, perché quella gravità riposata peculiar dei Spagnoli mi par molto più conveniente a noi altri, che la pronta 15 vivacità, la qual nella nazion franzese quasi in ogni movimento si conosce; il che in essi non disdice, anzi ha grazia, perché loro è cosí naturale e propria, che non si vede in loro affettazione alcuna. Trovansi ben molti Italiani che vorriano pur sforzarsi d'imitare quella maniera; e non sanno far altro che crollar la testa parlando, e far 20 riverenzie in traverso di mala grazia, e quando passeggian per la terra camminar tanto forte, che i staffieri non possano lor tener drieto: e con questi modi par loro esser boni Franzesi, ed aver di quella libertà; la qual cosa in vero rare volte riesce, eccetto a quelli che son nutriti in Francia e da fanciulli hanno preso quella maniera. Il 25 medesimo intervien del saper diverse lingue; il che io laudo molto nel Cortegiano, e massimamente la spagnola e la franzese: perché il commerzio dell'una e dell'altra nazione è molto frequente in Italia. e con noi sono queste due piú conformi che alcuna dell'altre; e que'

13. I Spagnoli. Più correttamente nella lezione laurenz. di mano del copista « li Spagnoli ».

20. Per la terra. Per la città.

25. Del saper diverse lingue. Questa conoscenza, almeno del francese e dello spagnuolo, non dovette mancare al C., che nella sua qualità di diplomatico si trovò nella necessità di valersene spesso. Tuttavia, anche nelle corti più splendide, il francese si conosceva assai meno di quanto si potrebbe credere. Valgano a dimostrarlo due soli esempî, l'uno d' una principessa colta e geniale, anzi la piú colta e geniale del sec. XVI, l'altro di un letterato e diplomatico famoso. La Marchesa Isabella di Mantova descrivendo alla cognata Elisabetta, Duchessa d'Urbino, le feste celebrate in Milano nel luglio 1507, durante il soggiorno di Luigi XII, confessava d'aver dovuto ricorrere all'aiuto di alcune dame sue amiche, che le facevano da interpreti nella conversazione col re di Francia (LuzioRenier, Gara di viaggi, ed. cit. p. 9). Gio

vanni Rucellai scriveva che trovandosi nel maggio del 1506 in Avignone, aveva « giả imparato a dire nani et oi». (Lettere ne Le Opere per cura di G. Mazzoni, Bologna, 1887, p. 244). Più diffusa si fece in se guito la conoscenza dello spagnuolo, piu diffusa che non quella del francese, che an che alquanto più tardi (1527) in una corte cosi colta come quella di Ferrara, appariva tanto difficile, da far rinunziare alla recita dei Menecmi tradotti appunto nella lingua d'oltr' alpi (Cfr. B. Fontana, Renata di Francia, Duchessa di Ferrara, Roma, 1889. p. 97). Perciò uno degli interlocutori di questi dialoghi, messer Niccolò Frisio, doveva godere d'una speciale considerazione alla Corte urbinate, come quello che, a detta d'un suo degno amico, Luigi da Porto (Lettere storiche, ed. cit. p. 23), « avendo diverse lingue », e per le altre sue doti morali e intellettuali, era stato mandato ambasciatore in Germania ed in Ispagna.

28. Que' dui principi. Il re di Francia e il re di Spagna.

dui principi, per esser potentissimi nella guerra e splendidissimi nella pace, sempre hanno la corte piena di nobili cavalieri, che per 30 tutto 'l mondo si spargono; ed a noi pur bisogna conversar con loro.

XXXVIII. Or io non voglio seguitar piú minutamente in dir cose troppo note, come che 'l nostro Cortegiano non debba far profession d'esser gran mangiatore, né bevitore, né dissoluto in alcun mal costume, né laido e mal assettato nel vivere, con certi modi da contadino, che chiamano la zappa e l'aratro mille miglia di lontano; 5 perché chi è di tal sorte, non solamente non s'ha da spèrar che divenga bon Cortegiano, ma non se gli pò dar esercizio conveniente, altro che di pascer le pecore. E, per concluder, dico, che bon saria che 'l Cortegian sapesse perfettamente ciò che detto avemo convenirsigli, di sorte che tutto 'l possibile a lui fosse facile, ed ognuno 10 di lui si maravigliasse, esso di niuno; intendendo però che in questo non fosse una certa durezza superba ed inumana, come hanno alcuni, che mostrano non maravigliarsi delle cose che fanno gli altri, perché essi presumon poterle far molto meglio, e col tacer le disprezzano, come indegne che di lor si parli; e quasi voglion far segno 15 che niuno altro sia non che lor pari, ma pur capace d'intendere la profondità del saper loro. Però deve il Cortegian fuggir questi modi odiosi, e con umanità e benivolenzia laudar ancor le bone opere degli altri; e benché esso si senta ammirabile, e di gran lunga superior a tutti, mostrar però di non estimarsi per tale. Ma perché nella na- 20 tura umana rarissime volte e forse mai non si trovano queste cosí compite perfezioni, non dee l'omo che si sente in qualche parte manco diffidarsi però di sé stesso, né perder la speranza di giungere a bon grado, avvenga che non possa conseguir quella perfetta e suprema eccellenzia dove egli aspira; perché in ogni arte son molti 25 lochi, oltr' al primo, laudevoli; e chi tende alla summità, rare volte interviene che non passi il mezzo. Voglio adunque che 'l nostro Cortegiano, se in qualche cosa, oltr'all'arme, si trovarà eccellente, se ne vaglia e se ne onori di bon modo; e sia tanto discreto e di bon giudicio, che sappia tirar con destrezza e proposito le persone a vedere 30 ed udir quello, in che a lui par d'essere eccellente, mostrando sempre farlo non per ostentazione, ma a caso, e pregato d'altrui più presto che di voluntà sua; ed in ogni cosa che egli abbia da far o dire, se possibil è, sempre venga premeditato e preparato, mostrando però il tutto esser all'improvviso. Ma le cose nelle quai si sente mediocre, 35

29. Potentissimi ne la guerra ecc. Nella redazione del cod. laurenz., di mano del copista: potentissimi e ne la pace e nella

guerra ».

XXXVIII. 4. Né laido. È sostituito allo stomacoso » della redazione primitiva (cod. laur.), forse perché quest'ultimo sembrava

all'A. un lombardismo.

26. Lochi. Punti, gradi.
30. Proposito. Opportunità.

34. Premeditato. Qui il participio in funzione di aggettivo, non ha valore passivo, ma transitivo, come il praemeditatus latino.

credere che più assai ne sappia di ciò ch'egli mostra: co alcuni poeti che accennavano cose sottilissime di filosofia scienzie, e per avventura n'intendevan poco. Di quello poi 40 conosce totalmente ignorante non voglio che mai faccia pr alcuna, né cerchi d'acquistarne fama; anzi, dove occorre, chia confessi di non saperne.

XXXIX. Questo, disse il Calmeta, non arebbe fatto Ni quale essendo eccellentissimo filosofo, né sapendo più legg lare, benché un Podestà di Padoa avesse deliberato dargli una lettura, non volse mai, a persuasion di molti scolari, des 5 quel Podestà e confessargli di non saperne, sempre dicend

36. Senza fondarsici. Sostituito felicemente al « fondarsegli» della lezione primitiva. Qui il « fondarsi » vale insistere, indugiarsi sopra una cosa.

XXXIX. 1. Nicoletto. Questo personaggio che è rimasto finora un Carneade per gli editori del Cortegiano, fu veramente, se non « eccellentissimo », uno dei più famosi filosofi dei suoi tempi. Paolo Nicola Vernia soprannominato poi Nicoletto, come Peretto il Pomponazzi suo successore, perché di piccola statura - Inativo di Chieti, recossi probabilmente a studiare in Padova. Quivi rimase poi come professore ed aveva propriamente l'insegnamento della fisica, sebbene nell' aprile 1444 avesse preso la laurea nelle Arti (filosofia), nel 1458 quella in Medicina, e i suoi scritti e la sua migliore attività riguardassero specialmente la filosofia, nella quale si mostrò Averroista battagliero fino al 1492, allorquando, per le minacce di Pietro Barozzi, vescovo di Padova, si ritrattava passando al tomismo. Mori nell'ottobre del 1499. Ebbe anche fama di uomo faceto, ed è curioso vedere qui l' aneddoto accennato dal Calmeta, rinarrato da Agostino Nifo, nel suo trattato De re aulica, uscito la prima volta in luce nel 1534, e rinarrato con maggior abbondanza di particolari. In esso il Nifo scrive Nicoletus Theatinus praecep

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tor noster sua aetate peripateticus eximius »>, essersi dilettato assai di burle e facezie, e di lui riferisce un' assai piccante risposta: « Cum ob mortem (scrive il Nifo) cuiusdam locus iuris canonici vacuus esset, Augustinus Barbadicus (Barbarigo) agens Patavii praetorem, impulsu studentium qui rogabant ut conduceret doctorem quemdam siculum, respondit: ego habeo doctorem egregium, qui vobis optime satisfaciet. Interrogantibus quisnam ille esset: Nicoletus, inquit. At illi: domine, animadvertas, nam Nicoletus philosophus est: non autem iure

canonico peritus. Iratus praeto lam crucem abirent iussit. Nico accersitus est a praetore eique legeret ius canonicum, quonia cede erat daturus trecentos aur dit: accipio conditionem, tibi ago innumeras. Poteris quidem, tor, mane canonicum, vesperi p legere. Post vero aliquot dies re dente, studentes rogabant Nico ceret praetori non esse cano professionem. Quibus respond quam dicturus sum, potissimun in omnibus summum putat. multa, munusculis non mediocri ab illis studentibus, operam pr vato tamen praetoris honore) quem cupiebant conduceretur, p suadendo sese senem, laboribus becillitatem esse ineptum » (D) in fine: Neapoli, Joannes Anton neto papiensis excudebat. Ann die xxIII julii, cap. LXXXVII). mo una pagina curiosa della tesca dell' Università padovana, un suo antico scolaro. Copiose vita e delle opere del Vernia temente P. Regnisco (Nicoletto Atti del R. Istituto Veneto, t. xx t. II, disp. IV, pp. 241-66 e C 617-64), valendosi del materiale lasciato dal Morelli, ma tras non erro, i documenti pubblic nacci e riprodotti poi dal Fi Pomponazzi, Firenze, 1868, pp. e il passo del Cortegiano.

4. Una lettura. Una cattedr a quella guisa che il professo « lettore », e come, nella narra testé riferita, l'insegnare filoso philosophiam legere ». Del ha che a pensare a lezione. Nel primitiva di mano del copista nel cod. laurenz.: dagline una

accordar in questo con la opinione di Socrate, né esser cosa da filosofo il dir mai di non sapere. Non dico io, rispose messer Fede rico, che 'l Cortegian da sé stesso, senza che altri lo ricerchi, vada a dir di non sapere; ché a me ancor non piace questa sciocchezza d'accusar o disfavorir sé medesimo: e però talor mi rido di certi 10 omini, che ancor senza necessità narrano volentieri alcune cose, le quali, benché forse siano intervenute senza colpa loro, portan però seco un'ombra d'infamia; come faceva un cavalier che tutti conoscete, il qual sempre che udiva far menzion del fatto d'arme che si fece in Parmegiana contra 'l re Carlo, subito cominciava a dir in che 15 modo egli era fuggito, né parea che di quella giornata altro avesse veduto o inteso; parlandosi poi d'una certa giostra famosa, contava pur sempre come egli era caduto; e spesso ancor parea che nei ragionamenti andasse cercando di far venire a proposito il poter narrar che una notte, andando a parlar ad una donna, avea ricevuto di 20 molte bastonate. Queste sciocchezze non voglio io che dica il nostro Cortegiano, ma parmi ben che offerendoseli occasion di mostrarsi in cosa di che non sappia punto, debba fuggirla; e se pur la necessità lo stringe, confessar chiaramente di non saperne, più presto che mettersi a quel rischio: e cosí fuggirà un biasimo che oggidi meritano 25 molti, i quali, non so per qual loro perverso istinto o giudicio fuor di ragione, sempre si mettono a far quel che non sanno, e lascian quel che sanno. E, per confermazion di questo, io conosco uno eccellentissimo musico, il qual, lasciata la musica, s'è dato totalmente a compor versi, e credesi in quello esser grandissimo omo, e fa ridere 30 ognun di sé, e omai ha perduta ancor la musica. Un altro de' primi

6. Con la opinione di Socrate. Si allude al detto famoso di Socrate cosi riferito da Diogone Laerzio (Vita di Socrate, volgarizzam. del Lechi): « Diceva che egli nulla sapeva, tranne che ciò stesso sapeva ». Cfr., fra le opere di Cicerone, le Acad. poster., , XII, 44, e meglio, le Accad. prior., II, XXIII, 74.

14. Del fatto d'arme ecc. Allusione alla battaglia di Fornovo, combattuta il 2 luglio 1495, la quale si soleva designare nel nodo stesso adoperato dall'A., come appaisce anche da una lettera che la Marchesa Isabella di Mantova inviava il 3 luglio 1501 il Marchese suo marito: «Ho ordinato alli enescalchi che provedano che marti, che erà el di del fatto d'arme de Parmesana, ai celebrato uno officio per le anime de quelli nostri valorosi homini, quali persero a vita per salvare Italia » (D'Arco, Notizie Isabella ecc. loc. cit. p. 248). Al C. queto anniversario risvegliava il ricordo dooroso insieme e gradito del padre suo Cridoforo, ehe in quella memoranda giornata veva dato prove di grande valore ed aveva

riportate quelle ferite che furono poi causa della sua morte.

22. Ma parmi ben ecc. Prima il copista aveva scritto: «ma dico che ecc. ».

28. Uno eccellentissimo musico. Forse dovremo rinunziare per sempre a sapere il nome di questo musico, come di quel cavaliere che tutti alla corte d'Urbino conoscevano.

31. Un altro de' primi pittori ecc. La congettura messa innanzi dal Volpi, che qui si alluda a Leonardo da Vinci, diventa quasi assoluta certezza per poco che consideriamo la vita di lui, le varie qualità e attitudini del suo genio e il giudizio che ne recarono i suoi contemporanei. Per questo basterà rileggere qualche passo della vita che ne lasciò scritta il Vasari (ed. Milanesi, Firenze, Sansoni 1880, t. iv, pp. 17-90): «... Volle la natura tanto favorirlo, che dovunque ei rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfezione di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia, nessun altro mai gli fu pari.... E tanti

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