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poi malato un altro prete, disse Antonio Torello a quel tale: Che stai tu a far, che non mandi per quel tuo notaro, e vedi di carpir quest'altro beneficio? Medesimamente d'alcune che non sono con- 10 sentanee; come l'altro giorno avendo il papa mandato per messer Joan Luca da Pontremolo e per messer Domenico dalla Porta, i quali, come sapete, son tutti dui gobbi, e fattogli Auditori, dicendo voler indrizzare la Rota, disse messer Latin Juvenale: Nostro Signore s'inganna, volendo con dui torti indrizzar la Rota.

LXXX. Ridesi ancor spesso quando l'omo concede quello che se gli dice, ed ancor più, ma mostra intenderlo altramente. Come, essendo il capitan Peralta già condotto in campo per combattere con

ut, quum Scaurus nonnullam haberet invidiam ex eo, quod Phrygionis Pompeii, locupletis hominis, bona sine testamento possederat, sederetque advocatus reo Bestiae, quum funus quoddam duceretur, accusator C. Memmius, Vide, inquit, Scaure, mortuus rapitur, si potes esse possessor. »

8. Antonio Torello. Fu cameriere segreto di Giulio II e poi di Leone X, fatto cittadino romano nel 1530, morto nel 1536 (C.). Il 1° luglio del 1514 Leone X con due brevi conferiva a lui « Antonio de Torellis presb. Fulginantens. dioec. », prete della diocesi di Foligno, un canonicato e alcune prehende ecclesiastiche, « certa beneficia» della stessa diocesi, vacanti per la morte di prete Antenore Adriano da Cibo. (Leonis X Regesta, nn. 10103, 10104). Si capisce dunque che di beneficî ecclesiastici il Torello doveva intendersi.

12. Messer Domenico dalla Porta. Nei Regesta citati (n. 45 e 9885) appariscono, sotto gli anni 1513 e 1514, un Francesco e un Girolamo della Porta, ambedue chierici di Novara, il primo famigliare, il secondo anche scrittore dei brevi apostolici di Leone X. Forse che questo messer Do. menico apparteneva alla stessa famiglia fu dal C. scambiato, per una inesattezza di nome facile a spiegarsi, con l'uno o l'altro dei due?

13. Auditori. Giudici collegiali della Ruota della Giustizia o semplicemente Ruota (Rofa), la quale, come scrive il Moroni (Dizion. ecclesiast. LXXXII, 208-11) citato dal Rezasco (Dizion. stor. amministr.) era la Corte Suprema civile e criminale, quella di Roma, anche ecclesiastica per tutto l'orbe cattolico, come tribunale del Vescovo della Chiesa Universale, però quivi intitolata Sacra, da Roma allargatosi l'Istituto e il nome alle altre provincie italiane. Non è sieura l'origine del nome di Ruota: che, secondo alcuni, proviene dall'uso degli Auditori della romana ruota di sedere tribunalmente in cerchio, secondo altri dall'or

dine vicendevole di proporre essi Auditori a mano a mano le cause che si dovevano giudicare; secondo altri infine dal pavimento della Sala del Tribunale romano, nel cui mezzo era una ruota di porfido.

14. Latin Juvenale. Latino Giovenale de' Manetti romano, nato nel 1486, fu canonico di S. Pietro, ma, come fornito solo degli ordini minori, ebbe moglie e figli, visse quasi sempre presso la Corte di Roma, che lo adoperò in ambascerie e nunziature in Francia e a Venezia. Nel 1514 Leone X lo mandava come suo famigliare ad Alfonso Duca di Ferrara per tenere a cresima, in nome suo, il figlio Ercole, soddisfacendo cosí un vivo desiderio del Duca e della Duchessa Lucrezia Borgia (Leonis X Regesta, n.° 12009, e P. Bembi Epist. Leonis X ecc. Lib. IX, n. 36). Nel 1534 Paolo III lo nominava tesoriere di Piacenza e poi Commissario Generale delle antichità di Roma. Mori nel 1553. Autore di versi latini e volgari (dei suoi Sonetti il Berni diceva che erano belli e buoni) e di lettere, fu stretto d'amicizia coi principali scrittori del suo tempo, specialmente col Bembo, col Berni, col Bibbiena, col Castiglione (V. Lettere di negozi, vol. I, p. 160) col Trissino (V. Morsolin, G. G. Trissino, pp. 454 sg. Docum. XIV, XVI). Il Giraldi, nella epistola de direptione Urbis, lo dice « ut lingua promptus, sic promptus fortibus ausis. » Di lui fa spesso parola anche il Cellini nella sua Vita. (V. Marini, Degli Archiatri pontificii, Roma, 1781, vol. I, pp. 384-5 nota).

LXXX. 1. Ridesi ecc. E Cicerone (de orat. II, 71): « Saepe etiam facete concedas adversario id ipsum, quod tibi ille detrahit ».

3. Il capitan Peralta, come pure il Molart e l'Aldana, erano certo tre capitani di quelle milizie straniere (il primo e il terzo spagnuoli, il secondo francese) che da un pezzo ormai affliggevano la nostra penisola. Il primo dei tre credo si debba identificare col personaggio di cui parla il C. in una lettera inedita indirizzata il 13

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Aldana, e domandando il capitan Molart, che era patrino d'A 5 Peralta il sacramento, s'avea addosso brevi o incanti che dassero da esser ferito: Peralta giurò, che non avea addosso né incanti né reliquie né devozione alcuna in che avesse fe Molart, per pungerlo che fosse marano, disse: Non vi affa questo, ché senza giurare credo che non abbiate fede né 10 Cristo. È ancor bello usar le metafore a tempo in tai p

settembre 1521 da Roma al Marchese Federico di Mantova, che allora combatteva contro i Francesi: « Lo apportatore di questa serà el Capitano Luijse Galliego de Peralta el quale viene a vostra Ex.tia desideroso de servirla in questa impresa, e porta un breve de N. S. come la vedrà. Le proferte che 'l prefato ha fatto a Sua Santità sono grandissime, ma non le dico perché Vostra Ex. le intenderà da lui proprio. Molti anni sono che io lo cognosco per homo da bene, e valente, e nostro Signor ancor ne ha notizia; me penso che 'l debba poter far qualche effetto bono... ». Inoltre credo assai probabile che egli sia tutt' uno con quel Peralta che in una lettera del 9 maggio 1517 Goro Gheri poneva fra i pochi capitani spagnoli salvatisi in un recente fatto d'armi (Lett. al Guicciardini, in Opere ined. illustr. dal Canestrini, vol. VIII, p. 82) e con quel colonnello Peralta, che alcuni anni più tardi, nel febbrajo del 1526, Paolo Giovio ricordava in una sua lettera fra gli Spagnuoli periti nel fatto d'arme di Frosinone (Vedasi in Cicogna, Inscriz. veneziane, t. III, p. 344). Il Molart poi dev'essere quello stesso Molard che Francesco Pandolfini, ambasciadore fiorentino presso Gaston di Foix, nomina in una sua lettera dell' 11 aprile 1512, nella quale descrivendo la battaglia di Ravenna (11 aprile 1512), ricorda appunto nell' esercito francese «la battaglia (battaglione) di 8000 fanti guasconi guidata da Molard » (Vedi Desjardins et Canestrini, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, Paris, 1861, t. III, p. 583). Egli poi è registrato in una cronaca sincrona, scritta anzi da un testimonio oculare, Alberto Vignati da Lodi, fra i capitani morti combattendo valorosamente accanto a Gaston de Foix (Vedi Vignati, Gastone de Foix e l'esercito francese a Bologna, a Brescia, a Ravenna dal gennaio 1511 all'aprile 1512, nell'Arch. stor. lombardo, S. II, vol. I, A. XI, 1884, p. 618) E più volte il suo nome ricorre in quel prezioso cantare già citato, sulla battaglia di Ravenna, che è intitolato El facto d'arme fato in Romagna sotto Ravenna ecc. Anche l'Aldana si è certi essere stato un capitano spagnuolo, che militava nel 1522 sotto Pavia fra le schiere della

lega pontificia e imperiale, dell: Capitano Generale il Marchese ai cui ordini era venuto da testa della sua compagnia, anc] si ritrae da una lettera dell'8 & scritta da Mario Equicola sotto Pavia, al Marchese, nella qu compagnie di fanti che avrebb disporsi all'assalto intorno alla cordata per prima quella del C dana. (Lettera pubbl. dal Be l'Arch. stor. lombardo, S. II, A 1884, p. 674). È quindi assai pr il C. conoscesse di persona tutti capitani, che qui gli porgono o ricordare un aneddoto abbast teristico, e che ci riapparisco riuniti, forse nello stesso episod vita cavalleresca, quale è cosí Branthome nel Discours sur les d cap. II, nella Oeuvres, ed. cit. p. 40): « M. le Gran Maistre de lieutenant du roy en l'estat d corda un combat à deux Espai à Parme, qui luy en avoient r se nommait le seigneur Peral tresfois avoit esté au service France, et fust tué d'un coup (je parle à l'antique) au camp ainsin que le seigneur Jehan J vulzio, probabilmente nel 1511 chaissoit l'armée du pape; et paignol s'appelloit le capitai Leur combat fust à cheval à la la gineta, come i cavalleggieri spagnole, che avevano una so maglia invece di corazza, e i bardati come quelli degli uomin à la rapiere, et le poignard (ai on alors) et chascun trois dard Le parrain de Peralte fust un gnol, et celuy d'Aldano fust le taine Molard. Havoit tant nei combat se fist en la place de F l'avoit relevée (la neige), et n' tres barrieres qui de neige, deux combattans fist très bien s et enfin le seigneur de Chaumo donné le camp et en estoit juge tir en pareil honneur ».

5. Brevi. Cosi si dicono a involtuzzi di panno, contener

come il nostro maestro Marc'Antonio, che disse a Botton da Cesena, che lo stimulava con parole: Botton, Bottone, tu sarai un dí il bottone el capestro sarà la fenestrella. Ed avendo ancor maestro Marc'Antonio composto una molto lunga comedia e di varii atti, disse il medesimo Botton pur a maestro Marc'Antonio: A far la vostra co- 15 media bisogneranno per lo apparato quanti legni sono in Schiavonia; - rispose maestro Marc'Antonio: E per l'apparato della tua tragedia basteran tre solamente.

LXXXI. Spesso si dice ancor una parola, nella quale è una nascosta significazione lontana da quello che par che dir si voglia. Come il signor Prefetto qui, sentendo ragionare d'un capitano, il quale in vero a' suoi dí il più delle volte ha perduto, e allor pur per avventura avea vinto; e dicendo colui che ragionava, che nella en- 5 trata che egli avea fatta in quella terra s'era vestito un bellissimo saio di velluto cremosí, il qual portava sempre dopo le vittorie; disse il signor Prefetto: Dee esser novo. Non meno induce il riso, quando talor si risponde a quello che non ha detto colui con cui si parla, ovver si mostra creder che abbia fatto quello che non ha 10 fatto, e dovea fare. Come Andrea Coscia, essendo andato a visitare

ghiera scritta o una imagine di santo, che si portano addosso come amuleti miracolosi. (C.).

11. Maestro Marc'Antonio. Sarei indotto a ravvisare in costui quel « Magistro Marcantonio medico », del quale cosí scriveva lo stesso C. in una lettera inedita indirizzata da Roma, il 12 aprile 1524, al Calandra, segretario dal Marchese di Mantova:

..... dico solamente che a Urbino al mio tempo (cioè al tempo in cui si fingono avvenuti i Dialoghi del Cortegiano) era un certo Mag. Marcantonio Medico matto, el quale voleva oltra la medicina rafformar anco le leggi, e voleva che un Judice d'una lite che lui haveva iudicasse in quella lite secondo un libro che lui havea fatto, nel qual dicea, che le leggi imperiali non erano se non a metà, perché a chi fallava davano la punitione, et a chi non fallava non davano premio alcuno.... » Ammessa l'identificazione, il bizzarro medico urbinate avrebbe scritto, oltre che un libro curioso di legge, una lunga commedia.

13. Fenestrella. Asola, occhiello. Volle dire Marcantonio che Bottone sarebbe morto impiccato (C.)

16. Lo apparato. L'allestimento per la rappresentazione, quello che alla francese si suol dire « messa in scena ».

17. Per l'apparato ecc. Per far la forca, sulla quale finirai la vita.

LXXXI. 7. Cremosí. Cremisino.

11. Andrea Coscia. Quattro personaggi conosco di tal nome, in uno dei quali credo

non difficile ravvisare questo ricordato dal C. Il primo è quel gentiluomo napoletano che Serafino Aquilano trovò alla Corte del Moro in Milano, e che soavemente cantava sul liuto le poesie del Cariteo suo concitdino, specialmente gli strambotti (V. D'Ancona, Il secentismo nella poesia cortig. del sec. XV, ed. cit., p. 163). Il secondo è un M. Andrea Cossa (forma affatto equivalente a Coscia) che il duca Valentino, nel febbraio del 1503, nominava suo Commissario sopra Fano (V. Alvisi, Op. cit. p. 374). Il terzo, un « Molto Magnifico S. Andrea Cossa » ci apparisce spesso nelle Lettere di Messer Antonio Minturno. (In Vineggia, appresso Girolamo Scoto, 1549) come gentiluomo di Napoli ed amico intimo del poeta napoletano e letterato egli stesso. Del resto la famiglia Coscia o Cossa fu una delle grandi e potenti del Regno di Napoli e vanta fra i suoi quel Baldassarre, che divenne poi papa Giovanni XXIII (V. Arch. stor. ital. S. I, t. IV, 1843, pp. 261-3, 292-6). Il quarto, infine, veniva inviato insieme con altri due ambasciatori nel giugno 1523 al campo di Pavia da parte della Marchesa di Monferrato, la quale si lamentava « del grandissimo male che facevano li fanti spagnoli nelli suoi. stati» e invocava l'autorità del Marchese di Mantova. Compiuto questo incarico, dei tre inviati, due ritornaronc in Piemonte, mentre M. Andrea Cossa rimase ambasciatore stabile della Marchesa, e quindi fu assai probabilmente conosciuto dal nostro A. (Vedi una lettera del Grossino al

Aldana, e domandando il capitan Molart, che era patrino d'Aldana, a 5 Peralta il sacramento, s'avea addosso brevi o incanti che lo guardassero da esser ferito: Peralta giurò, che non avea addosso né brevi né incanti né reliquie né devozione alcuna in che avesse fede. Allor Molart, per pungerlo che fosse marano, disse: Non vi affaticate in questo, ché senza giurare credo che non abbiate fede né ancor in 10 Cristo. È ancor bello usar le metafore a tempo in tai propositi;

settembre 1521 da Roma al Marchese Federico di Mantova, che allora combatteva contro i Francesi: « Lo apportatore di questa serà el Capitano Luijse Galliego de Peralta el quale viene a vostra Ex.tia desideroso de servirla in questa impresa, e porta un breve de N. S. come la vedrà. Le proferte che 'l prefato ha fatto a Sua Santità sono grandissime, ma non le dico perché Vostra Ex. le intenderà da lui proprio. Molti anni sono che io lo cognosco per homo da bene, e valente, e nostro Signor ancor ne ha notizia; me penso che 'l debba poter far qualche effetto bono... ». Inoltre credo assai probabile che egli sia tutt' uno con quel Peralta che in una lettera del 9 maggio 1517 Goro Gheri poneva fra i pochi capitani spagnoli salvatisi in un recente fatto d'armi (Lett. al Guicciardini, in Opere ined. illustr. dal Canestrini, vol. VIII, p. 82) e con quel colonnello Peralta, che alcuni anni più tardi, nel febbrajo del 1526, Paolo Giovio ricordava in una sua lettera fra gli Spagnuoli periti nel fatto d'arme di Frosinone (Vedasi in Cicogna, Inscriz. veneziane, t. III, p. 344). Il Molart poi dev'essere quello stesso Molard che Francesco Pandolfini, ambasciadore fiorentino presso Gaston di Foix, nomina in una sua lettera dell' 11 aprile 1512, nella quale descrivendo la battaglia di Ravenna (11 aprile 1512), ricorda appunto nell' esercito francese «la battaglia (battaglione) di 8000 fanti guasconi guidata da Molard» (Vedi Desjardins et Canestrini, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, Paris, 1861, t. III, p. 583). Egli poi è registrato in una cronaca sincrona, scritta anzi da un testimonio oculare, Alberto Vignati da Lodi, fra i capitani morti combattendo valorosamente accanto a Gaston de Foix (Vedi Vignati, Gastone de Foix e l'esercito francese a Bologna, a Brescia, a Ravenna dal gennaio 1511 all'aprile 1512, nell'Arch. stor. lombardo, S. II, vol. I, A. XI, 1884, p. 618) E più volte il suo nome ricorre in quel prezioso cantare già citato, sulla battaglia di Ravenna, che è intitolato El facto d'arme fato in Romagna sotto Ravenna ecc. Anche l'Aldana si è certi essere stato un capitano spagnuolo, che militava nel 1522 sotto Pavia fra le schiere della

lega pontificia e imperiale, della quale era Capitano Generale il Marchese di Mantova, ai cui ordini era venuto da Roma, alla testa della sua compagnia, anche il C. Ciò si ritrae da una lettera dell'8 aprile 1522. scritta da Mario Equicola sotto le mura di Pavia, al Marchese, nella quale, fra le compagnie di fanti che avrebbero dovuto disporsi all'assalto intorno alla città, è ricordata per prima quella del Capitano Aldana. (Lettera pubbl. dal Bertolotti nell'Arch. stor. lombardo, S. II, A. XI, vol. I. 1884, p. 674). È quindi assai probabile che il C. conoscesse di persona tutti e tre questi capitani, che qui gli porgono occasione di ricordare un aneddoto abbastanza caratteristico, e che ci riappariscono insieme riuniti, forse nello stesso episodio della loro vita cavalleresca, quale è cosí narrato dal Branthome nel Discours sur les duels (lib. II, cap. II, nella Oeuvres, ed. cit. VIII, 1891, p. 40): « M. le Gran Maistre de Chaumont, lieutenant du roy en l'estat de Milan accorda un combat à deux Espaignols aussy à Parme, qui luy en avoient requis. L'un se nommait le seigneur Peralte, qui autresfois avoit esté au service du roy de France, et fust tué d'un coup de faucon (je parle à l'antique) au camp de la Fosse, ainsin que le seigneur Jehan Jacques (Trivulzio, probabilmente nel 1511, a Bologna) chaissoit l'armée du pape; et l'autre Espaignol s'appelloit le capitaine Aldano. Leur combat fust à cheval à la genette (a la gineta, come i cavalleggieri delle milizie spagnole, che avevano una sopravveste di maglia invece di corazza, e i cavalli non bardati come quelli degli uomini d'arme) et à la rapiere, et le poignard (ainsin parloit on alors) et chascun trois dards à la main. Le parrain de Peralte fust un autre Espai. gnol, et celuy d'Aldano fust le gentil capi taine Molard. Havoit tant neigé que lecr combat se fist en la place de Parme où on l'avoit relevée (la neige), et n'y ayant sutres barrieres qui de neige, chascun des deux combattans fist très bien son debvoir: et enfin le seigneur de Chaumont, qui avoit donné le camp et en estoit juge, les fist sortir en pareil honneur ».

5. Brevi. Cosi si dicono ancora quegli involtuzzi di panno, contenenti una pre

come il nostro maestro Marc'Antonio, che disse a Botton da Cesena, che lo stimulava con parole: Botton, Bottone, tu sarai un dí il bottone el capestro sarà la fenestrella. Ed avendo ancor maestro Marc'Antonio composto una molto lunga comedia e di varii atti, disse il medesimo Botton pur a maestro Marc'Antonio: A far la vostra co- 15 media bisogneranno per lo apparato quanti legni sono in Schiavonia; - rispose maestro Marc'Antonio: E per l'apparato della tua tragedia basteran tre solamente.

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LXXXI. Spesso si dice ancor una parola, nella quale è una nascosta significazione lontana da quello che par che dir si voglia. Come il signor Prefetto qui, sentendo ragionare d'un capitano, il quale in vero a' suoi dí il più delle volte ha perduto, e allor pur per avventura avea vinto; e dicendo colui che ragionava, che nella en- 5 trata che egli avea fatta in quella terra s'era vestito un bellissimo saio di velluto cremosí, il qual portava sempre dopo le vittorie; disse il signor Prefetto: Dee esser novo. Non meno induce il riso, quando talor si risponde a quello che non ha detto colui con cui si parla, ovver si mostra creder che abbia fatto quello che non ha 10 fatto, e dovea fare. Come Andrea Coscia, essendo andato a visitare

ghiera scritta o una imagine di santo, che si portano addosso come amuleti miracolosi. (C.).

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11. Maestro Marc'Antonio. Sarei indotto a ravvisare in costui quel Magistro Marcantonio medico », del quale cosi scriveva lo stesso C. in una lettera inedita indirizzata da Roma, il 12 aprile 1524, al Calandra, segretario dal Marchese di Mantova:

..... dico solamente che a Urbino al mio tempo (cioè al tempo in cui si fingono avvenuti i Dialoghi del Cortegiano) era un certo Mag. Marcantonio Medico matto, el quale voleva oltra la medicina rafformar anco le leggi, e voleva che un Judice d'una lite che lui haveva iudicasse in quella lite secondo un libro che lui havea fatto, nel qual dicea, che le leggi imperiali non erano se non a metà, perché a chi fallava davano la punitione, et a chi non fallava non davano premio alcuno.... » Ammessa l'identificazione, il bizzarro medico urbinate avrebbe scritto, oltre che un libro curioso di legge, una lunga commedia.

13. Fenestrella. Asola, occhiello. Volle dire Marcantonio che Bottone sarebbe morto impiccato (C.)

16. Lo apparato. L'allestimento per la rappresentazione, quello che alla francese si suol dire « messa in scena ».

17. Per l'apparato ecc. Per far la forca, sulla quale finirai la vita.

LXXXI. 7. Cremosí. Cremisino.

11. Andrea Coscia. Quattro personaggi conosco di tal nome, in uno dei quali credo

non difficile ravvisare questo ricordato dal C. Il primo è quel gentiluomo napoletano che Serafino Aquilano trovò alla Corte del Moro in Milano, e che soavemente cantava sul liuto le poesie del Cariteo suo concitdino, specialmente gli strambotti (V. D'Ancona, Il secentismo nella poesia cortig. del sec. XV, ed. cit., p. 163). Il secondo è un M. Andrea Cossa (forma affatto equivalente a Coscia) che il duca Valentino, nel febbraio del 1503, nominava suo Commissario sopra Fano (V. Alvisi, Op. cit. p. 374). Il terzo, un « Molto Magnifico S. Andrea Cossa » ci apparisce spesso nelle Lettere di Messer Antonio Minturno. (In Vineggia, appresso Girolamo Scoto, 1549) come gentiluomo di Napoli ed amico intimo del poeta napoletano e letterato egli stesso. Del resto la famiglia Coscia o Cossa fu una delle grandi e potenti del Regno di Napoli e vanta fra i suoi quel Baldassarre, che divenne poi papa Giovanni XXIII (V. Arch. stor. ital. S. I, t. IV, 1843, pp. 261 -3, 292-6). Il quarto, infine, veniva inviato insieme con altri due ambasciatori nel giugno 1523 al campo di Pavia da parte della Marchesa di Monferrato, la quale si lamentava « del grandissimo male che facevano li fanti spagnoli nelli suoi. stati » e invocava l'autorità del Marchese di Mantova. Compiuto questo incarico, dei tre inviati, due ritornaronc in Piemonte, mentre M. Andrea Cossa rimase ambasciatore stabile della Marchesa, e quindi fu assai probabilmente conosciuto dal nostro A. (Vedi una lettera del Grossino al

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