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25 allora l'Unico Aretino: Appresso gli antichi s'usava che le donne lottavano nude con gli omini; ma noi avemo perduta questa bona usanza insieme con molt' altre. Soggiunse messer Cesare Gonzaga: Ed io a' miei dí ho veduto donne giocare alla palla, maneg giar l'arme, cavalcare, andare a caccia, e far quasi tutti gli esercizii 30 che possa fare un cavaliero.

VIII. Rispose il Magnifico: Poi ch' io posso formar questa Donna a modo mio, non solamente non voglio ch' ella usi questi esercizii virili cosí robusti ed asperi, ma voglio che quegli ancora che son convenienti a donna faccia con riguardo, e con quella molle delica5 tura che avemo detto convenirsele; e però nel danzar non vorrei vederla usar movimenti troppo gagliardi e sforzati, né meno nel cantar o sonar, quelle diminuzioni forti e replicate, che mostrano piú arte che dolcezza: medesimamente gli instrumenti di musica che ella usa, secondo me, debbono esser conformi a questa intenzione. 10 Imaginatevi come disgraziata cosa saria veder una donna sonare tamburri, piffari o trombe, o altri tali instrumenti; e questo perché la loro asprezza nasconde e leva quella soave mansuetudine, che tanto adorna ogni atto che faccia la donna. Però quando ella viene a danzar o far musica di che sorte si sia, deve indurvisi con las15 sarsene alquanto pregare, e con una certa timidità, che mostri quella nobile vergogna che è contraria della impudenzia. Deve ancor accommodar gli abiti a questa intenzione, e vestirsi di sorte, che non paia vana e leggiera. Ma perché alle donne è licito e debito aver piú cura della bellezza che agli omini, e diverse sorti sono 20 di bellezza; deve questa donna aver giudicio di conoscer quai sono quegli abiti che le accrescon grazia, e piú accommodati a quegli esercizii ch' ella intende di fare in quel punto, e di quelli servirsi: e conoscendo in sé una bellezza vaga ed allegra, deve aiutarla coi movimenti, con le parole e con gli abiti, che tutti tendano allo al 25 legro; cosí come un' altra, che si senta aver maniera mansueta e grave, deve ancor accompagnarla coi modi di quella sorte, per accrescer quello che è dono della natura. Cosí essendo un poco più grassa o piú magra del ragionevole, o bianca o bruna, aiutarsi con

25. Appresso gli antichi ecc. Il C. allude specialmente agli Spartani e forse aveva in mente il passo della Repubblica di Platone (lib. V), dove appunto il filosofo greco, che vagheggiava uno stato militare foggiato sul tipo spartano, afferma che non soltanto le giovani, ma anche le vecchie dovrebbero lottare nude nelle palestre al modo che realmente facevano i vecchi d'allora. A dimostrare la convenienza e l'utilità della lotta per le donne egli cita l'esempio degli Spartani e dei Cretesi.

VIII. 2. Non voglio ecc. Dello stesso pa

rere del Magnifico Giuliano si mostrava, quasi tre secoli dopo, un nostro poeta, i Foscolo il quale nell'ode a Luigia Pallarıcini caduta da cavallo, le chiedeva: « Deb! perché hai le gentili Forme e l'ingegno docile Volto a studi virili ?» ecc.

7. Diminuzioni. Termine musicale corrispondente all' odierno diminuendo.

28. Aiutarsi con gli abiti ec. Il Magnifico Giuliano, con discrezione cavalleresca, * accontenta di accennare appena alle art od artifizî con cui la donna usava ed usa sup plire ai difetti della natura. Meno discret

gli abiti, ma dissimulatamente più che sia possibile; e tenendosi delicata e polita, mostrar sempre di non mettervi studio o diligenzia 30 alcuna.

IX. E perché il signor Gasparo domanda ancor, quai siano queste molte cose di che ella deve aver notizia, e di che modo intertenere, e se le virtú deono servire a questo intertenimento; dico che voglio che ella abbia cognizion di ciò che questi signori han voluto che sappia il Cortegiano; e di quelli esercizii che avemo detto che a lei 5 non si convengono, voglio che ella n'abbia almen quel giudicio che possono aver delle cose coloro che non le oprano: e questo per saper laudare ed apprezzar i cavalieri piú o meno, secondo i meriti. E per replicar in parte in poche parole quello che già s'è detto, voglio che questa Donna abbia notizia di lettere, di musica, di pittura, e 10 sappia danzar e festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenzie che son state insegnate al Cortegiano. E cosí sarà nel conversare, nel ridere, nel giocare, nel motteggiare, in somma in ogni cosa, graziatissima; ed intertenerà accommodatamente, e con motti e facezie 15 convenienti a lei ogni persona che le occorrerà. E benché la continenzia, la magnanimità, la temperanzia, la fortezza d'animo, la prudenzia e le altre virtú paia che non importino allo intertenere, io voglio che di tutte sia ornata, non tanto per lo intertenere, benché però ancor a questo possono servire, quanto per esser virtuosa, ed 20 acciò che queste virtú la faccian tale che meriti esser onorata, e che ogni sua operazion sia di quelle composta.

X. Maravigliomi pur, disse allora ridendo il signor Gaspar, che poiché date alle donne e le lettere e la continenzia e la magnanimità e la temperanzia, che non vogliate ancor che esse governino le città, e faccian le leggi, e conducano gli eserciti; e gli omini si stiano in cucina o a filare. Rispose il Magnifico, pur ridendo: 5 Forse che questo ancora non sarebbe male; - poi soggiunse: Non sapete voi che Platone, il quale in vero non era molto amico delle

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è il Piccolomini, il quale fa dire, tra le altre cose, alla sua Raffaella, che « bisogna riparare ai difetti di natura piú che si può, cou bambagie o gamurrette, e con statura o tagli e simil'altre avvertenze » (Op. cit. p. 24); e altrove le fa dare alcune curiose « ricette » per rendere e serbare « chiare, bianche e delicate» le carni (pp. 26-30). Anch' egli Osservava che « molto giova lo ingegnarsi a che in tutte le cose non si esca dalla via « del mezzo, e fuggir l'affettazione piú che « si può: polirsi, e assettarsi, in casa aper«tamente, e poi alla presenzia delle genti mostrar un certo disprezzare, ed un certo non molto pensar a quel che s'è fatto per ornamento o per altro, che non te lo so

descriver altrimenti ecc. ».

IX. 6. Quel giudicio che ecc. Nella redazione del cod. laurenz.: « Quel giudicio che se po haver delle cose che non se oprano «.

10. Notizia. È sostituita al iudicio della redazione primitiva.

14. Graziatissima. E non gratissima, come in generale, hanno le stampe. Dapprima il C. aveva scritto aggraziatissima.

16. Le occorrerà. Latinismo; le si presenterà.

19. Lo intertenere. Come altrove, significa conversare in società.

X. 7. Platone ecc. Veramente Platone, il più geniale ed ardito fra i Socratici, si mostrò in generale assai benevolo verso

donne, dà loro la custodia della città; e tutti gli altri officii marziali dà agli omini? Non credete voi che molte se ne trovassero, che sa10 prebbono cosi ben governar le città e gli eserciti, come si faccian gli omini? Ma io non ho lor dati questi officii, perché formo una Donna di Palazzo, non una Regina. Conosco ben che voi vorreste tacitamente rinovar quella falsa calunnia, che ieri diede il signor Ottaviano alle donne: cioè che siano animali imperfettissimi, e non 15 capaci di far atto alcun virtuoso, e di pochissimo valore e di niuna dignità, a rispetto degli omini: ma in vero ed esso e voi sareste in grandissimo errore se pensaste questo.

XI. Disse allora il signor Gaspar: Io non voglio rinovar le cose già dette, ma voi ben vorreste indurmi a dir qualche parola che offendesse l'animo di queste signore, per farmele nemiche, cosí come voi col lusingarle falsamente volete guadagnar la loro grazia. Ma 5 esse sono tanto discrete sopra le altre, che amano più la verità, ancora che non sia tanto in suo favore, che le laudi false; né hanno a male, che altri dica che gli omini siano di maggior dignità, e confessaranno che voi avete detto gran miraculi, ed attribuito alla Donna di Palazzo alcune impossibilità ridicole, e tante virtú, che 10 Socrate e Catone e tutti i filosofi del mondo vi sono per niente; ché, a dir pur il vero, maravigliomi che non abbiate avuto vergogna a passar i termini di tanto. Ché ben bastar vi dovea far questa Donna di Palazzo bella, discreta, onesta, affabile, e che sapesse intertenere senza incorrere in infamia con danze, musiche, giochi, risi, motti, e 15 l'altre cose che ogni di vedemo che s' usano in corte; ma il volerle dar cognizion di tutte le cose del mondo, ed attribuirle quelle virtú che cosí rare volte si son vedute negli omini, ancora nei seculi passati, è una cosa che né sopportare né appena ascoltar si pò.

le donne. Basti, per convincersene, ricordare quell' importante lib. V della Repubblica, cui allude il C., libro di indole polemica, e che, almeno nella prima parte, deve considerarsi, come dimostrò il Chiappelli (Le Ecclesiazuse di Aristofane e la Repubblica di Platone, nella Rivista di filol. class., A. XI, 1883, pp. 161 segg.) quale una replica vivace alle Ecclesiazuse di Aristofane. In quel libro il grande filosofo, sebbene per motivi affatto diversi, anzi contrarî, fa un' audace e solenne anticipazione delle teorie più liberali dei nostri giorni intorno alla donna. Egli riconosce in lei e vuole sanzionata dalle leggi l'attitudine a coltivare la musica, la ginnastica, l'arte militare, e inoltre a custodire la città, cioè a reggere gli uffici pubblici e civili. Con gli anni però e con l'esperienza Platone venne modificando il concetto che si era formato della educazione femminile, cosicché nelle Leggi, che sono l'ultimo suo lavoro, tro

viamo severe espressioni contro il sesso muliebre (v1, 781). Come si vede dunque, il nostro A. non è esatto nel riferire il pensiero di Platone, né fa quelle distinzioni, che del resto gli era impossibile fare, se non altro perché la storia esterna e la cronologia vera delle opere platoniche, e quindi la storia del pensiero platonico, sono un frutto della critica moderna più recente.

13. Che ieri ecc. Allude a ciò che aveva detto Ottaviano Fregoso nel cap. xcI, 5, del lib. II.

XI. 8. Gran miraculi ecc. Cose tanto straordinarie e maravigliose, da sembrar piuttosto miracoli che verità umane.

9. Che Socrate ecc. Che, a fronte di essa, e Socrate e gli altri più grandi filosofi non vi hanno nulla a che fare, scompariscono affatto.

10. Ché, a dir pur il vero ecc. La redazione primitiva del cod. laurenz. continua cosi dovevate haver vergogna ecc. ».

Che le donne siano mo animali imperfetti, e per conseguente di minor dignità che gli omini, e non capaci di quelle virtú che sono 20 essi, non voglio io altrimenti affirmare, perché il valor di queste signore bastaria a farmi mentire: dico ben che omini sapientissimi hanno lassato scritto che la natura, perciò che sempre intende e disegna far le cose più perfette, se potesse, produrria continuamente omini; e quando nasce una donna, è diffetto o error della natura, e 25 contra quello che essa vorrebbe fare: come si vede ancor d'uno che nasce cieco, zoppo, o con qualche altro mancamento, e negli arbori molti frutti che non maturano mai: cosí la donna si pò dire animal produtto a sorte e per caso; e che questo sia, vedete l'operazion dell'omo e della donna, e da quelle pigliate argumento della per- 30 fezion dell'uno e dell'altro. Nientedimeno essendo questi diffetti delle

22. Omini sapientissimi ecc. La questione che in questo e nei seguenti capitoli si tratta circa la dignità e perfezione della donna in confronto a quella dell'uomo, fu, come s'è già accennato, una delle piú agitate nell'antichità greca specialmente e nel Rinascimento e sarebbe altrettanto facile quanto inopportuno mettere qui insieme una copiosa letteratura di questo soggetto. Mi accontenterò peraltro di alcuni cenni, necessarî anche perché questa parte del Cortegiano occupa un posto notevole nella storia della questione. Lascio di dire delle due correnti, misogina e filogina, che dall'antichità ai giorni nostri, con le necessarie differenze, si svolsero in tutti i tempi e in tutti i paesi, cosí nella vita, come nella letteratura specialmente amena, nelle novelle e nelle commedie. Dei filosofi Greci, i Socratici sovra tutti, e primo fra questi Platone, sollevarono il concetto della donna e i tre maggiori di essi, Platone, Senofonte ed Aristotele, pur discordando in parecchi particolari circa l'educazione femminile, si accordarono nel riconoscere che la natura muliebre non è inferiore alla maschile. Si sa quanto il Cristianesimo contribuí a rialzare la sorte della donna, quanto invece l'ascetismo medievale la venne abbassando

e quanto il Rinascimento le ridonò di quel valore che aveva quasi interamente perduto. Il primo ad affermare risolutamente l'emancipazione sociale della donna fu il Boccaccio e più col Decameron che col De claris mulieribus seguito da Giovanni da Prato, il quale nei conversari e'nelle dispute del Paradiso degli Alberti le assegna una parte notevole. Fra le molte e svariate opere che d'allora in poi vennero sempre meglio affermando la dignità della donna ricorderò il trattato anonimo intitolato La defensione delle donne edito dallo Zambrini (Bologna, Romagnoli, 1876), un dialogo di Erasmo da

Rotterdam che fu recentemente tradotto col titolo L'Abate e la donna istruita, da Ettore Toci (Livorno, 1883) e alcuni degli importantissimi dialoghi dello Speroni e del Tasso. Il nostro C. occupa certamente, come s'è detto, un posto assai notevole nella storia della questione e il suo valore a questo riguardo fu bene rilevato dal Janitschek, alle cui pagine acute e geniali (Die Gesellschaft der Renaissance in Italien und die Kunst La società e l'arte del Rinascimento in Italia, Stuttgart, 1879, pp. 50-72) rimando chi voglia prendere più larga notizia dell'argomento. Cfr. anche il Burckhardt, op. cit.

25. Quando nasce ecc. A questi giudizî severi sulla donna non sarebbe difficile trovare riscontri negli antichi scrittori, ma quello che più è curioso, è il trovarne nelle ultime opere di Platone stesso, scritte quando egli, come s'è detto, aveva modificato le sue idee sulla natura, se non sulla educazione femminile. Nelle Leggi egli riconosce l'inferiorità del sesso muliebre di fronte al maschile; e già nel Timeo la prima degradazione delle anime ingiuste nel processo della metempsicosi è il passaggio alla natura femminile. La quale nelle Leggi è chiamata subdola e ingannatrice per la sua debolezza e peggiore della virile per la pratica della virtú; ma da ciò Platone trae argomento a confortare i legislatori ad aver maggior cura di quel sesso e mercé l'eguaglianza nell'educazione, stabilire l'eguaglianza fra i due sessi.

31. Essendo questi diffetti ecc. Cosi nel dialogo Della dignità delle donne dello Speroni uno degli interlocutori dice: « Crede il mondo che l'essere maschio voglia dir perfezione, e difetto la femmina »; e Beatrice degli Obizzi, la celebre gentildonna padovana, cosi conclude: « Certo cosa imperfetta è la donna, massimamente se lei

donne colpa di natura che l'ha produtte tali, non devemo per questo odiarle, né mancar di aver loro quel rispetto che vi si conviene; ma estimarle da più di quello che elle si siano, parmi error ma35 nifesto.

XII. Aspettava il Magnifico Juliano che 'l signor Gasparo seguitasse più oltre; ma vedendo che già tacea, disse: Della imperfezion delle donne parmi che abbiate addutto una freddissima ragione; alla quale, benché non si convenga forse ora entrar in queste suttilità, 5 rispondo, secondo il parer di chi sa e secondo la verità, che la sustanzia in qualsivoglia cosa non pò in sé ricevere il piú o il meno; ché, come niun sasso pò esser piú perfettamente sasso che un altro quanto alla essenzia del sasso, né un legno più perfettamente legno che l'altro, cosí un omo non pò esser più perfettamente omo che 10 l'altro, e conseguentemente non sarà il maschio più perfetto che la femina, quanto alla sustanzia sua formale, perché l'uno e l'altro si comprende sotto la specie dell' omo, e quello in che l'uno dall'altro son differenti è cosa accidentale, e non essenziale. Se mi direte adunque che l'omo sia più perfetto che la donna, se non quanto 15 alla essenzia, almen quanto agli accidenti; rispondo, che questi accidenti bisogna che consistano o nel corpo o nell'animo: se nel corpo, per esser l'omo più robusto, più agile, più leggiero, o più tollerante di fatiche, dico che questo è argumento di pochissima perfezione, perché tra gli omini medesimi quelli che hanno queste qualità più 20 che gli altri non son per quelle più estimati; e nelle guerre, dove son la maggior parte delle opere laboriose e di forza, i piú gagliardi non son però i più pregiati; se nell'animo, dico che tutte le cose che possono intendere gli omini, le medesime possono intendere ancor le donne; e dove penetra l'intelletto dell'uno, pò penetrare eziandio 25 quello dell'altra.

XIII. Quivi avendo il Magnifico Juliano fatto un poco di pausa, suggiunse ridendo: Non sapete voi, che in filosofia si tiene questa proporzione; che quelli che son molli di carne, sono atti della mente: perciò non è dubbio, che le donne, per esser più molli di carne, sono 5 ancor più atte della mente, e d'ingegno più accommodato alle speculazioni che gli omini. Poi seguitò: Ma, lassando questo, perché voi diceste ch'io pigliassi argumento della perfezion dell'un

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all' uom paragoniamo, ma perciocché tale è fatta dalla natura, la quale mossa da Dio non suole errare nelle sue opere, creder dobbiamo che cotale imperfezione le si convegna, in maniera che bene usata da lei nel grado suo, non capace di maggior bene, possa farla perfettamente felice ». (Opere di Sperone Speroni, Venezia, 1740, t. I, p. 61).

33. Che vi si conviene. Nella redazione primitiva del cod. laurenz.: « che se gli

conviene ».

XII. 24. Pò penetrare ecc. La redazione primitiva del cod. laurenz. continua cosi : « pò penetrare quello dell'altra, e se è vero un detto assai approbato, ch'io già più volte ho inteso che quelli che sono molli di carne sono atti della mente; molto più atte seranno le Donne con la mente, e con lo ingegno alle speculationi più che li homini per esser più molli, ma perché voi diceste ecc. ». Come si vede, con la corre

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