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senza altro strepito ognuno facesse quello che doveva fare; tal che appena osavano gli omini in casa sua propria e secretamente far cosa che pensassino che a lei avesse da dispiacere: e di questo in gran parte fu causa il maraviglioso giudicio ch'ella ebbe in cono- 10 scere ed eleggere i ministri atti a quelli officii nei quali intendeva d'adoperargli; e cosí ben seppe congiungere il rigor della giustizia con la mansuetudine della clemenzia e la liberalità, che alcun bono a' suoi di non fu che si dolesse d'esser poco remunerato, né alcun malo d'esser troppo castigato. Onde nei populi verso di lei nacque 45 una somma riverenzia, composta d'amore e timore; la quale negli animi di tutti ancor sta cosí stabilita, che par quasi che aspettino che essa dal cielo i miri, e di lassú debba darle laude o biasimo; e perciò col nome suo e coi modi da lei ordinati si governano ancor que' regni, di maniera che, benché la vita sia mancata, vive l'au- 50 torità, come rota che, lungamente con impeto voltata, gira ancor per bon spazio da sé, benché altri piú non la mova. Considerate oltre di questo, signor Gasparo, che a' nostri tempi quasi tutti gli omini grandi di Spagna e famosi in qualsivoglia cosa, sono stati creati dalla regina Isabella; e Gonsalvo Ferrando, Gran Capitano, 55 nolto più di questo si prezzava, che di tutte le sue famose vittorie, › di quelle egregie e virtuose opere, che in pace ed in guerra fatto 'hanno cosí chiaro ed illustre, che se la fama non è ingratissima, sempre al mondo publicherà le immortali sue lode, e farà fede, che illa età nostra pochi re o gran principi avemo avuti, i quali stati co on siano da lui di magnanimità, sapere, e d'ogni virtú superati. XXXVI. Ritornando adunque in Italia dico, che ancor qui non i mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular egine; e poco fa pur in Napoli mori l'altra regina d'Ongaria, tanto ccellente signora quanto voi sapete, e bastante di far paragone

55. Gonsalvo Ferrando. Vedasi la nota al cap. LXII del lib. II.

XXXVI. 3. L'altra Regina d' Ongaria. Beatrice, figlia di Ferdinando o FerranI re di Napoli e d'Aragona, nata il 14 vembre 1457 e (concluso già il matrimoo sino dal giugno 1475) andata moglie nel 76, a Mattia Corvino, re d'Ungheria. lla morte di lui, nel 1490, essa « de vontà de li Signori del regno de Ungaria remaritò ali 21 de iuglio eiusdem anni Serenissimo Re Ladislao re di Boemia questo fecie ad ciò che lo figliolo natule del dicto re Mattias non fusse re. Et male per ipsa » (soggiunge la Cronica Napoli di Notar Giacomo, ediz. Napoli, 15, p. 170) giacché, mentre Giovanni rvino ottenne con le proprie forze e con utorità dell' imperatore Massimiliano, il

regno d'Ungheria, essa fu ripudiata da re Ladislao aiutato in questo da papa Alessandro VI, che annullò il matrimonio. Ritornata in Napoli il 15 marzo del 1501 (Cronica cit. p. 237), si recava il 26 luglio 1501 insieme con Beatrice ad Ischia, e moriva il 13 settembre 1508 « in lo castello de Capuana» (Ib. p. 310). Nonostante i suoi intrighi politici, essa va ricordata con lode per aver contribuito ad accrescere i vincoli intellettuali fra l'Italia e l' Ungheria, dove fece venire letterati, poeti ed artisti italiani, degna in questo del suo grande marito. Di lei scrisse Nicolò Caputo nella Descendenza della Real Casa d'Aragona nel Regno di Napoli della stirpe del Sereniss. Re Alfonso I (s. n. tip. ma Napoli, 1667, p. 48): «Fu questa Regina di tanta prudenza e sapienza dotata, che meritamente annove

5 allo invitto e glorioso re Mattia Corvino, suo marito. Medesimamen la duchessa Isabella d'Aragona, degna sorella del re Ferrando Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna mostrata la virtú e 'l valor suo. Se nella Lombardia verrete, v'c correrà la signora Isabella marchesa di Mantua; alle eccellentissin

rare si deve nel numero delle donne illustri e famose, solo mancò alla sua felicità l'essere sterile e infeconda ».

5. Re Mattia Corvino. « L'invitto e glorioso » re di Ungheria, figlio del famoso Giovanni Unniade, nacque nel 1443 e, morto Ladislao, fino dal 1458 fu proclamato re dal popolo e dai soldati, che il padre suo aveva condotto spesso alla vittoria. La sua vita fu una serie quasi continua d'imprese grandiose, fra le quali celeberrime quelle contro i Turchi e l'assedio e la presa di Vienna del 1485. Mori il 4 aprile del 1490. Non piccola parte della sua gloria, la più solida anzi, egli si acquistò con l'entusiastico favore onde prosegui le lettere, le arti e le scienze nel suo paese, al quale fece sentire tutti i beneficî della più larga e raffinata coltura del Rinascimento italiano. Tuttavia conviene anche tener conto di coloro che lo precedettero in quest'opera lodevole, sovratutto del padre suo, Giovanni Unniade, e del suo cancelliere Giovanni Vitez di Zredna, nonché del nipote di costui, il celebre Giovanni Pannonio. Intorno a costoro e specialmente a re Mattia, quale fautore dell'Umanesimo, e alla ricca e grandiosa biblioteca pubblica da lui fondata in Buda, si consulti l'opera di G. Voigt, Il Risorgimento dell'antichità classica, vers. ital. vol. II, lib. VI, cap. III.

6. La Duchessa Isabella d'Aragona. Da Alfonso I di Napoli e da Ippolita Maria Sforza, figlia di Francesco Duca di Milano, nacque nell'ottobre del 1470 Isabella, che nel dicembre del 1488 fu sposata, per procura, a Gian Galeazzo, giovane Duca di Milano, dove faceva il suo ingresso, ai primi di febbraio, accolta dallo sposo « con inaudito apparato », come dice il Corio (Storia di Milano, ed. Venezia, 1565, p. 1027; per le descrizioni delle feste, si veda, oltre il Corio stesso, il Roscoe (Vita di Lorenzo de' Medici, Pisa, 1799, III, Append. p. xc sg.). Ma ben presto anche per lei avvenne «< che i lieti onor tornaro in tristi lutti »>, specialmente per la rivalità implacabile di Beatrice Estense e l'ambizione di Lodovico il Moro, suo marito. E veramente questa donna « di altissimi sensi, posta a fianco di un marito debole di corpo e di spirito >>> (come bene osservano il Luzio e il Renier nello studio piú innanzi citato su Beatrice) fu duramente provata dalla sventura e « nelle procelle di fortuna » mostrò « la vir

tú e il valor suo ». Le amarezze soffe prima, poi l'esclusione quasi assoluta governo inflitta al marito Gian Galeaz per i perfidi intrighi del Moro, la mo miseranda del consorte (1494), il suo tri rifugio in Napoli, sono fatti notissimi e p tosissimi, e un'eco viva del romore e de pietà che dovettero destare ci par d' ud ancora nei documenti e nelle storie tempo, come in quella citata del Cor Il quale, narrata la morte di Gian Galeas e l'elezione a Duca di Lodovico Sfor prosegue: « Isabella sua moglie a Pa coi poveri figlioletti vestiti di bruno, co prigioniera si racchiuse in una Camera gran tempo stette giacendo sopra la d terra, che non vide aria. Dovrebbe p sare ognuno l'acerbo caso della scor lata Duchessa, e se piú duro avesse cuore che il diamante, piangerebbe a c siderare qual doglia doveva essere qu della sconsolata e infelice moglie, in punto vedere la morte del giovinett bellissimo consorte, la perdita di tutt suo imperio e i figlioletti a canto orbat ogni bene, il padre e il fratello colla c sua cacciati dal Reame di Napoli, e L vico Sforza con Beatrice sua moglie av occupato la signoria ». Piú plastica e c movente spicca, in atto di eroica pietà figura tragicamente dolorosa della Duch Aragonese, in quella stupenda pagina d Elogia virorum bellica virtute illustra dove Paolo Giovio, facendo eccezione lei sola, ne inseri il ritratto e intessé l' gio insieme con quello dell' infelice ma

9. Isabella Marchesa di Mantua. sta illustre principessa, che si può l'incarnazione più splendida dell'id femminile del nostro Rinascimento, nac in Ferrara il 18 maggio del 1474, da E le I d'Este e da Eleonora d'Aragona. cora fanciulla, nel 1480, fu promessa, pe gioni politiche, a Francesco primogenito Marchese Federico di Mantova, del q divenne moglie nel 1490. In quest' a appunto essa passò alla Corte di Mant dove prosegui e perfezionò mirabilmen sua educazione letteraria ed artistica vorita da un ingegno agile ed acuto uno spirito equilibrato ed osservatore. lei quella Corte divenne uno dei centr attivi e luminosi della coltura e dell' italiana, per lei lavoravano e con lei fu in relazione tutti i maggiori letterati, ]

virtú della quale ingiuria si faria parlando cosí sobriamente, come 10 saria forza in questo loco a chi pur volesse parlarne. Pesami ancora che tutti non abbiate conosciuta la duchessa Beatrice di Milano sua sorella, per non aver mai piú a maravigliarvi di ingegno di donna. E la duchessa Eleonora d'Aragona, duchessa di Ferrara, e madre dall'una e l'altra di queste due signore ch'io v'ho nominate, fu 15 tale, che le eccellentissime sue virtú faceano bon testimonio a tutto 'l mondo, che essa non solamente era degna figliola di Re, ma che meritava esser regina di molto maggior stato che non aveano posseduto tutti i suoi antecessori. E, per dirvi d'un'altra, quanti omini, conoscete voi al mondo, che avessero tollerato gli acerbi colpi 20

ed artisti italiani di quel tempo. In molte occasioni diede prova d'animo forte e virile, sempre tenne una condotta dignitosa e nobile, senza ostentazione, tanto più notevole in tempi cosi corrotti. Mori il 13 febbraio 1539. Il nostro C., che fu per tanti anni ai servigî dei Gonzaga, ebbe agio di conoscere ed apprezzar degnamente la nobile signora, con la quale, lontano, mantenne frequenle carteggio di lettere, alcune delle quali furono pubblicate dal Serassi, moltissime altre giacciono ancora inedite. Qui basti dire che in una redazione del Cortegiano, anteriore a quelle del cod. laurenz., e precisamente in un proemio del III libro, che l'A. da ultimo rifiutò, si legge, fra i nomi più insigni di moderne donne virtuose, anhe quello di Isabella Gonzaga: «la Signora Marchesana di Mantua pur Isabella: tanto singulare de costumi e virtú, che ogni laude

assai minor de li suoi meriti ». Molti documenti e saggi svariati si sono venuti pubolicando recentemente intorno alla vita di questa illustre donna, ai suoi studî, alle sue relazioni con letterati ed artisti, ma, in attesa della monografia già annunziata del Luzio e Renier, la fonte più sicura di noizie è il lavoro sintetico di quest'ultimo : Isabella d'Este-Gonzaga, Roma, 1888 (Estr. Halla Rivista inglese Italia, May-June 1888). Si vedano le lodi entusiastiche che di IsaDella fece il Trissino nei suoi Ritratti (Opere Hi G. G. Trissino, Verona, 1729, t. II, p. 272), lodi per la sua bellezza fisica, come Der le doti rare dello spirito e dell' ingegno. Ivi uno degli interlocutori, Vincenzo Macro Magrè) dice d'averla veduta in atto che discesa di carretta, se n'entrava nel Domo er orare », ed egli ed il Bembo la aggualiano alle più celebri donne dell'antichità, nolte delle quali ricorrono in queste pagine lel Cortegiano, come Saffo, Corinna, Prasilla, Mammea, Aspasia, Porzia, Armonia, Penelope, Zenobia.

12. La Duchessa Beatrice di Milano. D'un mno soltanto più giovane d'Isabella, Bea

trice andò moglie, un anno dopo di lei (gennaio 1491) a Lodovico il Moro, alla cu corte brillò, rivale, altera e graziosa, ma implacabile della infelice Duchessa Isabella d'Aragona, moglie di Gian Galeazzo. Ambiziosa e avida di piaceri e di lodi, essa prese parte viva alla politica torbida del marito, ma favorí anche quel suo fastoso mecenatismo, che gli meritò, fra i principi del suo tempo, il primo posto accanto a Lorenzo de' Medici. Mori di parto, giovanis. sima ancora, il 3 gennaio 1497, lasciando il Moro, che l'adorava, immerso in profondo e sincero dolore; cosicché ben cantava l'Ariosto nel suo Furioso (XLII, 91): « Beatrice bea, vivendo, il suo consorte E lo la scia infelice alla sua morte ». Per maggiori notizie rimando al ricchissimo studio di A. Luzio e R. Renier, Delle relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, Milano, 1890 (Estr. dall'Arch. stor. lombardo, a. xvII, 1890).

14. La Duchessa Eleonora d'Aragona. Figlia di Ferdinando I d'Aragona, nacque il 22 giugno (secondo il Caputo, op. cit. p. 47; 22 luglio, secondo il Notar Giacomo, Cronica di Napoli, ed. cit., p. 92) 1450, nel maggio del 1463 passò in moglie ad Ercole Duca di Ferrara, da cui ebbe Alfonso, e le figlie Beatrice ed Isabella. Fu donna colta, di spiriti elevati e di virile coraggio e mori l'11 ottobre del 1493, in questo principalmente fortunata, che le fu risparmiato il dolore di assistere allo sfacelo della Casa aragonese. Sabbadino degli Arienti nella già citata Gynevera de le clare donne (pp. 401-2) finisce col ricordare anch' egli alcune delle illustri Signore a lui contemporanee, delle quaii parla il C. Haverei saputo recordare (egli scrive) le prestantie et ornamenti de Elyonora de Aragona, nata del re Ferdinando, duchessa di Ferrara, et del ducal stato el magnifico governo; et de la sua liberalità in adiutare e maritare donzelle, et de la sua munificentia in far ricchi paramenti

di Napoli? la quale, dopo la perdita del regno, lo esilio e morte re Federico suo marito, e duo figlioli, e la prigionia del Duca Calabria suo primogenito, pur ancor si dimostra esser regina, e 25 tal modo sopporta i calamitosi incomodi della misera povertà, c ad ognuno fa fede che, ancor ella abbia mutato fortuna, non ha m tato condizione. Lasso di nominar infinite altre signore, ed and donne di basso grado; come molte Pisane, che alla difesa della 1

a le chiese, et de la colenda sua affabilità in li boni religiosi et de doctrina ornati; che sono effecti da farsi senza ostaculo le ademantine porte del paradiso aprire. Et de Beatrice sua sorella, regina de Hungaria, saputo haverei de la sua honestate, de la gratiosità de le parole, de la religione, del timore de Dio, de la liberalità usata cum prudentia et discretione, et del suo bel modo in parlare latino; et lo effectuale amore mostra a quilli che hanno egregii exercitii; et cum quanta callidità et prudentia se porta, bisognando infra quelle barbare gente, per la morte de la regia maiestà del marito, che sia degna de grandissima laude ». Il quale ultimo accenno dovrebbe essere stato scritto dopo il 1490.

21. La Regina Isabella di Napoli ecc. Costei è Isabella del Balzo, figlia del Principe di Altamura, moglie di quel Federico, che alla morte di suo nipote re Ferdinando II, nel 1496, gli succedette nel trono di Napoli. Insieme col fedel Sannazaro essa accompa-gnò l' infelice marito in Francia, dov' egli mori il 9 ottobre 1504. « Per lo che (scrive il Notar Giacomo, Cronica cit. p. 273-4) la carissima sua consorte incontinente lo fe' imbalsamare, e si lo tenne sei di sopra terra, adeo che tucta la Franza nce concorse ad vederlo... ». Ma trovandosi priva di ogni aiuto, giacché in virtú dei capitoli della pace conchiusa tra il Re cattolico e Luigi XII, fu licenziata dal re di Francia, essa si rifugio con le figliuole in Gazzuolo presso la sorella Antonia ed in Ferrara, alla Corte del Duca Alfonso d' Este, nipote del marito; e in Ferrara appunto trasse la sua dolorosa esistenza sino al 1533, anno in cui mori.

22. Dopo la perdita del regno ecc. Re Federico, dinanzi all' invasione francese di Luigi XII (1501), fu indegnamente tradito dall'imperatore e da Ferdinando il Cattolico. Perduta Capua e Gaeta, egli rifugiossi dapprima in Ischia, che parve allora un tragico convegno di perseguitati dalla sventura. «Nella rocca d'Ischia (scrive il Guicciardini) certamente si veddero accumulate con miserabile spettacolo tutte le infelicità della progenie di Ferdinando vecchio, per

ché, oltra a Federigo spogliato nuovame di regno si preclaro, ansio ancora più de sorte di tanti figliuoli piccoli e del prin genito rinchiuso in Taranto, che della pria, era nella rocca Beatrice sua sore

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Eravi ancora Isabella, già Duchessa Milano, non meno infelice di tutti gli al essendo stata quasi in un medesimo ten privata del marito, dello stato e dell'un suo figliuolo ». Poi si gettò per disperato braccio alla Francia, dove mori, come è detto, sul 1504.

23. E duo figlioli ecc. La Regina bella ebbe tre figli maschi e due femmi Il primogenito, Don Ferdinando o Ferra Duca di Calabria, assediato in Taranto Consalvo, si arrese al capitano spagnu dopo che questi gli ebbe solennemente rato di lasciarlo libero « Ma (narra il G ciardini) né il timore di Dio, né il risp della estimazione degli uomini poté piú l'interesse dello stato, perché Consa giudicando, che in molti tempi potre importare assai il non essere in potestà re di Spagna la sua persona, sprezzat giuramento, non gli dette facoltà di parti ma, come prima potette, lo mandò b accompagnato in Ispagna, dove dal re colto benignamente, fu tenuto appress lui nelle dimostrazioni estrinseche con re quasi regio ». Dopo la morte della dre Isabella (1533), anche le due figlie felici si rifugiarono in Ispagna, accant fratello, che allora si trovava in Vale (Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit. pp. 218, 274 n. e Caputo, Op. cit. p.

28. Molte Pisane ecc. Probabilment C. allude a quell'episodio della lunga gu combattutasi fra i Pisani e i Fiorentini, accadde nel 1499 e che è narrato dal G ciardini (Istoria d'Italia, vol. II, lib. p. 268 della ediz. Classici) nel modo guente: « Cominciossi (dai Fiorentin battere la rocca di Stampace, e la mura dalla mano destra e sinistra per lunghiss tratto con venti pezzi grossi d'artiglie cioè da S. Antonio a Stampace, e di sino alla porta, che si dice a mare, F in sulla riva d'Arno: e per contrario sani, non intermettendo giorno, e not

patria contra Fiorentini hanno mostrato quell'ardire generoso, senza timore alcuno di morte, che mostrar potessero i piú invitti animi 30 che mai fossero al mondo; onde da molti nobili poeti sono state alcune di lor celebrate. Potrei dirvi d'alcune eccellentissime in lettere, in musica, in pittura, in scultura; ma non voglio andarmi piú rivolgendo tra questi esempii. che a voi tutti sono notissimi. Basta che, se nell'animo vostro pensate alle donne che voi stessi cono- 35 scete, non vi fia difficile comprendere che esse per il più non sono di valore o meriti inferiori ai padri, fratelli e mariti loro; e che molte sono state causa di bene agli omini, e spesso hanno corretto di molti loro errori; e se adesso non si trovano al mondo quelle gran regine, che vadano a subjugare paesi lontani, e facciano magni 40 edificii, piramidi e città, come quella Tomiris, regina di Scizia, Ar

lavorare, e insieme con loro le donne non meno pertinaci e animose a questo che gli uomini, fecero in pochissimi giorni all'apposito della muraglia, che si batteva, un riparo di grossezza e altezza notabile, e un fosso molto profondo, non gli spaventando, che mentre che lavoravano ne erano feriti, e morti molti dall'artiglierie... ». E piú innanzi narra lo storico che, avendo i Fiorentini presa la fortezza di Stampace e dandosi al saccheggio invece di continuare la vittoria i Pisani, « concitati dai pianti e dalle grida miserabili delle donne, che gli confortavano a eleggere più presto la morte, che la conservazione della vita sotto il giogo dei Fiorentini, cominciarono a ritornare alla guardia dei ripari... ». Paolo Vitelli poi, capitano delle forze fiorentine, fu costretto a levare il campo da Pisa.

31. Onde da molti nobili poeti ecc. Non saprei dire se questa affermazione sia storicamente vera, o se sia per lo meno un' iperbole fatta per amore della disputa. Io non saprei citare che i seguenti distici del C. stesso da lui composti per celebrare l'eroismo d'una giovinetta pisana caduta combattendo contro i Francesi: (nei Carmina del C. riprodotti dal Serassi nel vol. II delle Lettere, p. 306): Semianimem in muris mater Pisana puellam | Dum fovet, et tenero pectore vulnus hiat, Nata, tibi has, dixit, taedas atque hos hymenaeos | Haec lefensa tuo moenia marte dabunt? | Cui virgo: Haud alias taedas, aliosve hymena308 Debuit haec nobis grata rependere umus. Hanc ego sola meo servavi sanquine terram: Haec servata meos terra egat cineres. Quod si iterum ad muros ccedet Gallicus hostis. Pro patria arma terum haec ossa cinisque ferent ».

32. D'alcune eccellentissime ecc. Per nolti di questi nomi si veda, oltre la citata ettera del Poliziano e il De cloris mulie

ribus del Boccaccio, la già ricordata Defensione delle donne, dove abbiamo un capitolo che tratta delle donne eccellenti in lettere, un altro delle donne eccellenti in profezia, un altro delle donne eccellenti in amministrazioni di stato et in fatti d'armi, un altro delle donne eccellenti in pittura e scultura ecc., suddivisioni di cui aveva dato l'esempio Valerio Massimo.

41. Tomiris. Uno dei bassorilievi onde l'Alighieri vide istoriato il pavimento marmoreo della prima cornice del suo Purgatorio «Mostrava la ruina e il crudo scempio Che fe' Tamiri, quando disse a Ciro: Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio ». (Purg. XII. 55-7). Nei quali versi l'Alighieri accolse il favoloso racconto che da Erodoto (1, 105 segg.) in poi fu ripetuto circa la fiera vendetta che la indomita regina dei Massageti si prese di Ciro, uccisore del suo unico figliuolo. E accogliendo le varie narrazioni degli storici antichi e a suo modo allungandole nei particolari scrisse il Boccaccio la vita di questa Tamiri (forma che spesso ricorre invece di Tomiri), ch'egli dice regina di Scizia e di Tartaria (V. Delle donne famose, cap. XLVII, vers. di Donato Albanzani). Anche l'anonimo autore della Defensione delle donne (ed. cit. pp. 173-4) ricorda questa regina, ma deplorandone la troppo fiera vendetta.

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