Immagini della pagina
PDF
ePub

fortissimo, continentissimo, e vero filosofo morale, non solamente nelle 35 parole ma negli effetti; ché non si pò imaginare più nobil filosofia, che indur al viver civile i populi tanto efferati come quelli che abitano Battra e Caucaso, la India, la Scizia, ed insegnar loro i matrimonii, l'agricultura, l'onorar i padri, astenersi dalle rapine e dagli omicidii e dagli altri mal costumi, lo edificare tante città nobilissime 40 in paesi lontani, di modo che infiniti omini per quelle leggi furono ridotti dalla vita ferina alla umana; e di queste cose in Alessandro fu autore Aristotele, usando i modi di bon Cortegiano: il che non seppe far Calistene, ancorché Aristotele glielo mostrasse; che, per voler esser puro filosofo, e cosí austero ministro della nuda verità, 45 senza mescolarvi la Cortegianía, perdé la vita, e non giovò anzi diede infamia ad Alessandro. Per lo medesimo modo della Cortegianía Platone formò Dione Siracusano; ed avendo poi trovato quel Dionisio tiranno, come un libro tutto pieno di mende e d'errori, e più presto

amplius in tenebris latitaret editum et impressum Bononiae Impensis Benedicti Hectoris anno domini 1501 ecc. »

42. Il che non seppe far Calistene ecc. Calistene è cosi ricordato da Cicerone (De orat. II, XIV): « Denique etiam a philosophia profectus princeps Xenophon, Socraticus ille, post ab Aristotele Callisthenes, comes Alexandri, scripsit historiam et is quidem rhetorico paene more ». Plutarco nella Vita d'Alessandro narra che Callistene fini con l'alienarsi interamente l'animo di Alessandro, «e sembra pertanto (continua lo storico di Cheronea) che convenevolmente parlasse Aristotele, quando diceva che Callistene valente e gran dicitore era, ma che non aveva senno, il quale riprovata avendo con ferma risoluzione e da filosofo l'adorazione che pretendeva Alessandro e detto avendo egli solo in pubblico ciò che secretamente diceva, ramma. ricandosi i migliori e i più attempati Macedoni, venne bensi a preservare i Greci da un grande vituperio ed Alessandro da uno ancor piú grande, trasformando una tale adorazione, ma nel tempo stesso perdé se medesimo, parendo che in ciò egli abbia I piuttosto sforzato che persuaso il re ». Piú oltre Plutarco dice che Callistene « fu allevato appo Aristotele, in grazia della parentela, nato essendo da Ero cugino dello stesso Aristotele »> e accennando alla sua fine, esserva che « altri dicono che egli mori in sulle forche per commissione di Alessandro e altri vogliono che egli morisse fra i ceppi per malattia ». Arriano poi (Hist. rer. gestar. Alexandri regis Macedonum, vers. di Bartolomeo Fazio, lib. iv), dopo esposti alcuni fatti in parte già da noi ri

cordati, conclude: « Quapropter non om nino alienum neque mirum existimo si Ale xander in Callisthenem propter importunitatem et arrogantiam exarserit ", anche perché, secondo Aristobulo, Callistene & vrebbe partecipato ad una congiura contra Alessandro, e finisce : « Callisthenem vere Aristobolus scribit, compedibus vinctum duci iussum, paulo post morbo correptum interiisse ».

46. Platone formò Dione ecc. Dione fa un nobile siracusano, genero di Dionisio vecchio, tiranno, che lo stimò assai come uomo di stato. Cacciato dal figlio di costui, Dionisio il giovane (366 a. Cr.), abbatté l tiranno (357 a. Cr.), ma fini assassinato. Anche Cicerone nel De oratore (m, s cosi scrisse: « Quis Dionem Syracosium doctrinis omnibus expolivit? non Plato! atque eum idem ille non linguae solum, verum etiam animi ac virtutis magister, ad liberandam patriam impulit, instruxit, ar mavit ». Cosi pure Plutarco nel citato ope sculo Che al filosofo conviene più che con altri discorrere coi Principi (vers. Adriani, ed. cit. p. 876) ricorda «Anassagora Il quale con Pericle uso domesticamente, Pla tone con Dione, e Pitagora coi principall Signori d'Italia ».

47. Ed avendo poi trovato ecc. L'ider tità di questo passo con quello corrispon dente di Plutarco, nell'opuscolo ora citato, apparirà più chiara dalla versione latina di Erasmo da Rotterdam: « Si quidem el Plato navigavit in Siciliam, futurum sp rans ut philosophiae decreta et leges et faTMta gigneret in Dionysii negociis; veru reperit Dionysium ceu librum lituris eger tem ac maculis mendisque plenum, nec 24

bisognoso d'una universal litura che di mutazione o correzione alcuna, per non esser possibile levargli quella tintura della tirannide, della 50 qual tanto tempo già era macchiato, non volse operarvi i modi della Cortegianía, parendogli che dovessero esser tutti indarno. Il che ancora deve fare il nostro Cortegiano, se per sorte si ritrova a servizio di principe di cosí mala natura, che sia inveterato nei vizii, come li ftisici nella infermità; perché in tal caso deve levarsi da quella ser- 55 vitú, per non portar biasimo delle male opere del suo signore, e per non sentir quella noia che senton tutti i boni che servono ai mali.

XLVIII. Quivi essendosi fermato il signor Ottaviano di parlare, disse il signor Gaspar: Io non aspettava già che 'l nostro Cortegiano avesse tanto d'onore; ma poi che Aristotele e Platone son suoi compagni, penso che niun piú debba sdegnarsi di questo nome. Non so già però s'io mi creda, che Aristotele e Platone mai danzassero o 5 fossero musici in sua vita, o facessero altre opere di cavalleria. Rispose il signor Ottaviano: Non è quasi licito imaginar che questi dui spiriti divini non sapessero ogni cosa, e però creder si pò che operassero ciò che s'appartiene alla Cortegiania, perché dove lor occorre ne scrivono di tal modo, che gli artifici medesimi delle cose 10. da loro scritte conoscono che le intendevano insino alle medulle ed alle più intime radici. Onde non è da dir che al Cortegiano o institutor del principe, come lo vogliate chiamare, il qual tenda a quel bon fine che avemo detto, non si convengan tutte le condizioni attribuitegli da questi signori, ancora che fosse severissimo filosofo e di 15 costumi santissimo, perché non repugnano alla bontà, alla discrezione, al sapere, al valore, in ogni età, ed in ogni tempo e loco.

mittentem tyranni distincturam, qua longo jam tempore fuerat imbutus, ut non facile posset elui ».

49. Litura. Cancellatura, è crudo latinismo.

55. Ftisici. Tisici. Il C. nel cod. lauenz. s'era attenuto con la grafia ancor più stretto alla forma etimologica greca (potatxós), scrivendo phtisici.

57. Noia. Qui ha il significato più forte the aveva spesso in antico (basterebbe ciare il dantesco: «Ma tu perché ritorni a anta noia?») ed era più vicino al valore timologico (inodium); significa cioè pena, grave molestia.

XLVIII. 6. Opere di cavalleria. L'espresfone è un anacronismo evidente, ma l'A. ntendeva parlare di quelle opere leggiadre d ornate, di quei raffinati costumi che si raticano specialmente nelle corti e che dal Medio Evo in poi si compendiavano idealnente nella cavalleria.

15. Ancora che fosse severissimo ecc. on so trattenermi di riferire, a illustralone di questo passo, un' osservazione do

vuta a quell'arguto e profondo pensatore contemporaneo del nostro C., che fu il Guicciardini. Il quale, in uno dei suoi Ricordi, (ed. cit. Ric. 179) lasciò scritto: « Io mi feci beffe da giovane del saper sonare, ballare, cantare e simili leggiadrie, dello scriver ancora bene, del saper cavalcare, del saper vestire accomodato, e di tutte quelle cose che pare che diano agli homini più presto ornamento che sustanza, ma arei poi desiderato il contrario, perché se bene è inconveniente perdervi troppo tempo e però forse entrarvi e' giovani, perché non vi si deviino, nondimeno ho visto per esperienza che questi ornamenti e il saper fare bene ogni cosa danno degnità e riputazione agli uomini etiam bene qualificati, e in modo che si può dire che a chi ne manca, manchi qualche cosa, sanzaché lo abbondare di tutti li intrattenimenti apre la via ai favori dei principi, e in chi ne abbonda è talvolta principio o cagione di grande profitto e esaltazione, non essendo più il mondo e i principi fatti come doverrebbono,

ma come sono ».

XLIX. Allora il signor Gaspar, Ricordomi, disse, che questi si gnori iersera, ragionando delle condizioni del Cortegiano, volsero ch'egli fosse inamorato; e perché, reassumendo quello che s'è detto: insin qui, si poria cavar una conclusione, che 'l Cortegiano, il quale 5 col valore ed autorità sua ha da indur il principe alla virtú, quasi necessariamente bisogna che sia vecchio, perché rarissime volte il saper viene inanzi agli anni, e massimamente in quelle cose che si imparano con la esperienzia: non so come, essendo di età provetto, se gli convenga l'essere inamorato; atteso che, come questa sera s'è 10 detto, l'amor ne' vecchi non riesce, e quelle cose che ne' giovani sono delizie, cortesie ed attilature tanto grate alle donne, in essi sono pazzie ed inezie ridicule, ed a chi le usa parturiscono odio dalle donne, e beffe dagli altri. Però se questo vostro Aristotele, Cortegian vecchio, fosse inamorato, e facesse quelle cose che fanno i giovani ina15 morati, come alcuni che n'avemo veduti a' dí nostri, dubito che si scorderia d'insegnar al suo principe, e forse i fanciulli gli farebbon drieto la baia, e le donne ne trarrebbon poco altro piacere che di burlarlo. Allora il signor Ottaviano, Poiché tutte l'altre condizioni, disse, attribuite al Cortegiano se gli confanno ancora che egli sia 20 vecchio, non mi par già che debbiamo privarlo di questa felicità d'amare. Anzi, disse il signor Gaspar, levargli questo amare è una perfezion di piú, ed un farlo vivere felicemente fuor di miseria e calamità.

[ocr errors]

L. Disse messer Pietro Bembo: Non vi ricorda, signor Gaspar che 'l signor Ottaviano, ancora ch'egli sia male esperto in amore, pur l'altra sera mostrò nel suo gioco di saper che alcuni inamorati sono. li quali chiamano per dolci li sdegni e l'ire e le guerre e i tormenti 5 che hanno dalle lor donne; onde domandò, che insegnato gli fosse la causa di questa dolcezza? Però se il nostro Cortegiano, ancora che. vecchio, s'accendesse di quegli amori che son dolci senza amaritudine, non ne sentirebbe calamità o miseria alcuna; ed essendo savio, come noi presupponiamo, non s'ingannaria pensando che a lui sil 10 convenisse tutto quello che si convien ai giovani; ma, amando, ameria forse d'un modo, che non solamente non gli portaria biasimo alcuno,

XLIX. 6. Perché rarissime volte ecc. Perché rarissimi, quasi eccezioni, sono i casi di sapere precoce, specialmente nella pratica della vita e che richiedono lunga esperienza.

10. L'amor ne' vecchi ecc. Altre volte, commentando altri passi del nostro A., si sono ricordati molti giudizî severi sui vecchi innamorati, tema questo gradito, specialmente ai commediografi. Qui aggiungo la notizia della Iv fra le Satire alla Carlona (del Libro secondo, Venetia, 1547, per Comin da Trino) di Messer Andrea da Bergamo

(Pietro Nelli senese), intitolata Le miseria d'un vecchio innamorato. Claudio Tolomel in una delle sue Lettere (ed. cit. c. 34r sg-1 non solo nega la convenienza dell'amore nei vecchi, ma li bandisce senz' altro dalle corti, dicendo che « il corteggiare è arte da giovani, non da vecchi », e che a quanto è grazioso vedere un giovene intorno ad un signore, tanto è cosa disgraziata e goffa, ed ambiziosa vedervi un vecchio ».

L. 3. Mostrò nel suo gioco ecc. Allude al gioco proposto dal Fregoso nel cap. I del lib. I.

[ocr errors]

ma molta laude e somma felicità non compagnata da fastidio alcuno, il che rare volte e quasi non mai interviene ai giovani; e cosí non lasseria d'insegnare al suo principe, né farebbe cosa che meritasse la baia da' fanciulli. Allor la signora Duchessa, Piacemi, disse, 15 messer Pietro, che voi questa sera abbiate avuto poca fatica nei nostri ragionamenti, perché ora con piú securtà v'imporremo il carico di parlare, ed insegnar al Cortegiano questo cosí felice amore, che non ha seco né biasimo né dispiacere; che forse sarà una delle più importanti ed utili condizioni che per ancora gli siano attri- 20 buite: però dite, per vostra fé, tutto quello che ne sapete. Rise messer Pietro, e disse: Io non vorrei, Signora, che 'l mio dir che ai vecchi sia licito lo amare, fosse cagion di farmi tener per vecchio da queste donne; però date pur questa impresa ad un altro. - Rispose la signora Duchessa: Non dovete fuggir d'esser riputato vec- 25 chio di sapere, sebben foste giovane d'anni; però dite, e non v'escusate piú. Disse messer Pietro: Veramente, Signora, avendo io da parlar di questa materia, bisognariami andar a domandar consiglio allo Eremita del mio Lavinello. Allor la signora Emilia, quasi turbata, Messer Pietro, disse, non è alcuno nella compagnia che sia 30 piú disobidiente di voi; però sarà ben che la signora Duchessa vi dia qualche castigo. Disse messer Pietro, pur ridendo: Non vi adirate meco, Signora, per amor di Dio; che io dirò ciò che voi vorrete. Or dite adunque, rispose la signora Emilia.

[ocr errors]

LI. Allora messer Pietro, avendo prima alquanto taciuto, poi rassettatosi un poco, come per parlar di cosa importante, cosí disse: Signori, per dimostrar che i vecchi possano non solamente amar

18. Questo cosí felice amore. Questo amore nobile, spirituale.

26. Giovane d'anni. Secondo la cronologia fittizia di questi ragionamenti, il Bembo avrebbe avuto allora trentasei anni.

29. Allo Eremita del mio Lavinello. Allude a quell' Eremita che Lavinello nel lib. III degli Asolani del Bembo (usciti in lace fino dal 1505) vide « tutto solo lentamente passeggiare canutissimo e barbuto »> e che, in séguito alla sua preghiera, gli parla dell'Amore più elevato, che è il platonico, ma trasformato nel piú puro misticismo cristiano. E appunto per avere il Bembo svolto nei suoi Asolani in modo cosi conforme ai gusti teorici del tempo suo, la dottrina dell' amore, e specialmente dell'amore platonico, l'amico suo C. gli affida l'incarico analogo, col quale chiude degnamente il Cortegiano.

31. Però sarà ben ecc. Similmente verso la fine del Libro II degli Asolani, Gismondo a Lavinello, che tentava sottrarsi all'obbligo di parlare pel giorno seguente,

[merged small][ocr errors]

LI. 1. La maggior parte di questo discorso del Bembo sull' amore è tratta dal Convivio e dal Fedro di Platone e dai commenti di Marsilio Ficino, nonché dai Tre libri d'Amore del platonico Francesco Cattani da Diacceto e dagli Asolani, coi quali ha in comune le fonti. Molti riscontri ebbe a fare il Ciccarelli nelle chiose marginali della sua edizione spurgata del Cortegiano, riprodotti poi dal Volpi, dal Vesme e dal Rigutini. Qui e daremo questi stessi riscontri in modo più preciso e parecchi altri ne aggiungeremo, per quanto i limiti della edizione presente ci concedono. Si ricordino intanto anche le buone ma troppo limitate osservazioni del Bottari nel suo Studio citato sul C. e il Cortegiano (pp. 53-9).

3. I vecchi rossano non solamente ecc. Il C. aveva scritto dapprima: «li vecchi ponno talhor amar più felicemente che li giovani ».

senza biasimo, ma talor più felicemente che i giovani, sarammi ne5 cessario far un poco di discorso, per dichiarir che cosa è amore, ed in che consiste la felicità che possono aver gl'inamorati; però pregovi ad ascoltarmi con attenzione, perché spero farvi vedere che qui non è omo a cui si disconvenga l'esser inamorato, ancor che egli avesse quindici o venti anni più che 'l signor Morello. E quivi 10 essendosi alquanto riso, suggiunse messer Pietro: Dico adunque che, secondo che dagli antichi savii è diffinito, Amor non è altro che un certo desiderio di fruir la bellezza; e perché il desiderio non appetisce se non le cose conosciute, bisogna sempre che la cognizion preceda il desiderio: il quale per sua natura vuole il bene, ma da sé è 15 cieco e non lo conosce. Però ha cosí ordinato la natura, che ad ogni virtú conoscente sia congiunta una virtú appetitiva; e perché nel

5. Dichiarir. Nella redazione primitiva del cod. laurenz. « dechiarar».

11. Dagli antichi savii. Questa infatti è l'antica tradizionale definizione dell'Amore, quale è data da Platone e dai Platonici tutti, come dal Ficino, che nel Cap. IV della Prima Oratio del In Convivium Platonis de Amore Commentarium, scriveva: «Cum amorem dicimus, pulchritudinis desiderium intelligite. Haec enim apud omnes philosophos amoris definitio est. » Anche il Cattani da Diacceto nel lib. I, cap. VII, scriveva « Ogni appetito e ogni desiderio si può chiamare Amore in un certo modo, benché, pigliando propriamente, l'Amore sia solamente desiderio di bellezza, come dichiareremo in quel che segue » cap. I del lib.III: «È adunque l'amore desiderio di fruire et generar la bellezza nel bello, secondo il divin Platone definisce nel Simposio ». Parimente Lavinello nel lib. III degli Asolani del Bembo, dice che « è verissima opinione a noi dalle più approvate scuole degli antichi diffinitori lasciata, nulla altro essere il buono amore, che di bellezza disio ». Si veda anche nel lib. II Di natura d'Amore di Mario Equicola, il capitolo intitolato Diffinitione d'Amore.

"

e nel

12. Perché il desiderio non appetisce ecc. Anche negli Asolani il Bembo aveva posto in bocca all' Eremita questa considerazione rivolta a Lavinello (lib. III, pp. 236-7 ed. Classici ital.): «È adunque da sapere, che siccome nella nostra intellettiva parte dell'animo sono pure tre parti, o qualità, o spezie ciascuna di loro differente dall'altre e separata: perciocché v'è primieramente l'intelletto, che è la parte di lei acconcia e presta allo intendere, e può nondimeno ingannarsi: v'è per secondo lo intendere, che io dieo, il quale non sempre ha luogo; che non sempre s' intendono le intelligibili cose; anzi non l'ha egli, se non

tanto, quanto esso intelletto si muove e
volge, con profitto d' intorno a quello, che
a lui è proposto per intendersi e per sa-
persi. Evvi dopo queste ultimatamente, e
di loro nasce quella cosa o luce, o imma-
gine o verità, che dir la vogliamo, che a
noi bene intesa si dimostra, frutto e parto
delle due primiere, la qual tuttavia se è
male intesa, né verità, né immagine, né
luce dire si può, ma caligine e abbaglia-
mento e menzogna. Cosi né piú né meno
sono nella nostra vogliosa parte del mede-
simo animo pure tre spezie per gli loro
ufficii propria e dall'altre due partita cia-
scuna. Conciossiacosaché v'è di primo la
volontà, la qual può e volere parimente e
disvolere, fonte e capo delle due seguenti:
e che v'è dopo questa il volere, di cui
parlo, e ciò è il disporsi a mettere in opera
essa volontà o molto, o poco, o ancora
contrariamente, che è disvolendo: e che
v'è per ultimo quello, che di queste due
si genera; il che se piace, amore è detto;
se dispiace, odio per lo suo contrario ne
cessariamente si convien dire ». Si con-
fronti anche il Ficino nel citato Commen
tarium, Orat. VI, cap. VIII. Parimente
Francesco Cattani da Diacceto, nei Tre li-
bri d'Amore, che il C. conosceva certa-
mente (ed. Vinegia, Giolito, 1561, p. 102)
scriveva: « Adunque l'appetito, appetisce
quello che la potenzia del conoscere giu-
dica esser buono, onde è manifesto l'appetito
seguitare la cognitione ». Poscia anche il
platonico fiorentino distingue diversi gradi
di vero e di bene e quindi diverse potentie
di conoscere, corrispondenti ai « tre modi
di conoscere » del nostro A., e che egli
espone in ordine inverso dal suo, cioè di-
scendente. Perciò la prima potenzia è l'in-
telletto, a cui va connesso il primo appe-
tito che è la volontà; la seconda potenzia
« è chiamata ragione e il secondo appetito

« IndietroContinua »