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bisogna che e per sé e per gli amici intenda le querele e d che possono occorrere, e sia advertito nei vantaggi, in t 5 strando sempre ed animo e prudenza; né sia facile a questi timenti, se non quanto per l'onor fosse sforzato: ché, oltre pericolo che la dubiosa sorte seco porta, chi in tai cose I samente e senza urgente causa incorre, merita grandissimo avvenga che ben gli succeda. Ma quando si trova l'omo 10 trato tanto avanti, che senza carico non si possa ritrarı nelle cose che occorrono prima del combattere, e nel co esser deliberatissimo, e mostrar sempre prontezza e core; com' alcuni, che passano la cosa in dispute e punti, ed a elezion dell'arme pigliano arme che non tagliano né pung 15 armano come s'avessero ad aspettar le cannonate; e pa bastare il non esser vinti, stanno sempre in sul diffende rarsi, tanto che mostrano estrema viltà; onde fannosi fa da' fanciulli: come que' dui Anconitani, che poco fa comba Perugia, e fecero ridere chi gli vidde. - E quali furon q 20 disse il signor Gaspar Pallavicino. Rispose messer Cesare telli consobrini. Disse allora il Conte: Al combattere pa telli carnali; poi suggiunse: Adopransi ancor l'arme tempo di pace in diversi esercizii, e veggonsi i gentilo

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giano per sapersene valere all' occasione.

3. Intenda le querele ecc. Cioè abbia piena notizia della scienza cavalleresca, della parte teorica della cavalleria, oltre che della pratica; conosca i varî (« casi »> che possono occorrere, le norme secondo cui debba contenersi; ma sempre e questo come regola generale si mostri prudente, misurato, non cacciatore o provocatore di duelli, ma solo geloso custode del proprio onore, disposto a valersi di essi, con serietà e risolutezza d'animo, solo quando la propria dignità offesa lo richieda.

4. Advertito nei vantaggi. Accorto nello scoprire i punti favorevoli delle questioni e nel trarne profitto.

Qui

9. Quando si trova l'omo ecc. uomo fa semplicemente le veci del pronome dimostrativo egli riferito al Cortigiano, che è anche il soggetto sottinteso del verbo intenaa nel periodo antecedente. È un uso latineggiante (assai affine del resto a quello più frequente che sostituisce la forma passiva impersonale «uom dice ecc.), di cui troviamo, fra gli altri, riscontro nello Speroni (Dialoghi, Venezia, 1596, p. 250): il quale, parlando di Senofonte, scrive: «Tanta è nell'uomo l'autorità ».

13. Punti. Questioni, soggetti controversi e disputabili donde l'espressione consueta in materia cavalleresca, « punto d'onore». Nel Cecchi troviamo « punto legale ».

20. Fratelli consobrini. La cambio del più comune e più gini, che derivava dalla locu consobrinus ancora in uso neg rili del Cinquecento.

21. Parvero fratelli carnali gini soltanto, cioè nati da due veri fratelli si mostrarono qu tanto erano fra loro somigli estrema viltà » e nella ridico mità del combattere.

23. In diversi esercizii ecc. specialmente ai torneamenti e che sopravvissero anch'esse ne e nelle costumanze della mig italiana del Rinascimento, e fu al popolo, certo in grazia anche diffusione e del largo favore cavallereschi ebbero specialme dia e nell'Alta Italia. Anche le dussero una letteratura abba di carattere descrittivo nari sterà qui ricordare quella di Magnifico celebrata da Luca più famosa di Giuliano cantat cantare, nelle immortali Stan ziano, e l'altra descritta in più popolare da Francesco cie e tenutasi nel 1470 in Bolog le sue giostre Ferrara (per una dasi il Diario ferrarese in M II. Ser. XXV, col. 208), n' ebbe,

pettacoli publici alla presenza de' popoli, di donne e di gran signori. erò voglio che 'l nostro Cortegiano sia perfetto cavalier d'ogni 25 alla; ed oltre allo aver cognizion di cavalli e di ciò che al cavalare s'appartiene, ponga ogni studio e diligenza di passar in ogni osa un poco più avanti che gli altri, di modo che sempre tra tutti ia per eccellente conosciuto. E come si legge d'Alcibiade, che superò

el Petrarca (Epist. senil. IV, 2), la stessa enezia, nella piazza di S. Marco (come si uò vedere dalle descrizioni interessanti e si trovano nei Diarî di Marin Sanudo dai pochi cenni del Molmenti, La storia i Venezia ecc. 3a ed. Torino, 1885, p. 312 del Burckhardt, op. cit. II, 158); ne ebbe oi specialmente la Corte piú cavalleresca 'Italia, quella di Savoja, per la quale ridando al primo degli Opuscoli di L. Cirario, Torino, Fontana, 1841. Una minuta lescrizione d'una giostra tenuta in Manova nel 1520, presente il C., vedasi nei it. Studi e documenti.

25. Sia perfetto cavalier d'ogni sella. Cioè conosca perfettamente tutti gli accor. gimenti e le varietà nell'arte dell' equitazione, la quale anche pel Calcagnini abbiamo veduto essere elemento indispensa bile d' una buona educazione. Si ricordi il ritratto che lo stesso C. ci lasciò del Duca Guidobaldo, del quale è detto che « equitabat quotidie, arma gestabat, hastis concurrebat» e, piantato sul suo poderoso cavallo, pareva a alter Pollux ». Il d' ogni sella si riferisce ai varî tipi di sella e ai sistemi di cavalcare diversi secondo le nazioni. Di ei discorre il Cortese che consacra un capitolo del suo de Cardinalatu alle varie maniere di cavalcare (de Equitatione), alla spagnuola, alla francese, all' italiana, la quale ultima pare a lui laudabilior. E agli Italiani spetta il vanto di avere pei primi stabilito alcuni principî e regole precise intorno alla equitazione. La prima opera di questo genere, che fu assai diffusa nel sec. XVI e tradotta in quasi tutte le lingue d'Europa, è quella di Federico Grisone iatitolata Gli ordini di cavalcare, uscita primamente nel 1550 in Napoli e dedicata al Cardinale Ippolito d'Este.

26. Aver cognizion di cavalli ecc. Dalle lettere famigliari del C. traspare la grande intelligenza e la vera passione che egli aveva pei cavalli; e i suoi gli stavano tanto a cuore, che, lontano, li raccomandava spesso alla madre. Di questa sua pass.one abbiamo un riflesso anche nella predilezione con cui egli nel suo libro accenna ai cavalli, parla della loro educazione (lib. IV, IV) e ne ricava imagini efficaci; come anche in una lettera a m. Pietro Ardighel:: La lettera di V. S. arei avuto caro,

che fosse stata scritta di modo ch' io l' avessi potuta mandare al sig. Marchese [di Mantova], ma io non l' ho giudicato a proposito, perché i cavalli gentili di bocca non fanno per speronate ». (Lett. di negoz. II, 29). Del resto il C. viveva in un tempo e in una società in cui era dominante l'amore pei cavalli. Nel luglio del 1507 il Marchese di Mantova si rivolgeva a « Messer Cavalericcio di la Regina di Napoli », pregandolo di dargli copia d'un suo libro « de medicina de cavalli » - e parecchi anni dopo, nel 1525, la Corte di Mantova si provvedeva dal Duca d'Urbino d'un consimile libro di veterinaria. Nei Gonzaga signori di Mantova era tradizionale l'amore pei cavalli, dei quali vantavano una razza famosa, che riusciva vincitrice quasi sempre nelle corse più difficili, come in quella di Roma. E lo stesso C. in una interessante lettera dall' eterna città (1521) descriveva con minuzia di particolari le corse tenutesi in quei giorni, alle quali avevano preso parte anche i cavalli del Marchese suo Signore (pubbl. dal Mortara, per nozze, nel 1851 e ripubbl. nel vol. di Studi e docum.). Appunto nella Corte Mantovana l'anno 1512 si stava preparando un codice in pergamena, che doveva contenere «< i ritratti dei cavalli in miniatura coi palii guadagnati dagli stessi ». Per questa ed altre notizie sopra citate si vedano le Varietà archivistiche disseminate dal Bertolotti nel Bibliofilo, n. CCVI, CLXXXIII e CCLXXXIII. Fra i varî trattati ai quali poteva ricorrere allora il Cortegiano per « aver cognizion di cavalli » ne ricordo uno, oggi rarissimo, intitolato Libro de la natura di cavalli, che usci la prima volta nel 1502, poi nel 1508 in Venezia, nel 1517 ecc. Per maggiori notizie si vedano gli studî del Delprato premessi alla Mascalcia di Lorenzo Rusio (Bologna, 1862) e ai Trattati di Mascalcia attribuiti ad Ippocrate ecc. (Bologna, 1865, Collezione di opere ined. e rare).

29. E come si legge d'Alcibiade ecc. Si legge, ad esempio, nella Vita d'Alcibiade scritta da Cornelio Nipote, nella fine: «Cum Athenis, splendidissima civitate, natus esset, omnes splendore ac dignitate superasse vitae; postquam inde expulsus Thebas venerit, adeo studiis eorum inservisse ut nemo cum labore corporisque viribus pos

30 tutte le nazioni presso alle quali egli visse, e ciascuna in che piú era suo proprio; cosí questo nostro avanzi gli altri scuno in quello di che più fa professione. E perché degli Ita peculiar laude il cavalcar bene alla brida, il maneggiar con massimamente cavalli asperi, il correr lance e 'l giostrare, 35 questo dei migliori Italiani: nel torneare, tener un passo, com una sbarra, sia bono tra i miglior Franzesi: nel giocare a correr tori, lanciar aste e dardi, sia tra i Spagnoli ecceller

set aequiparare...; eumdem apud Lacedaemonios, quorum moribus summa virtus in patientia ponebatur, sic duritiae se dedisse, ut parsimonia victus atque cultus omnes Lacedaemonios vinceret; fuisse apud Thraecas, homines vinolentos rebusque veneriis deditos: hos quoque in his rebus antecessisse; venisse ad Persas, apud quos summa laus esset fortiter venari luxuriose vivere; horum sic imitatum consuetudinem ut illi ipsi eum in his maxime admirarentur, quibus rebus effecisse ut, apud quoscumque esset, princeps poneretur habereturque carissimus ».

33. Cavalcar bene alla brida. Cavalcar bene alla briglia, col cavallo imbrigliato. Brida è forma gemella del bride francese e dello spagn. brida, tutte procedenti dal german. Naturalmente, v'era anche l'esercizio di cavalcare senza briglia, nel che era valentissimo il giovane Gargantua, il quale sapeva « sans bride, guider le cheval à son plaisir ». (Gargantua, lib. I, cap. XXIII).

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Giostrare... torneare. Più sopra (Cap. III. 42-3) s'è incontrato giostre e torneamenti, ed è noto il dantesco: « ferir torneamenti e correr giostra » (Inf. XXII, 6). Giostrare (dal lat. juxta, quasi cominus pugnare; cfr. il jouter dell'ant. franc. e il nostro arcaico giostare) è il combattimento singolare a corpo a corpo: torneare il muo. vere all'ingiro di due schiere o squadre l'una contro l'altra simulando cosí una battaglia.

35. Tener un passo. Il contrario di dare un passo; uno degli svariati esercizî cavallereschi pel quale il cavaliere, posto a guardia d'un ingresso o passaggio, doveva difenderlo opponendosi agli assalti del nemico. Anche semplicemente contrastare all'avversario, impedendogli d'avanzarsi.

35. Combattere una sbarra. Sa l'opposto di « tenere un passo » zare, tentare di superare un 0 feso dal nemico.

36. Nel giocare a canne. I spiega questo gioco come una giostra introdotta dai Mori in dagli Spagnuoli in Italia (Cfr. Or XIII, 37) forse equivalente al latin ludere in equo, bacillos jacere e - e non cita altri esempî che que stiglione. Certo, nella prima me doveva essere assai diffuso in It che nel libro II (cap. VIII, IX) il dassarre non manca di ricorda esercizi cavallereschi piú scelti pubblico, insieme col giostrare e re. E infatti (per citare un solo e documento fatto conoscere recen descrive un grande gioco di can in Roma sulla Piazza di S. Pie nevale del 1519, fra due schier l'una capitanata dal Serapica, d'onore e favorito di Leone X steva da una finestra allo spet tra da Mons. Cornaro. Fatta corsa per ambe le compagni pica se retirò dall'altro lato d et la Cornera verso Sancto F Serapica prese le canne, et v saltar la Cornera, che haveva le canne, et slanciate le canne contra la Cornera, essa poi con le sue canne, et cosi fer assai l'uno contro l'altro che e vedere, et non pericoloso... » da A. Ademollo nel volumetto VI, Giulio II e Leone X nel Roma, Firenze, Ademollo, 188

37. Correr tori. La corsa (co o caccia dei tori, era usata fra noi, specialmente in Rom carnevale, ma era alquanto quella propria degli Spagnu degli spettacoli più graditi pel bene spesso riuscisse assai pe nesto. Cosi, nel gennaio del 1 netto Federico Gonzaga « Se campo de Fiore ad veder a tori, quali prima che mores

sopra tutto accompagni ogni suo movimento con un certo bon giudicio e grazia, se vole meritar quell' universal favore che tanto s' apprezza.

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XXII. Sono ancor molti altri esercizii, i quali benché non dependano drittamente dalle arme, pur con esse hanno molta convenienzia, e tengono assai d'una strenuità virile; e tra questi parmi la caccia esser de' principali, perché ha una certa similitudine di guerra: ed è veramente piacer da gran signori, e conveniente ad uom di corte, 5 e comprendesi che ancora tra gli antichi era in molta consuetudine. Conveniente è ancor saper nuotare, saltare, correre, gittar pietre, perché, oltre alla utilità che di questo si pò avere alla guerra, molte volte occorre far prova di sé in tai cose; onde s'acquista bona estimazione, massimamente nella moltitudine, con la quale bisogna 10

molti et dui ne morirno» (Lett. pubbl. dal Luzio in Federico Gonzaga ecc. già citato, p. 49]. Parecchie notizie interessanti su queste cacce dei tori in Roma al principio del sec. XVI, ci sono offerte dai cit. documenti raccolti dall'Ademollo (Op. cit.). Anzi in una specie di programma delle feste da farsi nel carnevale di quello stesso anno 1513, troviamo notato pel 30 gennaio : Cacce di tori in ogni strada e in omni Foro, cioè in Campidoglio, in Piazza Giudea, in Banchi, in Via Florida (Giulia) » (p. 37. Cfr. pp. 45-47).

XXII. 2. Convenienzia. Qui significa conformità, affinità, somiglianza.

3. Tengono assai ecc. Mostrano, richiedono e insegnano una certa gagliardia quasi guerresca, non sono giuochi molli fatti per semplice diletto.

La caccia. E veramente « ancora tra gli antichi era in molta consuetudine »> la caccia, che ebbe l'onore d'un trattatista come Senofonte (nel KuvnɣɛTIXÒS). Quivi si celebrano le lodi della caccia, che è detta di origine divina, si annoverano e descrivono i vari generi di essa, e si parla dei vantaggi fisici che essa arreca ai suoi cultori, appunto come preparazione all'arte militare e alla guerra. Fu anche importante elemento della vita medievale. Infatti nel Medio Evo la gran caccia all'orso, al cinghiale, al cervo ecc. era stimata come un utile e onorevole esercizio guerresco, mentre la caccia più mite e sicura, con gli uccelli, coi falchi, prediletta anche alle dame, era tenuta come un gradito passatempo cavalleresco. Il Medio Evo vanta una vera letteratura, prima latina e poi volgare, sulla caccia: e basterà ricordare il diffusissimo trattato De arte venandi cum avibus dell'imperatore Federigo II. Naturalmente anche il Rinascimento nostro (nonostante i dispregi di Poggio Bracciolini nel suo dialogo de No

CASTIGLIONE, I Cortegiano.

bilitate) mostrò una viva passione per la caccia, la quale, come si può vedere anche solo dal presente libro, faceva parte dei costumi cavallereschi e signorili di quella età. E infatti di narrazioni e descrizioni di grandi cacce sono pieni i documenti e i carteggi di allora. Fra i molti, è notevole il poemetto Venatio che Ercole Strozzi dedicò a Lucrezia Borgia, lunga descrizione d'una bizzarra e fantastica caccia; e le storie tutte delle nostre lettere ricordano il Cynegeticon di Pier Angelio da Barga e il poema Della caccia di Erasmo da Valvasone. Uno dei più ardenti cacciatori fu papa Leone X, il quale, ogni qual volta poteva, abbandonava l'Eterna città per le sue ville della Magliana, di Palo, di Cerveteri e di Viterbo, dove cacciava allegramente in compagnia dei più giovani Cardinali e dei numerosi cortigiani.

Conseguenza naturale della caccia era la grande cura pei cani, e accanto a un messer Ludovico Ariosto che si duole d'aver dovuto regalare al Card. Cesarini la sua « bracca, ch' egli avea molto cara per la sua bellezza...» (Lettere di L. A., ed. cit., p. 6), vediamo il nostro Baldassarre nelle lettere alla madre parlarle spesso di cani, ed ora proporsi di rivolgersi ai suoi amici di Mantova (Lett. fam. xvi, da Roma, 1505) « pur per cani, che quanti più ne avessi più me piaceria, perché qui sono in grandissimo prezzo, ed io desidero e ho obbligazione di compiacer molti Signori che mi amano assai... » — ora scriverle (Lett. fam. XIX) che avrebbe mandato a prendere «quei bracchi e sparvieri ». E non per nulla Senofonte, nell' opuscolo citato, consacrava parecchi capitoli ai cani (cap. ш-v11) suggerendo perfino ai cacciatori i nomi più adatti e più usati da darsi ai nobili animali.

10. Bisogna pur che l'uom s'accommodi. Bisogna fare i conti quasi e accordarsi.

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pur che l'om s'accommodi. Ancor nobile esercizio e convenientissimo ad uom di corte è il gioco di palla, nel quale molto si vede la di sposizion del corpo, e la prestezza e discioltura d'ogni membro, e tutto quello che quasi in ogni altro esercizio si vede. Né di minor 15 laude estimo il volteggiar a cavallo, il quale benché sia faticoso e difficile, fa l'omo leggerissimo e destro più che alcun' altra cosa; ed, oltre alla utilità, se quella leggerezza è compagnata di bona grazia, fa, al parer mio, più bel spettacolo che alcun degli altri. Essendo adunque il nostro Cortegiano in questi esercizii più che me20 diocremente esperto, penso che debba lasciar gli altri da canto; come volteggiar in terra, andar in su la corda, e tai cose, che quasi hanno del giocolare, e poco sono a gentilomo convenienti. Ma, perché sempre non si pò versar tra queste cosí faticose operazioni, oltra che ancor la assiduità sazia molto e leva quella ammirazione che si piglia 25 delle cose rare, bisogna sempre variar con diverse azioni la vita nostra. Però voglio che 'l Cortegiano descenda qualche volta a più riposati e placidi esercizii, e per schivar la invidia e per intertenersi piacevolmente con ognuno, faccia tutto quello che gli altri fanno,

L'uomo qui, secondo un uso arcaico frequente, innanzi ad un verbo sostituisce la forma passiva e riflessiva impersonale ed indeterminata, che si esprime di solito col si (uom dice, on dit).

12. Il gioco di palla. S' è già visto che, per testimonianza dello stesso C., il Duca Guidobaldo, non ostante la podagra che incominciava ad affliggerlo, « non ob id ludo pilae, cuius erat scientissimus, abstinebat ». Di questo giuoco si dilettava assai Federico Gonzaga, il primogenito del Marchese Francesco; e vediamo nel 1515 la sorella sua, Eleonora Duchessa d'Urbino, inviargli le palle da giocare anche per mezzo del C. (Vedasi nel volume cit. di Studi e documenti). A questo giuoco (che il Burckhardt, op. cit. II, 159-9, ben dice il giuoco classico d'Italia, sebbene poi soggiunga che della diffusione sua presso di noi all'epoca del Rinascimento non si hanno positive testimonianze) il Cortese consacrava uno speciale capitolo (De ludo pilae, c. 76 v), dove dice che « ex omnium exercitationum genere id est salubrius Galeno visum quod lusoria pila fiat », e dove parla delle varie specie di palle e del modo di usarne. Tanta era la passione che si aveva per questo giuoco al tempo del C., che in Verona i nobili giuocavano allegramente e romorosamente alla palla sul piazzale d'una Chiesa, in modo da costringere a ripartirsene i Teatini, che erano stati chiamati colà poco dopo il 1547 dal Vescovo Giberti (Vedi Notizie stor. di G. M. Giberti tratte dalla

Storia letter. della Liguria e riprodotte
innanzi alla Corrispondenza segreta di G.
M. Giberti col Card. Agostino Trivulzio,
Torino, 1845, p. xIx).

15. Il volteggiar a cavallo. È l'eseguire stando a cavallo, varî esercizî d'agilità, specie il salire e scendere prestamente e senza staffe; i quali esercizî s' apprendevano dapprima con un cavallo di legno simile a quello che è ancora in uso nelle palestre ginnastiche. Anche il Rabelais ci parla delle prodezze che il giovane Gargantua (lib. I, cap. xxII) faceva su quei cavalli che si dicevano appunto desultoires. Il Manuzzi cita un esempio del Tolomei: « Disidero ch' egli impari di schermire, di cavalcare, di volteggiare e esercitar la sua persona in tutti que' modi, che si convengono ad un gentiluomo ».

17. Compagnata e compagnare, invece delle forme più comuni, accompagnata e accompagnare, ricorrono più volte nel Cortegiano.

18. Alcun degli altri. Si sottintende esercizi.

22. Giocolare. È il jocularis del latino medievale, giullare, buffone, saltambanco. Parimente Monsignor Della Casa nel suo Galateo (cap. XXI) avverte che: « niuno dee, per piacere altrui, avvilire se medesimo, che è arte non di nobile uomo, ma di giocolare e di buffone » (Cfr. Cap. II).

23. Versar tra queste cosí faticose operazioni. Darsi a cosi faticosi esercizî. Il versare è latinismo che corrisponde al versari.

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