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ad intendere, non portavano la spesa della carta. A costui risponderò, che l' esperienza dei lunghi anni da me spesi nell'insegnare la patria lingua mi dimostra che quelle cose le quali egli crede minuzie, o non sono veramente tali, ovvero se sono al parer ď uno, non sono però d'un altro, e chi spiega aver debbe in riguardo il generale e non il particolare; e la maggior parte di quelle cosucce le ho spiegate, perchè tortamente interpretate, o per arbitrarie sustituzioni falsificate nelle altre gramatiche, e nei vocabolarj s'incontrano. E giovi d'esempio la particella pure; della quale si segnano nel vocabolario della Crusca sedici diversi significati, i quali falsamente gli si attribuiscono, e senza toccare il vero e uno che ha. In fine nel distendermi a quelle cose ch'altri dirà minuzie, m' è parso che così fosse da fare, perciocchè Dante, il Boccaccio, e il Varchi, e gli altri di maggior grido, così fanno nei loro comenti; e perchè non si creda ch' io mi muova a vento, voglio porre dinanzi agli occhi al lettore alcuni esempj; e saranno tolti dai comenti di quel Varchi, la cui ricordazione induce reverenza ed amore, ch' egli fece sopra un sonetto del Bembo, e le tre divine canzoni su gli occhi; le quali minuzie non è chi sappia l'abbiccì, e non le comprenda alla prima (1). Ed era il Varchi, mentre quelle cose scri

(1) Nel sonetto del Bembo: A questa fredda tema, ec., egli spiega: tema, timore; uom, uomo ; confusi, mischiati e mescolati insieme;

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veva e diceva, in Firenze, e quando sì gloriosa e sì pura la lingua nostra, e parlava in cospetto a quei reverendi sostenitori e correggitori del dolce idioma del sì; mentr' io parlo a chi impara, in paesi strani, in tempo che la lingua nostra è caduta nel fango. Adunque chi mi vorrà dar di morso per questa parte, o dirà vero, e io sarò degno di quel biasimo che merita ne' suoi comenti il Varchi, e Dante, e il Boccaccio, e tutti i più sommi; o dirà falso, ed egli, non io, n' avrà il viso di trista vergogna tinto.

Alcuni saranno per avventura, i quali diranno ch'io

scema

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scemal, lo e diminuisce di sua forza, di sua virtù e potere'; in parte, non del tutto, ec. ec. Nelle tre dette canzoni perchè, perciocchè ; la vita, lo spazio del vivere umano; breve, corta; l'ingegno, mio; paventa, pave e teme; ma spero, pure ho speranza; portate, poteva ancor dir portato gramaticalmente; sì frale, essendo sì frale; che, la qual paura; perchè, acciocchè; avvampi, arda e si consumi; sfaccia, disfaccia e distrugga; testimon, testimonj; m'udiste, mi sentiste; mi meni, mi conduci; fuor di cammin, fuori di strada; di lui che, di colui il quale; fosse, fusse; non avria, non avrebbe mi spogliate, mi private; dico, voglio dire; però, per questa cagione; la carne, il corpo; moia, muoia, mora; lor, a loro; colto, coll 'o chiuso, cioè coltivato; il cor, vostro; nè mai, cioè per alcun tempo; fur, furono, o ver furo; splende, riluce; rimansi, și rimane; ivi, quivi; il lume, lo splendore; in cui, nel quale splendore; la man, la mano; che, la quale; come io temo, come io dubito; credia, credea; questa speranza, cotale speme; m'abbandona, mi lascia; ma pur, ma nondimeno; gli orecchi, le orecchia; che, nel quale; ne, di quelle cose onorate; senza lor, senza essi occhi; così, in tal maniera; non poria, non potrei; che, i quali ; muove, parte; fiso, fisamente, ec. E ne tralascio tante e fali, che sarebbe una noia a chi legge e a me, a volerle tutte raccontare.

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mi sia troppo disteso ne' miei comenti; e qui a risposta a tanto sconsiderata accusazione dirò quello che fatt' hanno nei loro certi mostacci, i quali se li guardi, e non tremi come foglia, venganti pure attorno quanti cagnazzi, e draghignazzi, e graffiacani ha l' inferno, e starai fermo in campo, non ti sgomentando i loro uncigli, e forche, e male branche, nè per scontorcersi, stralunare, e digrignare che sappian fare. E in prima Dante, nel comento che fece egli stesso a tre sue canzoni, empie 180 carte, vel circa, in 4°.; il Boccaccio, comentando la Divina Commedia compone due volumi in 8 sopra la metà dei canti della prima canzone, e sarebbero stati quattordici simiglianti volumi per lo meno, se avesse quel lavoro compiuto; il Buonarroti, sopra un solo dei sonetti del Petrarca, scrive quanto io fo sopra 15 sonetti dell' autore medesimo, cioè 33 facce intere in 8; il Varchi, sul primo sonetto del Buonarroti ha piene 57 facce di stampa in 8; in quello sì famoso del Casa sopra la gelosia, 19 carte in 4 ; sopra quello del Petrarca : S'amor non è che dunque è quel ch'i' sento, 24 della stessa forma; e il suo comento sopra le tre nobilissime sorelle empie cento e più carte, pur in 4; e così fatt' hanno molti, fra' quali il divin Buonarroti, a spiegazione della voce pensiero, che tutti si credono averne chiaro e pieno il comprendimento, empie presso che quattro carte. Onde, dietro così fatti uomini, affermo, pur con mio discapito, che la distesa d'un comentario si misura dal maggiore

o minor vedere di colui che'l fa, e non altro. Per tanto, se mi sarà imputato a difetto, risponderò colla sentenza di colui il quale, di se parlando, diceva:

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Si maraviglieranno alcuni, e riprenderannomi, ch' io m'affatichi tanto a dimostrare le bellezze di questi autori, e non fo motto dei loro difetti, che pur dovrebbersi disvelare agli imparanti. A discarico di così fatto rimprovero, vediamo quello ch' è avvenuto a coloro, o savj o altro, i quali nelle divine scritture di Dante e del Petrarca han voluto dar di becco. Al Bembo, in quelle sue critichette a quel luogo del ventesimosettimo del Purgatorio, v. 74, e seg., dimostra l'inganno suo il grande Alfieri, notando quel luogo stesso per una delle bellezze più degne di riguardo in Dante. Il Casa, là dove, Parad. I, dice che nella spressione la lucerna del mondo, pargli sentire il dell' olio, mostra chiaro ch' egli ha quel senso mal condizionato ; perciocchè il divin Michelagnolo, che aveva quello tutti gli altri perfettissimi, adoperò la stessa voce nelle sue rime amorose, nelle quali, meno assai che nella Divina Commedia, se così fosse come apparve al Casa, poteva quella voce aver luogo; e inoltre, senza quel risalto che le aggiunse Dante, del mondo; dicendo pur di quella bellezza che di due arti m' è lucerna e specchio.

puzzo

Il nostro gran tragico, l' immortale Alfieri, ha notate quà e là nella Divina Commedia e nel Canzionere del Petrarca alcune cosette non degne di lode al parer suo; ma Iddio e la verità n' hanno porte le armi alla difesa, e si è veduto, o puossi vedere negli opportuni luoghi dei nostri comenti, che sempre sempre ha il torto l'Alfieri, quell' Alfieri il quale giura che più s'impara nei difetti di Dante, che nelle bellezze degli altri; onde vedi di che sorte hanno a essere quei difetti, se più giovano che le altre perfezioni. Se vuoi vedere che figura ci fa il Castelvetro, quando, nei primi canti del Pur gatorio di Dante, ponsi a disseccare, scorticare, anatomizzare quelle ombre, va, leggi quello che da noi ogni volta gli si risponde, e come si disinganna sì che priega Dio di starsi in pace, e si rincantuccia, e non appar più fuori. Chi non sa quello ch'è avvenuto al povero Bettinelli di quelle sue scipite e goffe cipollate? Avessi tanti baiocchi, quante coreggiate gli dà ora laggiù Barbariccia! Chi non vede or chiaro, che il

gran

Voltaire nelle sue troppo sconsiderate critiche a Dante, ha fatto ridere di se i folli e i savj? Chi-niega oramai che La Harpe, con fargli bordoue, s'è imposta una macchia sì fatta, che tutte le acque del Lete non la potranno in eterno tor via ? Il Tassoni, colle sue disoneste, é sozze, e sciocche critiche al Petrarca, s'è tirato addosso tanto sprezzo e disdegno, che non è italiano che, di lui pensando, non si senta rincirconire tutti i sangui; ed io son uno che vorrei piuttosto morir di

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