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VI.

IL SEPOLCRETO DI TIPO ATESTINO DI NESAZIO

NELL'ISTRIA.

Comunicazione del prof. A. PUSCHI.

L'illustre nostro maestro, il prof. Luigi Pigorini, sino dal 1883 giudicò essere l'Istria una vera miniera di tesori paletnologici italiani ('). Questo giudizio fu avvalorato dal dott. Paolo Orsi, quando, due anni dopo (2), riferiva delle raccolte che in breve tempo erano state formate e che continuavano ad arricchirsi mercè le solerti ed illuminate ricerche del direttore del Museo triestino di storia naturale, Carlo de Marchesetti, e quelle promosse dalla Società istriana di archeologia e storia patria e dirette con perizia ed intelligenza non comuni dal benemerito suo presidente, Andrea Amoroso.

Dei risultati conseguiti dopo di allora notevoli sono quelli dei primi tentativi di scavo praticati a Nesazio sotto gli auspicî della società istriana, a spese della provincia e coi contributi delle città di Pola e Trieste, per i quali ci pare d'intravvedere che il voto pronunciato dal Ghirardini, in chiusa al suo magistrale lavoro della situla italica, s'avvii ad una prossima soluzione.

Nesazio, citata da Plinio nella sua Storia naturale (1. III, 19, 129 e 21, 140) quale oppido posto in vicinanza del fiume Arsia, estremo confine dell'Italia Augustea, annoverata da Tolomeo (3, 1, 27) fra le città costiere dell' Istria, segnata, ma non nominata, dalla tavola Peutingeriana alla distanza di otto miglia da Pola verso la liburnica Albona, secondo già opinarono gli storiografi istriani Pietro Kandler, Tomaso Luciani e Carlo De Franceschi, prima che la recente scoperta di una pietra letterata ne recasse conferma, occupava un poggio, che circa a 12 chilometri a greco di Pola, presso l'odierna villa di Altura, s'erge sopra la valle di Badò, oggi secca, ma anticamente percorsa da un torrente, le cui acque, ora per meati sotterranei, vanno a

(1) Bull. di pal. it., a. IX, p. 204.

(2) Ivi, a. XI, p. 1 e seg.

finire nel canale di egual nome, che fra le rupi insinuandosi profondamente entro terra, offre eccellente ancoraggio alle navi che solcano il Quarnero, l'antico Sinus fanaticus.

Nesazio, ove se corrisponde al vero la lezione del relativo passo di Livio data dal Cluverio, il re degli Istri, Epulone, avrebbe opposta l'ultima resistenza alle armi romane e colla propria rovina affrettata la caduta del suo regno, era in origine un castelliere, a più ripiani che si distendono sul fianco della valle, munito di cinte murali, ancora riconoscibili. Al quale per lunga consuetudine ricorrevano i contadini a cavare pietra da fabbrica, asserendo che colà stesse sepolta una città, il cui sito sino da tempi immemorabili essi distinguono coll'appellativo di Isazze o Visazze, che troppo ricorda il nome primitivo.

Credevasi che l'oppido romano avesse cancellato ogni indizio del castelliere istriano, e veramente quant'era stato trovato prima del 1901 e che dall' ottimo collega, Piero Sticotti (1), fu diligentemente illustrato, non accennava ad un'età anteriore. Se non che in quell'anno, seguendosi una trincea combinata di varî pezzi architettonici, forse a riparo contro qualche assalto dei tempi delle invasioni barbariche, entro al recinto superiore del castelliere, nella parte di mezzogiorno, si ridonarono alla luce alcune tombe di tempi preromani, la cui esistenza noi non avremmo supposta, quantunque in uno dei castellieri vicini a Trieste ci fossimo già accorti che anche lo spazio racchiuso dalla cinta principale aveva potuto in parte essere adibito a cimitero.

Le ulteriori indagini ci confermarono l'esistenza d'una necropoli (2), che diremo di tipo atestino, perchè al pari di quelle di Vermo e dei Pizzughi, essa s'appoggia principalmente ad Este tanto per il rito funebre, quanto per la maniera delle tombe e la qualità della suppellettile. Tuttavia, come nelle altre, così anche in questa non difettano le attinenze con Villanova, Bologna, Gollasecca, Bismantova; nè vi si riscontra poca affinità con Santa Lucia di Tolmino ed i sepolcreti dei due versanti delle Alpi orientali; nè sono esclusi i raffronti nemmeno con Novilara da un lato, coi ripostigli della Bosnia e dell'Erzegovina dall'altro.

Il limite orientale della necropoli nesacense è segnato da un rozzo muro di breccia saldato con cemento di terra ocracea e calce, che in

(1) Atti e Memorie della Soc. istriana di arch. e storia patria, XVIII, p. 121 e seg.

(*) I risultamenti di questi assaggi furono sommariamente annunciati dallo Sticotti, loc. cit.

direzione da tramontana ad ostro scende il lieve pendio della sommità del colle e la divide dall'area che più tardi fu occupata dagli edifici romani.

Nel sito più elevato le tombe si presentarono distribuite in più ordini sovrapposti l'uno all'altro; ma sconvolte e distrutte ad eccezione di alcune poche, delle quali le superiori giacevano a poca profondità sopra un grosso strato di terra rossa bene battuta, che ad un metro sotto l'attuale livello le separava dalle inferiori. Sì queste come quelle appartengono ad un'età più remota, che ci riconduce al pieno terzo periodo di Este; laddove le tombe della parte opposta del declivio, che sono le meglio conservate, ci richiamano piuttosto alla fine del medesimo periodo o ci trasportano nel quarto.

A venticinque ascendono le tombe trovate ancora intatte o in condizione tale da poter essere facilmente riconosciute. Preponderanti quelle a cassetta, di forma rettangolare, e secondo le loro dimensioni costruite di quattro o più sfaldature calcari messe in taglio, spesso con rincalzi di muriccioli a secco, o di un recinto murale senza saldame. Hanno la platea consistente di un letto di ghiaia, ovvero rappresentata dalla nuda roccia, e per coperchio uno o due grandi lastroni grossi da m, 0.1 a 0.4, greggi o rozzamente riquadrati, la cui pagina interna è talvolta fornita tutto all' ingiro d'un solco, che combaciando coll' imboccatura ne agevolava la chiusura. Ma nella costruzione di questi sepolcri furono eziandio impiegati dei pezzi di pietra lavorata con modinature e fregi, che avevano servito prima ad altro ufficio e che mostrano di spettare ad una civiltà diversa e più antica dell'atestina. Più rade le tombe a pozzetto e quelle a semplice buca; ma la loro scarsità va riguardata come conseguenza dello spostamento naturale del terreno e dei lavori campestri; chè dai residui che si osservarono in copia dispersi, devesi arguire che ve ne erano in gran numero, e che per i Nesacensi non era estraneo nemmeno l'uso di deporre le ossa nella nuda terra e di coprirle con lastrelle (1).

Tutte le tombe sono di cremati, e per l'ustione pare che fosse assegnato un proprio luogo, sito nella parte più elevata della necropoli. Gli ossuarî fittili appartengono all'arte locale e sono di mediocre grandezza, generalmente coperti da una o due lastrelle di pietra, salvo alcuni pochi che in loro vece avevano una ciotola o il fondo capovolto di un'olla spezzata ed uno che era provvisto di un vero coperchio.

(1) Tale supposizione fu pienamente confermata dai risultati degli scav eseguiti nel giugno del 1903.

Sugli avanzi del rogo giacciono nelle olle oggetti d'ornamento e piccoli vasi, per lo più infranti, come calici del genere atestino, boccali ed altri importativi d'oltre mare.

Da ossuario fungevano pure vasi di bronzo, e come già ai Pizzughi ('), comparve anche un'urna di pietra calcare, di forma cilindrica, simile a quelle dell'epoca romana, ma di lavoro più grossolano, con coperchio di sopra convesso.

I vasi di fattura locale, con poco divario, per materia, tecnica e forma, s'accompagnano con quelli delle necropoli istriane di Vermo e dei Pizzughi, e come questi, presentano analogia coi fittili dei vari ritrovamenti del gruppo alpino orientale e s'accostano ai prodotti della ceramica atestina. I più sono di argilla nulla affatto o poco depurata, frammista a carbone o a granuli di calcite, plasmati a mano e cotti al fuoco libero. Mostrano alla superfice il loro impasto grossolano, spesso lo celano sotto un intonaco di argilla più fina. Sono lisciati colla stecca, e secondo il grado di maggiore o minore cottura, hanno una tinta che varia tra il rosso ed il nero. Gl' ingubbiati sono per lo più di color bruno, altri dipinti di rosso ocraceo o a grafite; nè difettano quelli di lavoro più finito, cosparsi di vernice metallica.

Spesse ricorrono le olle a ventre rigonfio e preponderanti sono i vasi in forma di situla, sia che riproducano solo ad un dipresso il tipo originale, sia che abbiano bene rilevato il tronco di cono rovescio piegando quasi ad angolo acuto per ricevere il collo, ovvero descrivendo una linea curva. Parecchi sono gli ossuarî a doppio tronco di cono; ma nella maggior parte il superiore è tozzo e quasi soppresso dalla convessità della spalla; ed il noto tipo di Villanova ci è rammentato dall'urnetta di una delle tombe più antiche. Ma il maggior numero di vasi è privo di manichi; alcuni hanno in luogo di essi una o più protuberanze semiovali o rilievi d'altra foggia che si direbbero piuttosto sigle.

Pochi all'incontro sono i vasi decorati, ed il loro numero è assai

(1) Secondo ci comunica il dott. Andrea Amoroso, ai Pizzughi, nell'insenatura fra i castellieri fu trovata una tomba coperta da grande sfaldatura e con rincalzo di muriccioli ai lati, nel mezzo della quale stavano allineate un'urna cilindrica e due coniche di pietra, fiancheggiate da vasi di argilla, fra cui alcuni di tipo atestino. Sopra una delle urne coniche giacevano due spade di ferro. Un'urna cilindrica di pietra, alquanto più grande della nesacense, si rinvenne a Jezerine della Bosnia, non come ossuario, sì bene quale vaso-tomba, in cui gli avanzi della combustione giacevano raccolti entro un'olla fittile. Cfr. Wissensch. Mittheilungen aus Bosnien und der Hercegovina, a. III, p. 117, fig. 281.

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