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Ci assiet Er. Gironde de rechief (t. 29 c).

Ci enterrerent il Ancelme le guerrier et Garnier de Valence ausi (f. 30 d).

Ci est bataile de Beraut et de Malvoisin (f. 36 d).

Ci se combat Fouquerés a Gerin (f. 37 b).

Ici asaut Er. Ludie. Ele et sa gent se defendent (f. 38 b).

Ci sont la gent Ludie qui depiecent les nés et sont issus du chastel (f. 45 d). Si comme Tulles done a Costant les poisons a boire en une coupe (f. 47 c). Ici art Gironville et le chastel ou Ludie est vagarde (sic) (f. so a).

Ci est l'ost Gerin et l'ost Ernaut et l'ost Ludie et Bauce le cort qui s'entrasallent (f. $7.6).

Ci est l'ost Gr. qui est de la partie H. et l'ost Bauce le cort qui est de la partie Ludie et l'arcevesque de Lions (f. 19 c).

Ici ocist Beraut le conte Elye, c'est le premier cop de la bataille (f. 60 b). Ici ocit Asselin le Mormant (sic) Guion (f. 61 b).

Ci ocit Hernaïs Sardoine de Danemarche (f. 61 d).

Ci ocit Garnier Savari (f. 62 a).

Ci ocit Foquier li petit Milon d'Amiens (f. 63 b).

Ici ocit Bereng. le gris Girart de Berri (f. 63 b).

Ci est le roy Pepin et Bauce le cort qui s'entredesfient (f. 68 c).

Ci se marie Bauce le cort et Bereng. le gris as .ij. filles Servains le conte,

dont l'une a non Usile et l'autre Oedin (f. 74 a).

Ici est Ludie et son ost de fames (f. 75 a).

Ici ordene Bauces li cors son cst (f. 79 d).

Ci s'entre encontrent l'ost au roi Pepin et l'ost Bauces (f. 80 c).

Ci ocit Ger. Foqueré (f. 80 d).

Ci ocit Bereng. le gris le conte Mauvoisins (f. 83 a).

Ci ocit Beraut Miles le conte d'Avalon (f. 83 c).

Cil ocit Bauce le conte Felis (f. 86 b).

Ici ocit quens Gui de Lesignon li quens Hernaïs (f. 86 d).

Ici ocit Gautier d'Artois Prieus le roi d'Espaigne (f. 88 b).

Ci ocit le conte H. dame Ludie sa fame (f. 91 a).

Ci sont les fames et les amies ad chevalier qui ont esté ocis en la batalle (f. 91 d).

Ici est la pais fete entre le roys Pepin et Bauce et Bereng. le gris dont l'une partie estoit devers Er. et l'autre devers Ludie (f. 92 d).

Ici ocit Aloris B. por l'amor d'Anseïs (f. 94 d).

Ci loge l'ost Baudoin le conte de Flandres (f. 103 d).

Ci asiet Bereng. le gris le chastel de Biaufort (f. 104 c).

Ci ocit le conte Beraut le conte Giraut et li a mis l'espée jusque es dens en

la teste (f. 107 a).

Ci asaut Bereng. le gris Arsone (f. 108 c).

Ci ocit Anseis Richier le filz Hernaut (f. 116 c).

Ci se loge Bereng. le gris devant une ville (f. 117 a).

Ernest LANGLOIS.

LA FONTE CLASSICA

DI UN

EPISODIO DEL FILOCOLO

Nella quarta Questione d'Amore del Filocolo il Boccaccio racconta che una giovine donna, per liberarsi da un amante troppo insistente, gli mandò a dire che sarebbe condiscesa a far le sue voglie, se egli in pieno Gennajo avesse saputo donarle un bellissimo e fiorente giardino, come fosse di Maggio. La cosa sulle prime spaventò non poco Tarolfo, l'amante sfortunato, che pure le avea fatti tanti doni ricchissimi! Pure non disperò, e come egli non credeva possibile una tal cosa se non ad arti di magia, si pose in viaggio in cerca di maghi. Pervenne nelle solitarie pianure di Tessaglia, e quivi s'imbattè in un uomo che gli promise mandare ad effetto il suo desiderio. Tarolfo menò seco in patria il mago, un vecchietto dalle meschine apparenze, e questi puntualmente fè sorgere nottetempo in luogo designato il giardino. Il racconto va oltre, ma noi ci arrestiamo alla descrizione dei procedimenti magici di Tebano, i quali sono descritti per filo e per segno, e si rivelano a prima giunta derivati da qualche fonte classica.

A qualcuno è parso di scorgere delle relazioni tra questa descrizione e quella contenuta nell' idillio II delle edizioni comuni di Teocrito, intitolato Papuaxsúтpix (Le Maliarde; o nella imitazione che ne fè Virgilio, Egloga VIII, Pharmaceutriae; e anche per avventura in qualche epodo oraziano a questa credenza darebbe valore il fatto che, come in questi componimenti si tratta di magia amorosa, così nella descrizione del Filocolo anche a scopo d'amori vien fatto sorgere il giardino. Ma nelle poesie classiche testè citate poichè non si tratta che di riconquistare il cuore di un amante infedele, i filtri sono immediatamente diretti a questo Romania, XIV.

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I

scopo (benchè in Orazio non nella misura che in Teocrito e in Virgilio); invece nel racconto del Filocolo l'effetto ultimo non ha che fare col rito magico del far sorgere il giardino. Altra fonte potrebbe pensarsi la Farsalia di Lucano, nella quale al 1. VI è presentata la maga Erittone che fa ritornare dall' Averno al proprio corpo l'anima di un soldato, perchè predica l'esito finale della guerra.

Se noi non avessimo la fonte vera, sicurissima, dell' episodio boccaccesco, potremmo contentarci di ritrovarla accozzando insieme i componimenti di cui si è tenuto parola, a' quali altri si possono aggiungere ; ma qui il Boccaccio più che giovarsi di una o più descrizioni classiche, ne ha copiata una ad litteram, ed il suo originale è stato l'episodio del libro VII delle Metamorfosi, nel quale è presentata Medea che fa con incantesimi ringiovanire il vecchio padre di Giasone. Nei punti in cui l'identità della traduzione col testo è interrotta, e in certe altre particolarità del racconto boccaccesco, vi sono forse delle reminiscenze di altri poeti antichi. Altrove, e questi luoghi abbiamo chiusi tra parentesi quadre nel testo di Ovidio, il Boccaccio ha sostituito all' originale dei pensieri suoi però ricalcati su di esso.

Metamorph. VII, 179-289 2.

(179) Tres aberant noctes, ut cornua tota coirent Efficerentque orbem, postquam plenissima fulsit | Ac solida terras spectavit imagine luna,

Egrediturtectis vestes induta recinctas, | Nuda pedem, nudis umeros infusa capillis, Fertque vagos mediae per muta silentia noctis | Incomitata gradus; homines volucresque ferasque | Solverat alta quies: nullo cum murmure saepes, | Immotaeque silent frondes;

Filocolo, Questione d'Amore IV.

Come Tebano ebbe il comandamento egli aspettò la notte, e venuti vide i corni della luna tornati in compiuta ritondità, e videla sopra le usate terre tutta risplendere.

Allora egli uscì dalla città lasciati i vestimenti, scalzo, e co' capelli sparti sopra li nudi omeri tutto solo. I vaghi gradi della notte passavano, gli uccelli e le fiere e gli uomini riposavano senza alcun mormorio, e sopra i monti le non cadute fronde stavano senza alcun movimento, e l' umido aere

1. Chi si sia occupato un pò di queste stregonerie che ci han descritte a dovizia gli antichi da Sofocle ad Apulejo, ha visto appunto questa intima_relazione tra gli scongiuri, le operazioni magiche e lo scopo pel quale son fatte. E potremmo anche citare una poesia del Rigveda (lo scongiuro contro la rivale), dove è appunto osservabile questo ch' io dico. E ciò notiamo perchè codesti riti così come son rimasti ne' volghi neolatini sono oscurati, intralciati e molte volte non mostrano più chiaramente il concetto primitivo.

2. Citiamo i versi di Ovidio secondo l'ediz. del Merkel; la prosa del Boccaccio secondo l'ediz. del Moutier, che abbiamo però in questo punto riveduta sui codici laurenziani del Filocolo.

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in pace si riposava, solamente le stelle luceano, quando egli più volte circuita la terra venne al luogo, il quale piacque d'eleggere per lo giardino, allato ad un fiume. Quivi stese verso le stelle tre volte le braccia rivoltandosi ad esse, e tante i bianchi capelli nella corrente acqua bagnò, domandando altrettante volte con altissima voce i loro ajuto poi poste le ginocchia sopra la dura terra cominciò cosi a dire: O notte, fidissima segreta del l'alte cose, e voi o stelle, le quali al risplendente giorno con la luna succedete; e tu o somma Ecate, la quale ajutatrice vieni alle cose incominciate da noi; e tu, o santa Cerere rinnovatrice dell' ampia faccia della terra; e voi qualunque versi o arte o erbe; e tu qualunque terra producente virtuose. piante; e voi aure, e venti, e monti, e fiumi, e laghi, e ciascuno iddio dei boschi e della segreta notte, per li cui aiuti io già rivolsi li correnti fiumi facendogli ritornare nelle loro fonti, e già feci le correnti cose star ferme, e le ferme divenir correnti,

e che già desti ai miei versi potenza di asciugare i mari, e di cercare senza dubbio i loro fondi, e di rischiarare il nuvoloso tempo, e il chiaro tempo riempire a mia possa di oscuri nuvoli, facendo i venti cessare e venire come mi parea;

e con quelli rompendo le dure mascelle degli spaventevoli dragoni, facendo ancora muovere le stanti selve, e tremare gli eccelsi monti, e nei corpi morti tornare dalle paludi stigie le loro ombre, e vivi uscire dai sepolcri;

e talvolta tirar te, o luna, alla tua ritondità, alla quale per addietro i sonanti bacini ti soleano aiutar venire, facendo ancora talvolta la chiara faccia del sole impallidire, siate presenti e il vostro ajuto mi porgete.

(215) Nunc opus est sucis, per quos renovata senectus | In florem redeat, primosque recolligat annos.

Et dabitis, neque enim micuerunt sidera frustra, | Nec frustra volucrum tractus cervice draconum | Currus adest ». Aderat demissus ab aethere currus. | (220) Quo simul ascendit, frenataque colla draconum | Permulsit, manibusque leves agitavit habenas, | Sublimis rapitur,

subiectaque Tessala Tempe | Despicit, et Tricces regionibus applicat angues: | Et quas Ossa tulit, quas altum Pelion herbas, | (225) Othrys quas Pindusque et Pindo maior Olympus, | Perspicit, et placitas partim radice revellit, Partim succidit curvamine falcis aënae. | [Multa quoque Apidani placuerunt gramina ripis, | Multa quoque Amphrysi, neque eras immunis, Enipeu, | (230) Nec non Penëus, nec non Spercheïdes undae | Contribuere aliquid, incusaque litora Boebes.

| Carpsit et Euboica vivax Anthedone gramen, Nondum mutata vulgatum corpore Glauci.]

Et iam nona dies curru pennisque draconum (235) Nonaque rox omnes lustrantem viderat agros, | Cum rediit, neque erant tacti, nisi odore, dracones, | Et tamen annosae pellem posuere senectae.

(238) Constitit adveniens.

Io ho al presente mestieri di sughi e d'erbe, per le quali l'arida terra in prima d'autunno, ora dal freddissimo verno de' tuoi fiori frutti ed erbe spogliata, faccia in parte ritornare fiorita, mostrando avanti il dovuto termine primavera. »

Poi tacendo, le stelle non diedero luce invano, ma più veloce che volo d'alcuno uccello un carro da due dragoni tirato gli venne avanti, sopra il quale egli montò e recatesi le redini dei posti freni a' due dragoni in mano, suso in aria si tirò: e poi pigliando per l'alta regione il cammino,

lasciò Spagna e l'isola di Creti: di quindi Pellio Otris ed Ossa il monte Pachinno Peloro e Appennino in breve corso cercò tutti da tutti svellendo e segando con acuta talce quelle radici e erbe che a lui piaceano: nè dimenticò quelle che divelte avea quando da Tarolfo fu trovato in Tessaglia. Egli prese pietre d'oro sul monte Caucaso, e nell' arena di Gange; e di Libia recò lingue di velenosi serpenti. Egli vide le bagnate rive del Rodano, e di Senna di Parigi, e del gran Po, e dell' Arno, e dello imperial Tevere, e di Nifeo, e di Tanoi, e del Danubio, di sopra quelle ancora prendendo quell' erbe che a lui pareano neces-. sarie, e queste aggiunse all' altre colte nella sommità de' salvatichi monti. Egli cercò l'isola di Lesbo, e quella di Coleo, e Patmos, e qualunque altra nella quale sentito avesse cosa utile al suo intendimento.

Per le quali cose non essendo ancora passato il terzo giorno venne in quel luogo donde partito s'era e i dragoni che solamente l'odore delle prese erbe aveano sentito, gittando lo scoglio vecchio per molti anni erano rinnovellati, e giovani ritornati. Quivi smontato,

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