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ORPHEI

TRAGEDIA.

Silenzio. Udite. E' fu già un pastore
Figliuol d'Apollo, nomato Aristeo.
Costui amò con sì sfrenato ardore
Euridice che fu moglie d'Orfeo,
Che seguendola un giorno per amore
Fu cagion del suo fato acerbo e reo;
Perchè, fuggendo lei vicino all' acque,
Una serpe la morse, e morta giacque.

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1

c. XIX: « Onde lei per dispetto e
per disdegno Gli corse addosso....
Ai quali aggiungo un altro del no-
stro maggior poeta:
....lei che di
e notte fila Non gli avea tratta an-
cora la conocchia Purg. XXI. Lei
per ella dissero i nostri egualmente
che i Provenzali, che scriveano nel
primo caso ela, elha, ella, lei, leys,
lieys. Rambaldo da Vachera: Car
so m veda, don mi det aondansa,
Leys qu'es gaya cortes' e gen par-
lans.» (Perchè ciò mi vieta, donde
mi dette abbondanza, lei ch'è gaia
cortese e gente parlante.) Cosi pres-
so a poco il Nannucci nelle Osservaz.
intorno al pron. Lei, Corfù, 1841.
Anche un poeta del sec. XVII, rego-
larissimo se altri mai, il Chiabr.,
non schifò lei in caso retto: «...
"... fio-
risce ad ogni or pompa amorosa,
Ove lei posa. »

Orfeo cantando allo inferno la tolse;
Ma non potè servar la legge data:

E chi la diede ancor se la ritolse.
Ond'esso in vita acerba e disperata
Per sdegno amar più mai donna non volse,
E dalle donne morte gli fu data.

Or stia ciascuno a tutti gli atti intento,

Che cinque sono: e questo è l'argomento.

V. 10. Servar la legge: osservare, mantenere. Dante, Purg., XXVI: non servammo umana legge. Ariosto, XXI: « per servar sua fede a pieno. v. 11. I due Codici,

"...

de' quali servito mi sono, leggono ambidue: E chi la diede, ancora se la tolse. Per ischivare la replica viziosa ed inusitata della stessa parola in rima, mi è piaciuto correggere in questa forma (A). - v. 13. Volse per volle è stato usato da parecchi buoni autori toscani (N). * Dante, Inf., II: venni a te così com' ella volse. Ed è vivo in bocca del popolo toscano. v. 15. Or stia ciascuno, ec. Dato ancora che il Poliziano avesse fatte dir questo prologo a Mercurio, a che far vi avea poi quel Pastore, anzi Pastore schiavone giusta il Ms. Chisiano, che interrompendo il prologizzante esce a dire:

"....

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State attenti, brigata; buono augurio; Perchè di ciel in terra vien Mercurio ? Mercurio sarebbe stato benissimo ai manifesti segni dall'udienza conosciuto, senza che que sto pastore, il quale ingombra per sì poco la scena, lo ci venisse a dire ch' egli era desso. E poi, come può stare che la venuta di Mercurio a buono augurio si ascriva, quando egli si suppone aver annunziato un funesto avvenimento? Eh via, che simili inconvenienze non s' accordano col nobilissimo ingegno del Poliziano. Egli dunque non potè scrivere come si è letto finora; ma bensì dir conviene che l'argomento o sia prologo dell' Orfen fosse da lui composto come si legge nel Ms. reggiano, che va scevro da tanti difetti che hanno finora deturpato questo pezzo d'antica poesia (A).

ACTVS PRIMVS

PASTORICVS.

Interloqvvntur

MOPSVS, ARISTAEVS et THYRSIS.

MOPSO.

Avresti visto un mio vitellin bianco,

C' ha una macchia di negro in su la fronte
E un pezzo rosso dal ginocchio al fianco?

ARISTEO.

135

17

Caro mio Mopso, appresso a questa fonte
Non son venuti in questa mane armenti;
Ma ben sentii mugghiar là dietro al monte.

20

Va', Tirsi, e guarda un poco se tu 'l senti:
Intanto, Mopso, ti starai qua meco;

25

Ch'io vuo' che ascolti alquanto i miei lamenti.

Her vidi sotto a quello ombroso speco
Una ninfa più bella che Dïana,

Che un giovane amator avea con seco.
Come vidi sua vista più che umana,
Subito mi scossò sì 'l core in petto,
Che mia mente d'amor divenne insana :

V. 17-19. Il Meli, poeta siciliano, nell' ecl. I della primavera:

Forse vidisti na vitedda bianca Cu na macchia rossigna 'ntra lu schinu Un' a la frunti? » (N). v. 22. Var. là dreto: Ms. Vitali (A).

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v. 30. Var. mi scossò si 'l cor e'l petto: Ms. Vitali (A). * Gli editori milanesi del 1825, pure adottando il testo dell' Affò, rimisero in questo luogo l'antica lez. mi si

scosse.

Tal ch'io non sento, Mopso, più diletto;
Ma sempre piango, e cibo non mi piace,
E senza mai dormir giaccio nel letto.

MOPSO.

Aristeo mio, quest' amorosa face

Se d'estinguerla presto non fai prova,
Presto vedrai turbata ogni tua pace.
Sappi che amor non m' è già cosa nova;
So come mal, quand'è vecchio, si regge:
Rimedia presto or che'l rimedio giova.
Chè se pigli, Aristeo, sue dure legge,

Del capo t'usciranno e l'api e gli orti
E viti e biade e paschi e mandre e gregge.

ARISTEO.

Mopso, tu parli queste cose a' morti;
Sicchè non spander meco tue parole,
Acciò che 'l vento via non se le porti.
Aristeo ama, e disamar non vuole,

Ne guarir cerca di si dolci noglie:

V. 33. Il Petr. « Tutto il di piango; e poi la notte, quando Prendou riposo i miseri mortali, Trovomi in pianto, e raddoppiarsi i mali. » Del non mangiare parla anche, e piacevolmente, la Cosa innamorata, nella Tancia, III, 2: « Amor m' ha messo in un gran pensatoio, Tal ch' io n'ho perso gusto e'l lagorare: Condotta son che gnun boccone ingoio, Se non quando io ho voglia di mangiare. v. 35. * face, qui incendio, ardore, Petr., del parlare di Laura, « pien di dolci faci. " -v. 38. Var. non è già : Ms. Vitali (A). - v. 41. Tutti tre i codici leggono sue dure (A). - 44. * parli queste cose a' morti: come a dire, tu parli a' sordi, parli al vento, parli al deserto. Non me ne

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- v.

sovviene altri esempi.

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32

55

41

44

47

v. 46. Petr. Ma il vento ne portava le parole (N). Stazio: « Irrita ventosæ rapiebant verba procellæ. v. 48. noglie. Parrà ad altri che io dovessi qui abbracciare piuttosto la lezione cominiana che ha doglic in vece di noglie, voce veramente barbara ed impura. Ma poichè improbabil cosa non sembrami che il N. A. possa avere scritto noglic, così non ho voluto recedere dalla lezione de' codici. Lodovico Dolce ardi cangiar molte voci nelle Stanze del Poliziano; del che viene ripreso dal Menckenio e dallo Zeno. Io non voglio far come lui. Trovo esempi antichi della voce zoglia in vece di gioia e di noglia in iscambio di noia. Si veggano le Lettere di fra Guittone

Quel loda amor, che più di lui si dole. Ma, se punto ti cal delle mie voglie,

Fammi tenor con tua fistola alquanto; E canterem ́sotto all'ombrose foglie; Ch'io so che alla mia ninfa piace il canto. CANTO DI ARISTEO.

Udite, selve, mie dolci parole,

Poichè la bella ninfa udir non vuole.

d'Arezzo, raccolte dall'infaticabile monsig. Bottari e stampate in Roma dal Rossi nel 1745; ove tali voci s' incontrano. Guido Cavalcanti ha una canzone entro la Raccolta dell'Allacci, nella quale son questi versi:

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D

E va nel ciel dov'è compíta zolia Zolioso 'cor fuor di corrotto e d'ira. E nella Racc. de' poeti ferraresi ordinata dal Baruffaldi v'è un sonetto d' un frate Anselmo da Ferrara con quest'altro: Di chi più v'ama che la vostra zoglia. Nel Ms. regg. che ci ha somministrato l'Orfeo avvi un capit. del Tebaldeo con un verso che dice: «E la vecchiezza senza noglia alcuna. » Cosi parimente lessi io una ballata in un antico codice della libreria della Nunziata in Bologna, ove s'incontra : E non li pare faticare; Pena non sente e non noglia. Quindi ho voluto lasciare questa voce come trovasi ne' Mss. indicati e se ferisse mai l'orecchio delicato d'alcun moderno, farà la scusa al N. A. il discreto Menckenio:

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Nec quod usus sit passim in carminibus vernaculis, in primis quæ » genere carminis heroico scripsit, vocibus barbaris et quodammodo peregrinis, quales nonnullas collegit larvatus ille Udienus Nisielius in Proginn. poet. vol. IV, prog. 77, pag. 238; Politiani ma.

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13

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gis quam ætatis factum culpa putabimus. Si quid vero in eo peccavit noster, id ferat solatii, quod commune et hoc peccatum cum ætatis suæ poetis nescio au omnibus fuerit. (Sect. I, S 13, no»ta (a), pag. 256 et seq.) » Non è improbabile però che anche a bello studio adoperasse in questo primo atto modi non del tutto propri siccome par quello: Va' Tirsi, e guarda un poco se tu 'l senti; » perchè, inducendo a parlare pastori, volle forse imitare Teocrito; il quale, per testimonio del Rapino, de industria tribuit suis pastoribus et sermonis rusticitatem in dorica dialecto et interdum vitiositatem orationis. (Dissert. de carm. past. pag. 117.) (A). *Gli Editori milanesi del 1825 rimisero nel testo la lezione comi

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niana doglie.. v. 50. Var. Ma se purc ti cal: Ms. Vitali (A). · v. 51. Questo verso e l'altro che rima seco fanno assai più onore al Poliziano di quello che gli altri della ediz. cominiana. Quel far tenore è detto assai bene; ed usollo il Petrarca riguardo all' accordare il canto al mormorio d' una fontana là ove disse: Ma ninfe e muse a quel tenor cantando

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(A).

V. 54. Giusto de' Conti: « Udite, monti alpestri, gli miei versi.... O boschi ombrosi.... Udite. » — v. 55. Var. la ninfa mia: Ms. Vitali. (A.)

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