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ACTVS QVARTVS

NECROMANTICVS.

Verbis flebilibvs modvlatvr ORPHEVS, interloqvvntur PLUTO et PROSERPINA, EVRYDICE item et THESIPHO, etenim dvplici actv hæc scena vtitvr.

ORFEO.

Pietà pietà del misero amatore,
Pietà vi prenda, o spiriti infernali:
Qua giù m'ha scorto solamente Amore,
Volato son qua giù con le sue ali.
Deh posa, Cerber, posa il tuo furore;
Chè, quando intenderai tutti i miei mali,
Non solamente tu piangerai meco

Ma qualunque altro è qua nel mondo cieco.
Non bisogna per me, Furie, mugghiare;
Non bisogna arricciar tanti serpenti;
Chè, se sapeste le mie pene amare,
Compagne mi sareste a' miei lamenti: ·
Lasciate questo misero passare,

Che ha il ciel nemico e tutti gli elementi,
E vien per impetrar mercede o morte.
Dunque mi aprite le ferrate porte.

PLUTONE.

Chi è costui che con l'aurata cetra

Mossa ha l'immobil porta

V. 247. Var. Non solamente piangerai con meco: Ms. Vit. (A). – -v. 257268. Sempre più si scorge aver l'A. avuto presente il IV libro delle Georg., allora quando scrisse l' Orfeo. Ecco il

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confr. di questo passo: « Ast cantu commotæ Ercbi de sedibus imis Umbræ ibant tenues simulacraque luce carentum. Quin ipsæ stupuere domus atque intima Lethi Tartara

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Nè mi par ch'altra cosa

Mi porgesse mai più tanto diletto. Dunque alquanto ti posa.

Se da te debbo aver grazia una volta, Pósati alquanto, e il dolce canto ascolta.

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rarescere noctem; Urna nec incertas versat minoia sortes: Verbera nulla sonant, nulloque frementia luctu Impia delatis respirant Tartara pœnis: Non rota suspensum præceps Ixiona torquet; Non aqua Tantaliis subducitur invida labris: Solvitur Ixion, invenit Tantalus undam, Et Tytius tandem spatiosos erigit artus » (N). v. 259. Var. Ecco che pianger fa la gente morta: Ms. Vit. (A). - v. 269-280. Abbiamo veduto Plutone mezzo sconvolto e quasi adirato della novità non più veduta. Se Minos coll' ottava che

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ORFEO.

O regnatori a tutte quelle genti
C'hanno perduto la superna luce,
Ai qual discende ciò che gli elementi
Ciò che natura sotto'l ciel produce;
Udite la cagion de' miei lamenti.
Crudele Amor dei nostri passi è ducc:
Non per Cerber legar fo questa via,
Ma solamente per la donna mia.
Una serpe tra fior nascosa ed erba

Mi tolse la mia donna anzi 'l mio core:
Ond'io meno la vita in pena acerba,
Nè posso più resistere al dolore.
Ma, se memoria alcuna in voi si serba
Del vostro antico e celebrato amore,
Se la vecchia rapina in mente avete,
Euridice mia cara a me rendete.
Ogni cosa nel fine a voi ritorna;

Ogni vita mortal qua giù ricade:

si legge nelle st. fosse venuto ad empirlo di sospetti e a ricordargli i passati danni sofferti da coloro che vivi erano altre volte calati laggiù; è verisimile che non sarebbe stato cheto e che anzi avrebbe richiamate tutte le forze sue onde porsi in difesa. Nulla però leggendosi di questo, ben possiamo asserire che quell' ottava di Minos non fu qui inserita dal Poliziano. Di più è affatto inverisimile che Minos potesse parlare così: poichè, se il dolce suono della cetra d'Orfeo aveva commossi tutti gli spiriti infernali, non vi è ragione per cui dovesse Minos essere da tal commozione escluso, onde poter suggerire al re d' Averno pensieri di gelosia e di sospetto. La parlata di Proserpina qui in vece di quella di Minos è collocata assai bene; e non togliendo

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il verisimile mostra di essere assai più che l'altra degna del Poliz. (A).

v. 281. Var. O regnaturi a tutte : Ms. Vit. (A). v. 289. La voce nascosa è tolta dall' edizione cominiana mancando nei Mss. v. 281-296. *Ovid. Met. X. « o positi sub terra numina mundi In quem decidimus quidquid mortale creamur.... non huc ut opaca viderem Tartara descendi, nec uti villosa colubris Terna Medusæi vincirem guttura monstri. Causa viæ est coniux, in quam calcata venenum Vipera diffudit crescentesque abstulit annos.... Vicit Amor. Supera deus hic bene notus in ora est: An sit et hic, dubito; sed et hic tamen auguror esse; Famaque si veteris non est mentita rapina, Vos quoque iunxit Amor. >>

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Quanto cerchia la luna con sue corna
Convien che arrivi alle vostre contrade:
Chi più chi men fra' superi soggiorna;
Ognun convien che facci queste strade:
Questo è dei nostri passi estremo segno:
Poi tenete di noi più lungo regno.
Così la ninfa mia per voi si serba,
Quando sua morte gli darà natura.
Or la tenera vite e l'uva acerba
Tagliate avete con la falce dura.
Qual è chi miete la sua mèsse in erba
E non aspetti ch'ella sia matura?

Dunque rendete a me la mia speranza;

Non ve 'l dimando in don; questa è prestanza.
Io ve ne prego per le torbid'acque

Della palude Stige e d'Acheronte,

E pel Caos ove tutto il mondo nacque,
E pel sonante ardor di Flegetonte;
Pel pome che a te già, regina, piacque,

V. 299. * Cioè ogni cosa terrena, tutto ciò che è su la terra. Dante : ".... ogni contento Da quel ciel c' ha minor gli cerchi sui »e« tutto l'oro ch'è sotto la luna. » -v. 301. SuPERI detto alla latina delle cose che sono su la terra o degli uomini viventi, quando si parla dell' inferno o nell' inferno. Seneca, di Ercole, opima victi regis ad superos refert Herc. fur. 48: e Val. Flacc., I, 792: « Tune excite, parens, umbris, ut nostra videres Funera et oblitos superum paterere dolores? » v. 297-304. Ovid. Met. X: « Omnia debentur vobis: paulumque morati Serius aut citius sedem properamus ad unam. Tendimus huc omnes: hæc est domus ultima: vosque Humani generis longissima regna tenetis. » v. 305 306. Metam.

"

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1. c.: « Hæc quoque cum iustos natura
peregerit annos Iuris erit vestri
(N).
v. 307-310. Vedi a questo pro-
posito quel bellissimo epigr. gr.
tradotto da Metastasio (N). * Finisce:

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(N).

......

pro

per

Ah, se di ciò che nasce La matura vendemmia a te si serba, Pluto crudel, perchè la cogli acerba ? » . 312. Metamorph. J. c. munere poscimus usum v. 313-315. Metam. 1. c. « ego hæc loca plena timoris, Per chaos hoc ingens vastique silentia regni, Euridices oro properata retexite fata (N). v. 315. Var. Per Caos ove tutto: Ms. Vit. (A). 1. 317. Var. che già a te, regina: Ms. regg. (A). * Proserpina poteva ritornare al mondo di sopra e alla madre sua, purchè non avesse tocco cibo in inferno: ma ieiunia

Quando lasciasti su nostro orizonte.
Se pur tu me la nieghi, iniqua sorte,

lo non vuo'su tornar; ma chieggio morte.

PROSERPINA.

Non credev' io, consorte,

Che nella nostra corte

Pietà si ritrovasse al nostro regno.

Vedo l'inferno di mercede or pregno;
Pianger vedo la Morte,

Parendo a lei costui di pianto indegno.
Dunque tua dura legge a lui si pieghi
Pel canto per lo amor pe' giusti prieghi.

PLUTONE.

Resa sia, con tal legge

Che mai tu non la vegge

Fin che tra' vivi pervenuta sia.

Non ti volgere a lei per questa via,
E te stesso corregge:

Se non, che tolta subito ti fia.

Io son contento che a sì raro impetro
S'inclini la potenzia del mio scetro.

virgo Solucrat; et cultis dum simplex errat in hortis, Puniceum curva decerpserat arbore pomum, Sumptaque pallenti septem de cortice grana Presserat ore suo »> Ovid. Met. V. -v 318. Var. lasciasti su 'l nostro : Ms. regg. (A). - v. 319-320. Ovid. Met. X: « Quod si fata negant veniam pro coniuge, certum est Nolle redire mihi: letho gaudete duorum » (N). v. 320. Questo è l'unico verso che manchi nel Ms. regg. (A). v. 323. Var pietà si trovasse: Ms. Regg. (A). v. 324. Mercede per pietà è comune negli antichi in queste dizioni, Mercè per Dio, chiedere o domandare mercede. Esempi in cui sia

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usato così assolutamente non ne porta il dizionario se non un di Guittone, nè così spiccato come questo del N. R. Pregno di mercede ci suona male e ci par frase veramente pregna: ma Dante, di sè, Purg., XVIII,

m'ha fatto di dubbiar più pregno. »

v. 335. * IMPETRO: per impetrazione, preghiera. I Vocabolari non ne portano altri esempi che questo del Poliziano è come domando, per domanda, di Dante. Nel saggio d'un poemetto del secolo XV, pubblicato ultimamente dal dottor C. Gargiolli (Veglie Letterarie, num. 2), leggesi molesto por molestia : « Perchè non gli donasse più molesto. »>

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