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Per tutto il bosco l'abbiamo stracciato,
Tal che ogni sterpo del suo sangue è sazio:
Abbiamlo a membro a membro lacerato
Per la foresta con crudele strazio,

Si che 'l terren del suo sangue è bagnato.
Or vada, e biasmi la teda legitima.
Evoè, Bacco! accetta questa vitima.

CHORVS MAENADVM.1

Ciascun segua, o Bacco, te:
Bacco, Bacco, oè, oè!

d'Euripide, ove mirasi Agave uscir dalla scena colla testa di Penteo lacerato e da lei creduta la testa di un lione. Ma quantunque potesse anzi dovesse Euripide così fare in quel luogo, onde introdursi all' agnizione, che secondo Aristotile è una delle parti quasi essenziali alla tragedia; non dovette però essere qui imitato dal Poliziano, poichè non v' era necessità alcuna che la Menade si tornasse col teschio d'Orfeo tra le mani; tanto più che, seguendo egli Virgilio per suo originale, creder dovette che, mentre Orfeo fu lacerato, la testa sua fosse lanciata nel fiume Ebro, su le cui onde ancor semiviva andò ripetendo il nome della cara Euridice: Tum quoque marmorea caput e cervice revulsum Gurgite cum medio portans æagrius Hebrus Volveret, Eurydicen vox ipsa et frigida lingua, Ah miseram Eurydicen, anima fugiente, vocabut. Ora, se va così la bisogna, non potè ritornar la Menade col sanguinoso teschio nelle mani, - v. 397-398. Virgilio, En. VIII:

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Raptabatque viri mendaçis viscera Tullus Per sylvam; et sparsi rorabant sanguine vepres » (N).

. 399-400. Virg. « Discerptum latos

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iuvenem sparsere per agros» (N).

1 Così va bene; e così è intitolato questo pezzo ne' nostri codici. Ma il chiamarsi esso nelle stampe Sacrificio delle Baccanti comprova sempre più aver avuto mano a guastar l'Orfeo qualche sciocco o qualche malevolo. Qual ombra di sacrifizio può scorgersi qui, dove non altro che ballo e canto si rappresenta, e dove non si discorre che d'ubbriachezza e di vino? (A). v. 404. Var. Ciascun segue: Ms. Regg.: e così in tutti gli altri luoghi ove si fa ritornello o intercalare (A). v. 405. Dovendo questo verso essere un ottonario tronco, non se ne ode il suono nella lezione cominiana, quando non si voglia pronunziar evoè di quattro sillabe. Ritengo la lezione de' nostri codici i quali hanno costantemente oè oè, perchè pretese forse il Poliziano di ritenere l' interiezione ohe de' Latini adoperata da Marziale in quel verso dell' epigramma 91 del IV libro : « Ohe, iam satis est, ohe libelle.» Pure sta assai bene ancora l'evoè, purchè si voglia acconciar il verso, replicandolo due volte, cou dire Bacco, Bacco, evoè, evo. Questa voce era

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Di corimbi e di verd' edere

Cinto il capo abbiam cosi Per servirti a tuo richiederc Festeggiando notte e dì. Ognun beva: Bacco è qui: E lasciate bere a me. Ciascun segua, o Bacco, tc. Io ho vôto già il mio corno:

come un buon augurio che andavano ripetendo le Baccanti ed altre simili furibonde donne ne' giuochi e nelle feste ad onor del nume de' bevitori. Quindi scrive il Patrizio: Un altro inno pure a Bacco indrizzato era quello che dicono cantare Evoi, quasi bene a te; di che fa testimonio e Suida e lo scoliaste di Soffocle e da ciò Dionigio fu coynominato, come si vide, Evio. (Poctica, Deca Istor. lib. 2, pag. 172) (A). v. 406-411. Chi dirà che, dopo tanta purezza di lingua usata dall'autore, volesse poi egli per il bisogno di rima lasciarsi dalla penna sfuggire que' barbarismi mi ti, quali si leggono nelle stampe? I nostri manoscritti non solo il purgano di questa taccia, ma ne somministrano qui una strofe tanto più nobile quanto più gaglioffa ne sembra l'altra letta finora in questo coro. Dissi nell' Osservazione V che nel rappresentarsi il coro un solo autore cantava, e il restante poi ripeteva l'intercalare. Questa verità qui si vede assai chiara, poichè ella è una Menade sola che parla e canta nel decorso delle strofi. Degno è d'osservazione in questo coro altresì l'uso de' versi tronchi tanto adoperati nelle canzonette del nostro secolo. Il Poliziano forse si sarebbe fatto scrupolo di troncar le voci a mezzo, come in

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oggi si usa per far che insieme rimino amore ed ancora, dicendo amor, ancor: però egli non adoperò che voci naturalmente tronche e desinenti in vocale d'accento acuto (A). v. 410. Pare che il Ms. legga ogn' uom, giacchè sta scritto oghom. (A). -v. 413. Mai non iscordasi il Poliziano del costume tanto da Aristotele al tragico raccomandato; pel quale non tanto s'intende che gli attori debbano pensare ed operare giusta le circostanze de' tempi in cui vissero, ma che eziandio loro attribuir si debbano gli usi di quelle cose che servivano allora alla vita comune. Qual maggiore stravaganza sarebbe quella di chi volesse condurre Achille in campo armato di moschetto e pistole? Egli dunque dà alle Menadi il corno per vaso da bere, poichè, siccome attesta Ateneo, gli antichi ebbero appunto l'usanza di bere nelle corna: Priseos fama est homines cornibus olim bibisse bovum. (Dimnosophist, lib. II.) La qual cosa pur si raccoglie da sant' Ambrogio (Lib. de Elia el ieiunio, cap. 17) e da Dempstero, presso il quale Pindaro ne commemora de' formati d'argento Ex argenteis cornibus bibentes lascivierunt. (Dempster. Antiq. Rom.. lib. V, pag. 528, 530, 531.) Tal sorta di bicchieri in uso venne, giusta lo scoliaste di Nican

Porgi quel cantaro in quà.
Questo monte gira intorno,
O'l cervello a cerchio va.
Ognun corra in qua o in là,
Come vede fare a me:

Ciascun segua, o Bacco, te.
Io mi moro già di sonno:
Sono io ebra o si o no?
Più star dritti i piè non ponno.
Voi siet' ebri; ch'io lo so.

dro, dal pingersi Bacco cornuto; credendosi atto di religione il bere entro un arnese che adornava la fronte di quel nume. Lo che se è vero, non mai tanto doveasi ber nelle corna, quanto nelle feste sacre a Bacco laonde molto giudiziosamente diede qui il Poliziano alle Menadi il corno; siccome fece pur anche ai Satiri ed alle Baccanti nelle sue Stanze, dicendo nella CXI del I libro: Quel con un cembul bee; quei par che ridano: Qual fa d'un corno, e qual delle man ciotola» (A).- -v. 414. L' essersi finora in questo verso nominato il bottaccio in vece del cantaro, egli è lo stesso che aver fatto saltare il Poliziano dagli usi antichissimi ai recenti, cioè dall' uso che si faceva del corno pres so gli antichi onde bere a quello che i nostri contadini fan del bottaccio. Questa però è una stravaganza troppo madornale. Quanto è sciocca la lezion di bottaccio, altrettanto è saggia ed erudita quella del cantaro. Tal voce significava due cose, cioè una certa specie di navilio ed una specie di vaso per bere; del che fa fede Macrobio: Cantharus et poculi et navigii genus esse su pra diximus... et pro poculo quidem nota res est vel ex ipso Virgilio qui

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aplissime proprium Liberi patris poculum assignat Sileno. » (Saturnal. lib. V, cap. 21.) Il passo di Virgilio, cui Macrobio allude, si è questo: « Silenum pueri somno videre iacentem, Inflatum hesterno venas, ut semper, Jaccho. Serta procul tantum capiti delapsa jacebant; Et gravis attrita pendebat cantharus ansa. » (Eclog. 6, vers. 14 e seguenti.) Tal vaso che, giusta Celio Rodigino (Lection. Antiq., lib. 24, cap. 27), era di terra, doveva essere un grande ciotolone fatto sul modello del navilio con cui aveva comune il nome; ed il Ravisio pensa potersi ciò dedurre dal citato Macrobio: Nomen autem sumpsit a similitudine navigii eiusdem nominis ; nam cantharum nomen esse navigi ostendit Macrobius ex Menandri testimonio.» (Officina, par. II, num. 30.) Essendo pertanto il cantaro un vaso da bere tanto antico e proprio di Sileno nume degli ubbriachi nou men di Bacco; assai convenientemente più del bottaccio venne alle Menadi bevitrici attribuito (A). v. 423. Qui si ritiene la lezione delle stampe. I nostri Ms. Voi siete ebbri, o io non so (A).-Te205. Il fine. Cosi in caratteri greci sta scritto in ambi due i Codd. Regg. e Vit. Molti sono

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