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Usalo dolcemente in canto e 'n festa
Per cavar te e 'l tuo servo di pene.
Trarsi una voglia par pur cosa onesta,
Ne veggo o penso mai quel che ti tiene:
Tu sai e puoi, e màncati el volere;
Potra'ti poi di te stessa dolere.
Se non mi vuoi servir per conscïenza,

Maggior peccato fai s'un per te muore.
S'all' onor tuo vuo' avere avvertenza,
Pigliati un saggio et onesto amadore,
Che abbi luogo e tempo e pazienza
E che ti sappi conservar l'onore.
Se per viltà lo fai, or te ne spoglia
E sappi contentar qualche tua voglia.
Veggo cambiare el tuo vago sembiante:
La tua belleza come un fior si fugge:
Tu non se' quella ch' eri poco avante;
Il tempo tua biltà consuma e strugge.
Chi felice non fa qualche suo amante

Al mondo è come un fior ch'è nato all' ugge,
Che lungo tempo sta senza far frutto:
Chi gode un tempo non lo stenta tutto.

I' ho si poca grazia con Amore,

Ch'i' non m' ardisco addimandar merzede;
E son sì sventurato servidore,
Ch'altro che morte a me non si richiede.
I' sento tanta pena dentro al core,

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cura Che ingegno o che cervello ha
quel che t'ama: S' egli è discre-
to, non istar più dura.
v. 33-36. Ne' Risp. spic. « Lasso !
mirando nel tuo aspetto fiso, La
faccia tua non è com' esser suo-
le Dov'è fuggita tua belleza ca-
ra ? » E « beltà come un fior
s' appassa e strugge.
v. 38.
all' ugge, all' ombra; ombra grave
e fredda.

....

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Ch'i' maladisco Amore e chi gli crede:
Non val nè bestemmiar nè maladire,
Chè a mio dispetto me 'l convien seguire.
Vorre' saper quel che ragion ne vuole
Furare il core a un fedele amante
E pascerlo di sguardi e di parole
Sanza pietà delle sue pene tante.
Non ti maravigliar s' altri si duole,
Ch'i' non son di diaspro o di diamante.
Se non vuoi t' accusi innanzi Amore,
Fammi contento o tu mi rendi il core.
Rendimi lo mio cuor, falsa giudea,

Chè più pietosa donna me 'l domanda.
E s' io non t'amo come amar solea,
Amor per tua dureza me 'l comanda :
Per van pensieri e per tua voglia rea

Amor non vuol che 'l tempo indarno spanda.
Rendimi il cor, che me 'l furasti in prima,

Chè dar lo voglio a chi ne fa più stima.

Ingrata, se tu m' hai furato il core,

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Non sa' tu ben che render te 'l conviene?
S'esser isciolta vuoi del tuo errore,

Rendimi il cuore e fa'mi qualche bene.
Non sa' tu che t'è infamia e disonore
Tenere il servo tuo in tante pene?
Rendimi il core, e non mi far penare;
Chè troppo dura cosa è l'aspettare.
Prendi bel tempo, innanzi che trapassi,
Gentil fanciulla, el fior degli anni tuoi:

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mi il core, o giudea dispietata, Chè a
più pietosa donna il vo' donare.
v. 63-64. Risp. spice.

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Rendimi il cor; che tu non gli dài posa: Che il vo' donare ad una più pietosa. ▾ v. 73-74. Altrove: Come non pensi al dolce tempo omai? Chè in van trapassa la stagion tua verde. »

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Se 'l dolce tempo trapassar lo lassi,
Prima pentuta tu ne sara' poi

E prima piagneran gli occhi tuoi lassi:
El pentirsi da sezo non val poi:
Tristo a colei che crede ristorare,

Quando e' capei cominciono a 'mbiancare.

A che ti gioverà tanta belleza,

Se tu con altri non ne tra' diletto?
Che frutto àrai di tanta tua dureza,
Se non pentirti in vano? àrai dispetto.
Non ha sempre a durar tua gentileza:
Rammentera'ti ancor quel ch' io t'ho detto.
Parmi che come un fior tuo' biltà caggia:
Dunche prendi partito come saggia.

V. 79. ristorare, riparare, rimettere il tempo perduto in gioventù. - v. 81 e segg. Son ripetuti con qualche variante ne' Rispetti che cominciano «Da poi ch' io vidi il tuo leggiadro viso. » - v. 87. Toio e tuoio, meo e micio, soio e suoio, per tuo, mio, e suo, sono dell' antico dialetto fiorentino: onde gli accorciamenti del Poliziano e d'altri poeti non grammatici del

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secolo XV; tuo' billà, tuo' fede, mie' core o mie' pena, tuo' coìpa ec.; come anche oggi il popolo fiorentino dice la to' donna, il me babbo o la me' mamma, la so' casa, ec. Si potrebbero moltiplicare gli esempii scritti: ma non importa. Ciò valga anche per gli altri luoghi di queste rime ne' quali il lettore si avverrà in simili idiotismi.

II.

SERENATA

OVVERO

LETTERA IN ISTRAMBOTTI.1

O trionfante sopra ogni altra bella,
Gentile onesta e graziosa dama,
Ascolta el canto con che ti favella
Colui che sopra ogni altra cosa t'ama;
Perchè tu sei la sua lucente stella,

E giorno e notte el tuo bel nome chiama.
Principalmente a salutar ti manda,
Poi mille volte ti si raccomanda.
E priègati umilmente che tu degni
Considerar la sua perfetta fede ;

E che qualche pietà nel tuo cor regni,
Come a tanta belleza si richiede.
Egli ha veduto mille e mille segni
Della tua gentileza, et ogni or vede:

1 Primo da un cod. chigiano la pubblicò P. A. Serassi nella Cominiana del 1765, monca, per iscrupolo, delle ultime sei stanze; intiera la diede dal Laurenz. 44 (plut. 40) W. Roscoe nelle Appendici al vol. III della Vita di Lorenzo de' Medici; poi gli edd. fior. del 1814 dal medesimo Laur. e dal Rice. 2723.

V. 2. Dama, donna amata; che i latini domina, e i trecentisti e cinquecentisti dissero donna; è nel Pulci: Caduto son dirimpetto alla

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Or non chiede altro el tuo fedel suggetto,
Se non veder di que' segni l'effetto.
Sa ben che non è degno che tu l'ami,
Non è degno vedere i tuo' begli occhi;
Massime avendo tu tanti bei dami,

Che par che ogn' un solo el tuo viso adocchi :
Ma perch' e' sa che onore e gloria brami
E stimi poco altre frasche e finocchi,

E lui sempre mai cerca farti onore,
Spera per questo entrarti un dì nel core.
Quel che non si conosce e non si vede,
Chi l'ami o chi l'apprezi non si truova:
E di qui nasce che tanta suo' fede,
Non sendo conosciuta, non gli giova;
Chè troveria ne' belli occhi mercede,
Se tu facessi di lui qualche pruova ;

Ogn' un zimbella, ogn' un guata e vagheggia,
Lui sol per fedeltà esce di greggia.

V. 19. Dami. « Nelle dichiara-
zioni della Comm. del Moniglia,
La serva nobile, s' osserva, che,
siccome le amate giovani furon
chiamate dame, esse vollero con-
traccambiare un tale onore fatto
da'loro amanti con chiamargli all'in-
contro dami, cioè loro signori e don-
ni, e che dipoi la voce damo si fece
tra noi comune, ma più nel contado,
dagli antichi non usata. » Marrini,
note al Cecco da Varlungo. Non
saprà chi gliela manda. È il suo
damo si pulito
Lorenzo de' Me-
dici. A un tratto damo e sposo
mi ti fai » Buonar. Tane. « Durasse

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per evitare la ripetizione della rima,
è del Chig., seguito dal Serassi e
dal Silvestri, e del Cod. del signor G.
Vanzolini. - v. 22. Frasche e finoc-
chi: vanità, apparenza, bagattelle.
Pandolfini. « comunicare con voi al-
tro che parole e frasche.
- v. 23.
Ed ei sempre mai, leggono gram-
maticalmente il Serassi e il Silve-
stri: ma l'idiotismo del lui soggetto
piacque al Machiav., nè dispiacque
al Giusti... servitore... Che suol
fare alla roba del padrone Come a
quella di tutti ha fatto lui.
v. 26. mai non trova, Cod. Van-
zolini. - -v. 29. troverre' ... merzede,
Cod. Vanzolini. - v. 31. Zimbella.
Qui non par che significhi allellu,
lusinga, come metaforicamente in
altri casi; ma che figuri gli atti
e i modi dell' amante leggiero e
instabile, paragonato all' uccello che
serve a uso di zimbellare. - v. 32.

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