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Che resta incatenato ove si suole.
Cosi parton da te mia membra spesso:
Ma lo spirito ogn' or, donna, t'è presso.
Tu pensi ch'i' mi sia da te rimosso,

Non mi vedendo; e pur son teco ogni ora:
E s'i' volessi ben fuggir, non posso,
Nè viver sanza te, madonna, un'ora.
Le catene crudel ch'i' porto a dosso

Mi terranno prigion per fin ch' i' mora :
Nè so, poi che la carne fia sotterra,
Se lo spirto uscirà di tanta guerra,
Tal' or il corpo mio da te si parte

Seguendo suo' crudel disavventura

Contro a cui non mi vale o 'ngegno o arte,
Si è la sorte mia spietata e dura :
Ma ti resta di me la miglior parte.
Dunche, com' hai del mio partir paura?
Se alle volte da te il cor si move,
L'anima sai che non può stare altrove.
Perchè hai tu, donna, il mie' partire a sdegno?
Chè sai pur com' io vo contro a mia voglia,
E per sin ch'a vederti non rivegno
Non sarà la mia vita altro che doglia.
Non ha' tu di mia fede il cor in pegno
Con sicurtà che mai da te si scioglia?
Perch'è ne' lacci tuoi stretto si forte

V. 9-16. Si noti la somiglianza che con questa e in parte con le antecedenti stanze hanno i seguenti versi d'un montanino pistoiese pubblicati dal chiarissimo prof. Giuliani per nozze benchè ne' versi del montanino parrà ad alcuni di trovare maggior gentilezza d'affetto e di numero. Eccoli: << Benchè lontano sia, benchè distante Dagli occhi vostri questo cor dolente, La lontananza

non sarà bastante Ch'io mi scordi

S

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di voi, stella luciente: Beuch' io nou
veda il vostro bel sembiante, Dove
l'occhio non può, verrà la mente;
Verrà la mente, se l'occhio non
puole, A rivedere voi, luciente sole. »
-v. 22. Dunque, le st. -v. 23. il mio
le st. Ma l'aggiunta è inutile;
chi sappia che dopo un monosillabo
l'elisione della sillaba che segue co-
minciante per vocale non è necessa-
ria, anzi non è quasi mai fatta dagli
antichi.-
‚— v. 24. L'anima hai tu, le st.

cor,

Ch' a pena il può far libero la morte.

Quando penso, amor mio, che 'l giorno è presso

Che prender mi convien sì lunga via,
E con sospiri abandonar me stesso
Lassando la tuo' dolze compagnia,

E che il ben che speranza m' ha promesso
Come polvere el vento porta via,
Son costretto a portare invidia al core;
Ch'i' parto, e lui rimane al mio signore.
Già non m'incresce di lasciare il core
Che resta volentier col suo disio;
Ma che sie poco accetto al mio signore
Che già mi si mostrò clemente e pio.
Questo raddoppia il mio grave dolore,
Questo fa troppo acerbo il partir mio,
Questo è cagion che mai sarò contento ;

Ch'i' vo con pena e 'l cor sta con tormento.
Passo senza dormir le notti tutte

Mentre te, donna, sospirando chiamo;
Ne ho del pianto mai le luci asciutte.
Perch' io lascio i begli occhi ch'i' tanto amo.
Le membra sento indebilite e strutte,

Tal che per manco mal la morte bramo:

E certo i' non sarei vivo quest' ora,
Se non ch'i' spero rivederti ancora.
Se non fusse che spero venir presto
Ov' io possa vederti, anima mia,
El viver sanza te m'è si molesto

V. 40. E lui riman tuo servi tore, ediz. fior. 1814. La dizione tuo servitore leggesi in margine del cod., ma d'altra mano, forse di qualche sopracciò in grammatica, cui pareva sconcordanza il signore riferito a donna. Il grammaticale Silvestri legge Ed ci riman tuo servitore. -v. 48. Nè pur questa volta accettiamo la correzione marginale POLIZIANO.

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del cod. che porta resta in tormento, perchè è evidente che sta con tormento è detto per contrapposizione a vo con pena ma l'accettarono le altre stampe. - v. 49-52. I montanino sopra citato: « Alla mattina appena fatto giorno Mi venne l'ora di dover partire: La notte non potei dormire un sonno, Chè la mia vita sentivo languire. v. 53. indebolite, le st.

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Poi che in pianto in sospir passo il di tutto,
La sera al men mi riposassi un poco,
E stessi un'ora sol col viso asciutto
Non sentendo l'ardor dell' empio fuoco,
Che m'ha si consumato il core e strutto
Che non mi vale or mai tempo nè loco.
Ma ogni grazia in vano ad Amor chieggio:
Sto male il giorno e poi la notte peggio.
Godi, donna crudel, poi che tu m' hai
Condotto amando in miserabil loco;
Trionfa or delle pene che mi dài,
Del dolor che mi strugge a poco a poco;
Prendi gloria e diletto de' mie' guai ;
Pasci ben gli occhi tuoi del mio gran foco:
Quando l''animo àrai del mio mal sazio,
Forse t'increscerà di tanto strazio.
Merzede or mai, ch'i' mi consumo et ardo
Aspettando al mie' mal qualche conforto;
Che s'è per mia disgrazia a venir tardo,

V. 63. e'l grave fuoco ov'ardo,

le st.

1 Queste ottave stanno nel cod. ricc. tutte di séguito, si veramente che sono unite all' ultime due del componimento antecedente: che è manifesto errore di chi molto dopo al tempo in cui il cod. fu scritto volle e non seppe distinguere i ri

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spetti copiati da prima senza niun segno distintivo.

V. 4. Non so come gli edd. fior. del 1814 leggessero Non s'accendi l'ardor dell' empio foco. Il Maggi indovinò la vera lezione del codice. che fu ammessa nella stampa del Silvestri. v. 19. Accettammo la correzione del Silvestri: il cod. e

El viver mio sarà doglioso e corto.
E se non fusse alcun soave sguardo

De' tuo' begli occhi, i' mi sarei già morto:
Con questo a stento si mantien mia vita;
Però conviemmi aver maggior aita.
Ben saría tempo, Amore, avere scosso

Dal collo il giogo tuo molesto e grave;
Poi che 'n tanti martir piegar non posso
Quella a cui detti del mio cor la chiave.
Ma so che pria sarò da me rimosso
Che 'I mal ch'i' ho per lei non sia suave:
Cosi dura come è nel cor la porto:

Di lei son vivo e suo voglio esser morto.
Se di questo crudel strazio e dispetto
Ti risultassi commodo et onore,
Arei tanto piacer del tuo diletto
Che mi parría suave ogni dolore:

Ma perchè a torto uccidere un subietto
È iattura et infamia del signore,
M'incresce assai del mio mortale affanno
Ma molto più di tuo' vergogna e danno.
Vinto dalla dureza del tuo petto

Ov' io non seppi ancor trovar merzede,
Ho cerco in altra trasferir l'affetto
La mia devota servitute e fede:
Ma è ne' lacci tuoi mio cor si stretto
Che di spiccarsi alcuna via non vede :
E poi che vuol così mie' dura sorte,

le st. fior. del 1814 leggono Che so
per ec.
v. 20. Accettammo la cor-
rezione del Silvestri: il cod. e l'ediz.
fior. 1814 leggono venir mio.
v. 25. E qui pure accettammo la
correzione proposta dal Maggi e pas-
sata nell' ediz. Silvestri: il cod. e
l'ediz. fior. 1814 leggono Ben sarà
tempo. v. 29. Gli edd. fior. 1814
stampavano Ma se pria sarò ec.: il

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Silvestri riparava ai danni del metro ma non del senso, correggendo Ma se prima. E pur la lezione nostra bella e chiarissima è quella del codice. — v. 34. Il cod. legge Tu risultassi commodo et onore: gli edd. fior. 1814 stamparono Tu risultassi con modo ed onore: onde le querele della Critica in quella farsa del Monti che è uel vol. III, parte II, della Proposta.

Fermo son di servire in sino a morte.
Foss' io pur certo nella morte al meno

Poter l'aspra catena all' alma tôrre,
Ch' io ardirei con ferro o con veneno
Queste languide membra in terra porre !
Ma chi sa se morendo Amor vien meno
O se può stringer l'alma e 'l corpo sciorre ?
Vivendo il ciel mi sforza esser tuo' preda:
Ne so dopo el morir quel ch' io mi creda.

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VI.

Da poi ch' io vidi el tuo leggiadro viso,
Tutta la vita e' mie' pensier cangiai.
Da' tuo' begli occhi uscì si dolce riso
Ch' altra dolceza al cor non senti' mai;

V. 50. l'aspre catene, le st. Questa e la stanza 2a del presente componimento trovansi con qualche varietà anche fra gli Strambotti, dell'Aquilano.

1 Queste ottave, che furono prima pubblicate dagli edd. fior. del 1814, le troviamo così di séguito tanto nel cod. laurenz. 44 come nel riccar. 2723: se non che nel laurenz. innanzi alle ultime due ne sono interposte due altre (Io ho sentito el tuo duro lamento e lo benedisco ogni benigna stella) che non legano colle precedenti. L'ordine nel quale le diamo noi è quello stesso del riccardiano; salvo che ivi si aggiunge un'ottava in fine, ch'è fuor di materia (Allor che morte arà nudata e scossa). A questa serbiamo luogo più opportuno fra i Rispetti spiccioluti: le due del cod. laur. le vedremo al suo posto nel seguente componi

mento. Notiamo anche che le st. 2 e 3 sono le stesse che la 13 e 14 della Serenata o Lettera in istrambolli ripetute con qualche piccola varietà; e lo stesso è della terza. che abbiamo già trovato ultima nei Rispetti d'amore. Ma ambedue i codd. fiorentini le hanno, e noi le riproduciamo fedelmente. Nulla di più facile che l'autore trattando un argomento consimile, per servire alle richieste e agli spassi de' suoi giovani amici, senza nessuno intento letterario, si giovasse del gia fatto altra volta.

V. 1-8 Questa stanza è anche nel cod. Vanzolini: il quale al v. 3. ha la var. E de' begli occhi.

v. 4. Il Laur. e gli edd. fior. del 14 leggono Altra dolcezza: ma il cod. ricc. e quello del sig. Vanzolini hanno Ch' altra dolcezza, insieme col Trivulziano cit. nell' Append.

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