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meraviglia; come, non ostante i classicissimi studi dei quali sa pur pompeggiarsi, il Poliziano riuscisse poeta popolare a' suoi giorni, e di fama quasi popolare sieno tuttora le Stanze; delle quali come di parecchie ballate la grazia e la bellezza nativa è palese a tutti i leggitori senza bisogno di dissertazioni che insegnino a gustarle. Onde ciò? e come? Notisi bene che in alcuna sua epistola il Poliziano si chiarisce apertamente avverso alla imitazione esclusiva di un solo autore;' e che i cinquecentisti alle poesie latine di lui preferivano di gran lunga le poesie del Pontano e del Sanazzaro, perchè in queste gustavano Orazio Tibullo e Virgilio ed in quelle l'erudizione loro sdegnavasi di non rinvenire i vestigi speciali di alcuno. Perocchè il Poliziano, tutti conoscendo da gran filologo gli scrittori antichi e di tutti con l'assimilazione del buon gusto fattosi succo vitale, niuno poi ne imitava particolarmente; forte com'era di dottrina e d'ingegno osava improntare del proprio stampo anche quella morta favella, osava darle movimenti suoi proprii e stendere su'l verso antico un colorito novello. L'uomo dunque che così padroneggiava il latino è facile a immaginare con qual procedimento si facesse imitatore in italiano. Erano bellezze da mille anni antiche, e nel suo verso apparian nate oggi: erano imagini un po' appannate un po' stropicciate dalla man grave degli scoliasti e degli imitatori, e nelle sue rime rifiorivano splendide e fragranti, come rose e viole dopo una pioggia di primavera: Omero prendea la sembianza di Dante, Virgilio quella del Petrarca; e nel tutto era Angelo, l' omerico giovinetto, che rinnovava il linguaggio poetico d'Italia.<< Tentammo.... di non macchiare la castità latina con le inette peregrinità nè con le figure grecizzanti, se tali non fossero che s'abbiano oramai per accolte; tentammo che le due lingue serbassero la medesima chiarezza le medesime eleganze e il senso e l'indole loro: niuna incresciosaggine di vocabolo, niuna ansietà faticosa.3 » Qui il critico spiega da vero il poeta: e queste parole onde messer Angelo dichiarava il modo da sè tenuto nel far latino Erodiano segnano la dif

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ferenza che è dal classicismo dell'autor delle Stanze a un classicismo più recente di cui la cima e lo sdrucciolo a un tempo sono le Grazie del Foscolo.

III.

BIBLIOGRAFIA DELLE STANZE E DELL'ORFEO.
NUOVE CURE DATE LORO IN QUESTA EDIZIONE.

Que' lettori, se pure una prefazione merita lettori, a cui della bibliografia importa tanto o quanto, possono saltare a piè pari questo capitolo e il quinto. Nei quali io descrivo tutti i manoscritti e le stampe che sono a mia cognizione, per ora delle Stanze e dell' Orfeo, più avanti delle Rime: e ciò per render ragione del modo da me tenuto nel dar novamente alla luce le poesie del Poliziano, e per sodisfazione di coloro che reputano essere la bibliografia rispetto alla storia letteraria quello stesso che la statistica rispetto alla civile.

CODICI.

Primo è da notare il cartaceo in foglio che si conserva nella Biblioteca riccardiana di Firenze segnato di numero 2723 e intitolato Rime del Poliziano, di Lorenzo de' Medici, di Dante, e d'altri. Oltre le Stanze con rubriche e l'Orfeo che a quelle sèguita molto più semplice, come già notammo, di quello sia nel cod. chigiano e nelle stampe, contiene molti rispetti e canzoni a ballo del N. A., e l'ode Iam cornu gravidus scritta nel 1482 che è fra le opere latine a stampa del Poliziano, la epistola all' illustrissimo signor Federigo insieme col raccolto volgare mandatogli dal Magnifico Lorenzo male attribuita al Poliziano e da me già ristampata conforme alla lezione di questo cod. nelle Poesie di Lorenzo de' Medici [Barbèra, 1859], poi una breve prosa latina che dicesi composta pro quodam adolescente in gymnasio pisano de laudibus artium liberalium e incomincia Si mea sponte tantum hoc suscepissem, la quale

con siffatto principio non trovasi, ch' io mi sia accorto, tra le opere latine dell'autore, in fine, dopo diverse poesie del Nostro e d'altri, la lettera a Filippo Beroaldo che incomincia Certiorem me, prima del 1. VI fra le epistole stampate. Questa è certamente autografa, come ricavasi dal confronto d'altri scritti di man del Poliziano e dalle frequenti cassature e correzioni sopra linea di parole e frasi intiere, quali non possono farsi che dall' autore. Il Lami nel Catalogo riccardiano' sembra ritenere per autografo il cod. intiero, citandolo sotto la rubrica Angelus Politianus in questa guisa, Rime et Epistola ad Ph. Beroaldum, autographos: nella quale opinione credo sia solo. A carte 97 tergo trovasi scritto: 1487. Questo libro è di Franc. di L.' di Bernardo dei Medici e degli amici sua: ma specialmente negli ultimi fogli il cod. è miscellaneo. Pur questa data ed altre note messe in fronte a certe poesie anonime e di diversa mano su la fine mostrano il manoscritto esser stato compilato nelle due ultime decadi del secolo. Ve n'è del 1488: la più recente « A dì VIII di febbraio 1496 » sta in fronte a un sonetto caudato allusivo ai turbamenti mossi da frà Girolamo. Tuttavia la scrittura delle Stanze, dell'Orfeo e d'alcune fra le rime assomiglia, se vuolsi, a quella del Poliziano (il che non fa maraviglia a chi abbia notato come nella seconda metà del secolo XV le varie mani di scrittura per poco non appaiono uguali); ed è certo del medesimo tempo. Ancora, l'osservare nel 1. II della Giostra non trascritti della st. XII che i primi tre versi e della xiv non più che il primo e lasciato in bianco lo spazio pe' rimanenti faccia sospettare non forse sia il ms. una copia fatta immediatamente dalla scrittura autografa; e che delle lacune sia tale la causa, o che l'autore non avesse in quel primo compiute per anche le due stanze, o che all' emanuense non fosse chiaro lo scritto originale. Mi fa inclinare alla prima opinione il ricordarmi d'aver notato quelle due stesse lacune in un piccol frammento delle Stanze che vidi di fuga fra alcune vecchie carte nella Palatina di Firenze. Per tutte queste ragioni credo di non andar lungi dal vero ritenendo il cod.

Lami, Catalogus codicum munuscriptorum qui in bibliotheca riccardiana Florentiæ adserv ntur; Liburui, MDCCLVI.

ricc. 2723 come il più antico e autorevole fra quelli che contengono rime del Poliziano. Peccato che per guasto cagionato dall'umidità manchi la prima carta che conteneva le 6 ottave onde comincia il poema, e nelle 4 carte seguenti sieno danneggiate le estremità inferiori per modo che si desiderano per intero o patiron difetto in più versi le ottave 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27, 30, 33. Tuttavia a questo difetto ripara un altro codice pur cartaceo ed in foglio che si conserva anch'esso nella Riccardiana sotto il no 1576: è un quaderno rilegato col volgarizzamento delle Metamorfosi per Arrigo Simintendi, di lettera meno antica ma non posteriore agli ultimi anni del secolo XV, e contiene solo il primo delle Stanze.

Uno de' primi luoghi e forse il primo dopo il riccar. 2723 parrebbe che per ragione di antichità spettasse al cod. reggiano descritto dall' Affò. Conteneva questo in origine oltre l'Orfeo anche le Stanze barbaramente staccatene per rilegarle in un volume miscellaneo, e fra esse nel 1. I una v'era non compiuta come le due del II nel riccardiano. L'Affò, del quale mal saprebbesi desiderare più autorevole giudice, ai caratteri e alla carta lo teneva per copiato « nel più bel fiorire del Poliziano. » Fu in principio del P. Giambatista Cattaneo minor osservante; passò poi nel convento di quell' ordine in Reggio che s'intitolò di Santo Spirito; ove potè osservarlo l'Affò che ne trasse l'Orfeo di più larga e corretta lezione. Degli ultimissimi anni del secolo XV o forse dei primi del XVI pare allo stesso Affò un altro codice acquistato e posseduto nel secolo scorso da un amico suo, il dottor Buonafede Vitali da Busseto; e del quale ei ci dice che insieme con molte opere in verso di quel tempo conteneva l'Orfeo di lezione quasi al tutto consimile al già citato reggiano. Ma per maggiori notizie sopra ambedue rimando il lettore alla prefazione del padre Affò all' Orfeo nella stampa del 1777 fedelmente riprodotta in questo volume.' Io, per cercare ch'abbia fatto, non son venuto a capo di conoscere l'esito dei due codd. citati e illustrati dal dotto parmigiano. Veramente sospetto che il cod. reggiano primo sia passato a far parte d'un mi

1 Affo P. Ireneo, Prefazione all'Orfeo: della presente ediz. pag. 123

e segg.

scellaneo conservato nella Palatina di Modena sotto il numero DCCCI, il quale fra parecchi drammi della fine del quattrocento e di poi contiene anche Angelus Politianus, Orfeo, Tragedia; che è lo stesso titolo dato alla favola del Poliziano nel ms. veduto in santo Spirito dall' Affò. E il titolo l'ho ricavato dal Catalogo manoscritto della Estense; ove alla parte IV [Codd. italici] il codice è descritto « chart. in 4", partim sæc. XVII et partim XV.» Di più non so; non avendo potuto averlo nelle mani, incassato com'è tuttora con gli altri a causa della traslocazione di quella celebre biblioteca.

Al ms. del Bonafede apparisce essere coetaneo il cod. 51 della Oliveriana di Pesaro, « prezioso e perchè scritto con bella lettera e perchè porta l'autorevole data del 1503. » Salvator Betti, del quale sono queste parole, ne dette le varianti in una sua lettera al conte Francesco Cassi, pubblicata nel Saggiatore che usciva nel 1819 in Firenze. E le riprodusse con belle considerazioni nel Giornale arcadico in occasione che le poesie del Poliziano furono ristampate dal Silvestri.

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Pregevolissimo e de' più ricchi fra' codd. che han versi del N. A. si celebra dagli eruditi il membranaceo in forma di 8', conservato nella Biblioteca chigiana di Roma sotto il n" 2333 secondo il Serassi, e, secondo il Poggiali, segn. M. 4. 81.3 Contiene, oltre le rime delle quali non mi occupo per orą, la Giostra e l' Orfeo. Nel fine, di mano diversa da quella che copiò le poesie, è scritto: Faxii Julii de Medicis de Florentia. M. D. XXX. Ma questa data è letta per 1520 dal Poggiali e dai fiorentini edd. delle Rime che più volte citano nelle note il cod. chigiano. E qui mi giovi avvertire subito, che, essendomi nel 1858 indirizzato per la collazione di quel codice all' egregio sig. ab. Luigi Fratini che allora dimorava in Roma ed egli prestandosi con tutta gentilezza, alle sue ricerche fu risposto che da circa 20 anni era stato perduto.

1 S. Betti, in Giornale arcadico, Anno 1826, t. XXIX, p. 205.

2 P. A. Serassi, Vita di Angelo Poliziano in fine, alla penultima

nota.

3 G. Poggiali, Serie dei testi di

lingua [Livorno, Masi, 1813], vol. I, pag. 266.

Rime di A. Poliziano, con ilustrazioni di V. Nannucci e di L. Ciampolini [Firenze, Carli, 1814], t. II, p. 143, nota 183.

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