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mea ad te deus ». Non restava più dubbio da ciò che l'edificio fosse cristiano; e posto il gran principio della relazione in cui gli antichi sempre mettevano i soggetti raffigurati nelle pitture e nei musaici che servivano a decorare le loro stanze, con l'uso, a cui queste erano specialmente destinate, non tardai ad avvedermi, quale fosse la vera destinazione della vicina rotonda, che io ritengo non per altro che per un battisterio de' primi cristiani, ove ai catecumeni era somministrato il sacramento della rigenerazione per immersione di tutto il corpo, siccome usavasi nell'epoche primitive di nostra chiesa. E per il fatto, quanto fu ivi sin'ora sterrato, corrisponde pienamente alle già preconcette mie induzioni.

Il sagro edificio di cui si ragiona, offriva l'ingresso a mezzogiorno per un vestibolo tetrastilo. A destra di questo vi era un pianerottolo scoperto, più basso, di figura quasi triangolare, il di cui selciato formato leggermente a conca e con alcuni fori per la uscita dell'acqua che vi si versava attraversante una griglia di pietra, porge motivo a supporre che ciò servisse forse al lavacro dei piedi di gente rozza e scalzata che accedere soleva alle sagre funzioni che ivi si celebravano. A sinistra invece altro piccolo luogo scoperto presentava una vaschetta annessa ad un muro, probabilmente destinata ai lavacri delle mani e del volto. Perciocchè sappiamo che sino da tempi remotissimi era invalsa la opinione che: « lotiones purum hominem praestare tum secundum corpus, tum secundum animam » (Platon. in Cratylo p. 55. edit. Basil.). Ond' era costume de' primitivi cristiani di lavarsi prima di entrare nella curia divina: e al tempo di Tertulliano v'erano scrupolosi persino che nemmeno si accingevano alle preghiere più piccole senza lavarsi (de oration. c. XI).

Da questi primi luoghi d'ingresso per alcuni gradini salivasi ad un piano, a cui di fronte presentavasi l'entrata principale alla rotonda, in mezzo alla quale si vede la vasca marmorea del sagro fonte.

In comunicazione a questa rotonda, mediante un andito di figura triangolare, si trovano due stanze destinate allo spoglio delle vesti, come lo indicano chiaramente i sedili di pietra annessi alle interne pareti, ed una vaschetta di cui vedonsi traccie ad un angolo di una di dette stanze, mentre l'altra non venne sterrata completamente; e questa vaschetta serviva probabilmente al lavacro de' piedi dei catecumeni, i quali dopo esorcizzati dovevano portarsi al sagro fonte decentemente nudi, e fatta solenne professione di fede, subirvi la immersione dei piedi nell'acqua e la sagra effusione sul capo entro la vasca del battisterio.

All'esorcizzazione e ad altre cerimonie precedenti l'atto della immersione io suppongo servisse una gran sala, sul pavimento di cui a musaico, immediatamente dinnanzi alla soglia d'ingresso, a cui prestavasi un intercolonnio, trovansi rappresentati li due cervi che bevono, con sopra l'indicato versetto; e ad un capo della medesima vedesi una specie di cappella di muro con incarto, di figura semilunare, isolata, non fatta sterrare per non farsene caso. E comunicava questa sala con la rotonda del battisterio per mezzo di un atrio, a un capo di cui vi era uno stanzino atto ad alloggiarvi probabilmente un custode o sagrista; e sotto lo selciato di pietra vi scorreva un canaletto che provedeva di acqua perenne la esterna vaschetta.

Essendosi a questo punto arrestate le ultime scavazioni, più non potrei dire di questo sagro salonitano edificio, che certamente doveva essere grandioso, e dotato di quella magnificenza con cui solevano i primi cristiani adornare i templi del vero Dio, servendosi di marmi preziosi e di altre opere splendide che per decreto imperiale essi appropriavansi dagli avanzi del paganesimo.

E quì io pongo fine al presente generale rapporto, con cui ho inteso di offrire nel più breve sunto possibile chiara notizia di quanto in Salona venne scoperto dal principio degli scavi ivi instituitisi sino al giorno di oggi, e di quanto più inte

ressante per conseguenza conservasi nel pubblico museo di Spalato, eccettuatene le lapidi, che formano soggetto di altra mia opera anzimentovata. Dei ritrovati futuri daremo notizie genuine in appresso.

Spalato 18 febbrajo 1848.

F. LANZA.

PARTENZA DI ACHILLE.

(Tavv. d'agg. H.I.)

Trovasi tra i tesori posseduti da S. E. il sig. duca di Luynes un cantaro di forma e disegno elegantissimo, già descritto nel Bullettino di quest' Instituto archeologico dell'anno 1846, p. 68, 69, degnissimo però di considerazione più accurata. Su ciascuno dei due lati scorgonsi quattro figure, ognuna delle quali sì pel contegno e sì per la vestitura corrisponde quasi perfettamente ad una figura del lato opposto, ma nello stesso tempo è da lei distinta pella direzione ed il nome aggiuntovi. Sul diritto scorgiamo nel bel mezzo Achille (AXIAAEYE), armato di lorica, elmo, scudo e spada, colla destra mano appoggiandosi sull'asta. Mira con guardo fisso Kymothea (KYMOOEA), che gli sta dirimpetto, vestita d'imation e cecrifalo, porgendogli con atto cortese una patera ed abbassando nella sinistra l'oenochoe, da cui ha versata la bevanda. Dietro ad Achille stassi nella sinistra estremità del quadro Agamennone (AFAMEMNON) barbato, ornato dei segni della dignità regia, coronato, coperto d'un lungo mantello, tenendo nella destra lo scettro eretto. Osservasi poi dirimpetto a lui all'estremità opposta, dietro di Kymothea, un giovane chiamato Ucalegon (OYKAAETON), con lungi capelli, in foggia di efebo, calzato, con clamide, petaso e con due giavelotti nella destra. Il rovescio presentaci quattro persone affatto corrispondenti alle anzidescritte, ma disposte in ordine di

verso. Ad Agamennone corrisponde quivi all'estremità sinistra il vecchio Nestore (NESSTOP), di barba e capelli bianchi, senza corona, ma in postura e vestitura simile ad Agamennone; tiene anch'egli lo scettro. Dirimpetto a lui scorgiamo Antiloco (ANTIAOXOS), che corrisponde ad Ucalegon dell'altro lato, e che, come esso, apparisce in guisa di efebo, distinguendosi da lui soltanto per portare i due giavelotti nella sinistra, mentre la destra è appoggiata al fianco: la sua faccia è un poco abbassata in segno di riverenza, ma nello stesso tempo diretta con attenzione verso il padre, che lo guarda fisamente. Segue a destra di lui un gruppo corrispondente al medio gruppo del diritto, voglio dire Patroclo (ПIATPOKAOS), per armatura e contegno affatto simile ad Achille, ma che cala un poco lo sguardo, mentre quegli lietamente mira Kymothea che gli sta innanzi, e Tetide (OETIE), anche ella cogli occhi chini, ma rassomigliante a Kymothea, portante al pari di lei patera ed oenochoe, questa nella destra abbassata, quella nella sinistra, sul lato cioè averso da Patroclo. Fra le figure di Patroclo e di Tetide leggiamo il nome dell'artista, cui dobbiamo questo vaso: EMITENESENOESE.

Siccome noi nell'opera di Epigene non riconosciamo una scena mitologica, ma un aggruppamento di figure piene di rapporti, così per ispiegarla dovremo principalmente ricercare quelle relazioni che potessero esistere fra le persone del diritto e quelle del rovescio. Offresi evidentemente come centro della composizione intera quel gruppo medio del diritto, in cui Kymothea, dea delle onde, porge la dolce bevanda ad Achille, avvezzo alla vittoria; dov'è probabile, che l'arbitrio dell'artista abbia dato a Tetide, madre d'Achille, questo nome insolito, ma ben intelligibile (1). La necessità di cambia

(1) Similmente sul celebre vaso rappresentante la partenza di Anfiarao (Millingen, Vas. gr. t. 20, 21: Inghirami, Vas. fitt. t. 219, 20) Erifile sul diritto vien notata dal nome di кAAONA, mentre sul rovescio porta il suo vero nome.

mento cagionò questa differenza, ed appunto in questo lato fu scelto il nome variato, perchè quivi la significazione era meno dubbiosa. Il pensar ad un'altra Nereide, la di cui denominazione fosse formata sull'analogia di quei nomi tanto molteplici e ricchi, annoverati da Omero II. XVIII, 39 ed Esiodo Teog. 243, ci vien interdetto non solo dalla disposizione della rappresentanza, che a mala pena ad Achille avrebbe opposta un'altra Nereide, ma pure dal superbo nome di dea delle onde, il quale facilmente non converrebbe ad altra. Sul rovescio forma contrapposto a questo gruppo quello di Patroclo e Tetide, ivi chiamata col proprio suo nome, la quale anch'essa ha presentata una bevanda a quest'eroe. Entrambi riguardando la terra con occhio mesto (1), indicano con sinistro presentimento la sorte fatale, che si prepara a Patroclo. Più sicuro e pieno di fiducia è lo sguardo di Achille e quello della dea chiamata Kymothea nel gruppo principale; chè, se la fortuna di Achille non sia lieta, pure gli è assicurata la vittoria. A sinistra d'Achille sta Agamennone, a destra di Kymothea Ukalegon, due persone, che hanno fra di loro un rapporto tanto più necessario, in quanto quelle figure che sul rovescio loro corrispondono, formano un gruppo comune. Il solo Ukalegon, conosciuto dalla storia mitica, è un vecchio Trojano, amico di Priamo, uno di quei, che nell'Iliade III, v. 156-160 esprimono il loro stupore per la bellezza di Elena; e perciò non poteva essere rappresentato come un efebo greco, nè riuscirà possibile di dargli una relazione colla scena proposta. Abbiamo adunque, come in ogni caso simile, da ricercare in lui una persona altrimenti non conosciuta nella mitologia e per se indifferente, tutta l'importanza della quale

(1) Similmente abbassato è lo sguardo di Ettore ed Ecuba sul vaso rappresentante la partenza di Ettore, pubblicato dal Gerhard auserl. Vasenb. t. 189, in cui Ecuba porge la bevanda di commiato ad Ettore, la madre al figlio, come sul diritto del nostro vaso.

ANNALI 1850.

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