ha da attribuirsi alla significazione appellativa del nome, la quale ordinariamente è di gran rilievo nelle iscrizioni vascularie. Ora vuolsi ad Ouxaλéywv, che significa il non curante, trovare nel nostro gruppo la conveniente interpretazione. In primo luogo la disposizione della scena induce a ravvisar nel nostro efebo un compagno d'Achille, un Mirmidone; ma per interpretare il suo nome bisogna aver riguardo alla scena corrispondente del rovescio. Ivi troviamo sostituito ad Ukalegon Antiloco, il quale con attenzione rimira Nestore, che lo guarda fisamente quasi in atto di ammonirlo. Antiloco adunque è rappresentato nel carattere di uomo attento alle ammonizioni di Nestore, attenzione, che conviene ad un figlio verso il padre, come, per esempio, quegli dà prova nel 1. XXIII della Iliade nell'osservarne i consiglj circa la condotta da tenersi nella corsa dei cavalli. Come quivi Nestore ed Antiloco, così sul diritto Agamennone ed Ukalegon stanno l'uno rimpetto all'altro, separati però mercè del gruppo di Achille e Kymothea, la quale differenza di disposizione deve necessariamente avere una ragione sufficiente. Come Antiloco cura Nestore, così Ukalegon, il non curante, non cura Agamennone, il qual contrasto risulta agli spettatori ancora più distinto per essere il non curante Ukalegon separato dall'oggetto della sua non curanza, mentre Antiloco vien congiunto coll'oggetto della sua attenzione. Non sarebbe certo inconveniente di designare un Mirmidone, e per tale ha da ritenersi Ukalegon, come non curante di Agamennone; ma la significazione di siffatto nome divien più espressiva, se supponiamo, ciò che perfettamente accordasi coll'uso delle iscrizioni vascularie, che una qualità d'Achille fu appropriata al di lui compagno. Così nella scena del diritto mostrasi benissimo espressa una significazione, che pel rovescio riceve un importante schiarimento. Achille, che la prima volta dopo lunga quiete riaccingesi al combattimento pieno di fiducia, riceve dalla mano della divina sua madre la bevanda, mentre Aga mennone, posto dietro di lui, indica, che quella sua risoluzione era nello stesso tempo la riconciliazione dei due principi stati precedentemente nemici, aggiungendosi poi Ukalegon sull'altro fianco come indizio delle schiere mirmidoniche, e rammentando col suo nome la discordia sin là durata. Il rovescio poi, per meglio palesare questo senso, mostraci da una parte due uomini familiarissimi ad Achille, Nestore ed il figlio Antiloco, i quali per il loro confronto mettono in più chiara luce la significazione del nome Ukalegon: dall'altra rappresenta la partenza di Patroclo, pronto al combattimento che esser doveva l'ultimo per lui. A lui pure l'artista da Tetide fa porgere la bevanda. Accennaci questo congedo, che anche quell'Achille della scena principale, dopo la morte di Patroclo, benchè sicuro della vittoria, come si rileva dalla faccia sua e da quella di Kymothea, pure non sorte alla lotta con allegrezza. Doveva indicarsi sotto tal velo il rovescio di quella vittoria, a cui Achille va incontro, se, come bisogna ammettere, la rappresentazione di lui sul nostro vaso era destinata a tener viva in un giovane vincitore la gioja dell'ottenuto trionfo. Giunta. Nell'anno 1848 il Museo pubblico della Fraternità di Arezzo è stato arricchito di alcuni vasi provenuti da scavi chiusini, fra i quali merita principale attenzione un calice, la di cui dipintura, fatta in colore rosso su fondo nero, rassomiglia in maniera sorprendente quella del vaso posseduto dal sig. duca di Luynes, testè illustrato. Scorgonsi, cioè, in entrambi i lati di esso calice due rappresentanze, le quali non si possono dire altro che ripetizioni del diritto del summentovato vaso; se non che vi mancano le iscrizioni, che hanno facilitata la spiegazione di quello. Nel bel mezzo di ciascuna di esse scene, fra loro quasi in nulla diverse, una donna, ric camente abbigliata ed ornata di cecrifalo, reca una patera ad un giovane con capelli lunghi, con clamide ed asta: al fianco della donna stassi nell'una e nell'altra un giovane vestito di clamide; a quello del giovane, un uomo con barba nera e lunghi capelli dello stesso colore, ammantato, tenente nelle mani uno scettro. A chi guarda fisamente le fattezze delle figure, pare che il volto della donna e del giovane a lei in faccia sia in su l'un de' lati un poco più sereno che sull'altro. Nell'interno di questo vaso, bello e ben disegnato, benchè non troppo ben conservato, trovasi ancora una volta il gruppo medio della rappresentanza in entrambi i lati dell'esterno ripetuta; la donna, cioè, porgente la bevanda al giovane. Per adattare al vaso in discorso la spiegazione data a quello del sig. duca di Luynes, bisogna credere, che nella scena esprimente la partenza di Patroclo, la disposizione delle figure sia cambiata, piuttosto che ammettere, che l'artefice abbia voluto in entrambi i lati egualmente esibire la medesima scena. E questo si spiega facilmente, se ci ricordiamo, che la disposizione delle figure sul vaso del sig. duca di Luynes, già sorprendente in quanto alla diversità di entrambi i lati, fu cagionata da quel giuoco, che l'artista usò nel nome di Ukalegon (v. p. 146). Il vaso d'Arezzo, all'incontro, non offrendo siffatte leggende, non poteva neppure ammettere un simile giuoco; e perciò l'artista dispose le figure nell'ordine semplice e naturale, il quale s'offrirebbe come tale puranche nel vaso del sig. duca di Luynes, essendo collocate ad entrambi i lati del gruppo di Patroclo e Tetide le figure di Nestore e d'Antiloco, come spettatori, cioè, della scena di partenza. L'unico ostacolo di tale spiegazione è quello, che nel vaso aretino il supposto Nestore non presenta alcun indizio di vecchiezza, come quello dell'altro vaso, rassomigliando esso interamente all'Agamennone dell'opposto lato; cosicchè diviene probabile, che la denominazione delle persone assistenti ai gruppi principali non sia troppo severamente mantenuta. Pare piuttosto, che i disegnatori di entrambi i vasi abbiano, nell'un caso come nell'altro, rappresentata la partenza di Patroclo corrispondente a quella di Achille, aggiungendo ad ambedue le scene le persone d'un uomo barbato e d'un efebo, senza che la denominazione mitologica di esse fosse parimente fissata: il che spiega ancora meglio l'uso fatto del nome Ukalegon ed il giuoco adoperato in esso. L'interno del nostro vaso esibisce, come l'analogia di altre rappresentanze ci fa credere, un efebo di epoca non mitica, ma coetanea all'artista, nell'atto di ricevere la bevanda; ed è forse quello stesso, a cui per l'insigne dono di questo vaso vien augurata o felicitata la vittoria. — Fra gli altri vasi provenuti dagli stessi scavi, e per la più parte molto guastati, un altro calice di buon disegno mostra sull'esterno lato un komos di alcuni giovani con faci e tazze nelle mani, a cui s'aggiungono nell'interno due giovani ballanti, l'uno di essi con face. Nell'interno d'un altro calice scorgesi un giovane, appoggiato ad un bastone in faccia d'un'erma di Priapo. Un altro calice di forma bella, ma nell'esterno senza figure, presenta nell'interno un cavaliere mal disegnato. Sulla pancia rossa d'un balsamario nero di grandezza straordinaria vedonsi dipinte, negligentemente disegnate in colore nero, le figure d'un uomo e d'una donna in vivo colloquio, ed accanto ad esse, quelle di due persone con bastoni: sul collo del medesimo due Satiri ed una Ninfa ballanti. Aggiungonsi a questi alcuni frammenti di vasi provenuti dagli stessi scavi, per la più parte di poco rilievo; distinguesi però fra essi, per disegno bello e stile finissimo, il frammento di un vaso, della cui rappresentanza altro non si osserva che una mezza figura di un giovane colla spada sfoderata, procedente a passo veloce verso un'altra figura abbigliata di lunga veste, che, a quanto appare da quel poco che ne resta, sembra di donna. L. SCHMIDT. 150 ANIMADVERSIONES IN NUMMOS ROMANOS SAECULI AUGUSTEI. Homines eruditi queri solent de studio nummorum imperatorum Romanorum sterilescente, cum amplissima illa veterum numismatum series iamdudum omni ex parte illustrata sit, nec prope ullo novo cimelio in apricum prolato, aetate nostra augeatur. Verum, ut de aliis sileam, cl. Borghesius in decadibus suis praestantissimis de nummis familiarum Romanorum, imperatorios quoque identidem attingens, complura in his esse, quae diligentiam doctrinamque archaeologi exspectarent, ostendit et comprobavit. Cum igitur observationes nonnullas eosdem in nummos congessissem, laudati viri aliorumque animadversionibus adauctas, eruditis eas proponere in animum induxi; quo fiet, ut veluti supplementum aliquod haud plane inutile eximiae Eckhelii Doctrinae, hac praesertim parte prope perfectae, benigno lectori exhibeam. C. IVLIVS CAESAR. 1. CAESAR, Elephas priore pede serpentem calcans. Simpulum, aspergillum, apex, et acieris seu securis pon tificalis. AR. Denarius hic, prae ceteris obvius, signatus est a Caesare ante annum U. C. 705 (aderat enim in thesauro Cadriani, aliisque eiusdem aetatis), post annum autem 691, quo pontificatum maximum obtinuit, uti alio loco docui (Saggio p. 86). Nec audiendus Bianconius, qui eum alicui e dictatoris maioribus tribuendum esse censet (cf. Schiassi, Ritrovam, di med. fatto a Cadriano, not. 4). Elephantem Punica lingua appellari caesarem, ex hebraicis et phoeniciis documentis vindicari non potest (Gesenius, Monum. Phoenic. p. 391). Acieris seu securis pontificalis (non secespita, uti habet Eckhelius) ca |