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Ultoris Augustus quidem dedicavit, sacra vero omnia Caio et Lucio agenda commisit (Dionis fragm. ed. Morellii p. XXX, LII): καίτοι τῷ τε Γαΐῳ καὶ τῷ Λουκίῳ πάντα καθάπαξ τὰ τοιαῦτα ἱεροῦν ἐπιτρέψας. Ceterum hi denarii tam ingenti copia adhuc superstites sunt, ut plebei eos numeratos esse crediderim anno 752, quo Augustus cos. XIII sexagénos denarios congiarii nomine viritim distribuit. Ea millia hominum paullo plura quam ducenta fuerunt (Mon. Ancyr. tabula III a laeva).

Nummis Caii in Graecis urbibus signatis, quos Eckhelius recensuit, nummum Balburae addendum esse alias monui (v. Monnaies de la Lycie, p. 29). In nummo Smyrnaeorum (Eckhel, p. 171) Caii caput radiatum proponitur, cui stella maxime fulgida adstituitur; qui quidem nummus signatus esse videtur anno 754, quo Caius consul contra Parthos in Orientem profectus est, cuius insignia et honores adulatio Graeca Caio impertiri potuit. Athenienses Caium NEON APH (C. I. Gr. n. 311) appellant.

C. CAVEDONI.

INTORNO LA PITTURA POMPEJANA

RAPPRESENTANTE I DODICI DEI.

(Tav. d'agg. K)

Chiunque ha visitato Pompei non può non rammentarsi nè del vicolo detto de' dodici dei (segnato col n. 75 nella pianta del Bonucci del 1849), nè della dipintura che ad esso vicolo procacciava siffatta denominazione; ora importa di rilevare che quello importante subietto rappresentato in modo non comune, chiama a considerare nella dipintura i pregi particolari che vi si annidano. È un fatto che finoadora non si ebbe cotal monumento nella considerazione che meritava;

e mi sembra che argomento bastevole a conchiudere siffattamente possa ritenersi quello che nelle Pompejana di Gell e Gandy, tav. 76, il disegno che si pubblicava, era cotanto imperfetto: ed io medesimo, il confesso ingenuamente, quando trattai in accademica dissertazione de' dodici numi della Grecia (1) e intendeva a dimostrare per sufficienti esempj la varietà de' numi che gli antichi, sì Greci come Romani, si piacquero adorare, senza scostarsi però mai dal fisso ed immutabile numero duodenario delle principali loro divinità, reputai più confacente trasandare la pompejana dipintura, di cui si vuol ragionare, di quello che valermene, non avendo altra scorta che il mentovato disegno. Fui per conseguente assai lieto di riprendere a disamina esso monumento col testimonio di nuovo disegno, copiato per trasparenza sopra l'originale per le zelanti cure del cav. Guglielmo Zahn, che intende a farlo quanto prima di pubblica ragione (2) e che, non ha guari, il proponea alle osservazioni degli archeologi berolinesi (3). Nella quale circostanza quel complesso di numi disposti linearmente in un ordine superiore, e sovrastanti ad altro ordine, in cui due solenni dragoni fiancheggiano una emblematica cista, o vogli altare, consuvvi alcune frutta (4), mi parve assai più singolare di quello che mi rimembrava la memoria di averli notati per lo innanzi. Corrispondono essi alle più note immagini dei dodici dei tanto pel duodenario lor novero, quanto per la scelta speciale degl'iddii.

(1) Gerhard, über die zwölf Götter Griechenlands, negli Atti dell'Accademia di Berlino del 1840.

(2) Nella terza serie della sua grande opera di monumenti pittoreschi d'Ercolano e Pompei (Berlino presso Reimer).

(3) Nell'adunanza della Società archeologica di Berlino de' 5 giugno 1848; v. l'annata settima del mio Giornale (Archäol. Zeitung, ossia Denkmäler und Forschungen 1849: Anzeiger n. 6. 7).

(4) Resta oscuro il significato di due personaggi togati che stanno in piede sul dorso d'uno de' detti serpenti,

E basta appuntar l'occhio sul disegno da noi sulla tav. d'agg. K apprestato, e che dobbiamo alla gentilezza del sig. D. Giulio Minervini (1), per persuadersi ivi essere tutte le più ovvie divinità dell'olimpo, conforme al celebre verso di Ennio:

» Juno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, Mars
Mercurius, Iovis, Neptunus, Vulcanus, Apollo. »

Nondimeno s'incontra qualche perplessità, volendo distinguere con tutta sicurezza nelle quattro donne del disegnato le quattro dee Giunone, Vesta, Cerere, Venere, imperciocchè, come nei prefati versi del romano poeta, così anche nella nostra pittura, l'ordine, con cui sono disposte le ritratte deità, si allontana da quell'antica osservanza, nota da bassirilievi d'arcaico stile, e per la quale ogni nume mascolino è accompagnato colla dea del particolare di lui consorzio. Non per questo reputerei aversi ad appuntare il pompejano artista di arbitrio pel variato ordine de' suoi numi, essendochè l'aggruppamento centrale ch'egli adoperò, ci chiama a ritenere ch'egli fosse indotto a tanto da varietà di rito tra romano e greco:

(1) Il lodato nostro collega scrisse intorno a questo lavoro al signor Henzen in data de' 26 aprile 1850: Le invio il disegno de' dodici dei che ho fatto eseguire sotto la mia direzione dal sig. D. Andrea Russo. To desiderava fare eseguire una semplice rettificazione sul lucido tratto dal Gell (fatto peraltro con riguardo alle emendazioni del cav. Zahn); ma quando lo paragonai coll'originale, rimasi sorpreso della immensa diversità che si osserva in ciascuna delle figure. Conchiusi che fosse fatta quella incisione sopra un capriccioso croquis, e pensai che una simile pubblicazione non sarebbe stata degna dell' Instituto, nè di me stesso, alla cui fede si stava. Allora disposi che si eseguisse diligentemente un novello disegno, quantunque il dipinto sia molto deperito: per lo che deggio avvertirla che le teste sono pressochè perdute, e quindi ho fatto semplicemente indicare il volto, per quanto poteva dedursi dalle tracce esistenti, dalle quali non si desume affatto, se la testa di Giove fu barbata, o imberbe. .....Ripubblicato a questo modo, il dipinto può aversi come cosa nuova ecc.

essendochè mentre l'attica devozione, apparente da'bassirilievi greci, riuniva sulla medesima linea i principali numi della Ellenia, e però in sei accoppiamenti di analoga potenza gli rappresentava, il culto romano dei dodici iddii consenti non potea mancare di attribuire un supremo dominio a quella triade capitolina di Giove, Minerva e Giunone, la quale conforme in antico presso etrusche città, anche nell'epoca del romano imperio era salita in cotanta onoranza. Arroge che come in opere d'arte il ternario medesimo di Giove, Giunone e Minerva, col Sole, co' Dioscuri, con Bacco, Ercole e qualche altra divinità, forma talvolta uno speciale ceto di numi romani (1), senza nemmeno stringersi al novero già consecrato da' Greci e Romani de' dodici dii, così nel dipinto del nostro discorso, e forse in qualche altra composizione trovasi anche esso compiuto novero, riferibile al perfetto sistema de' numi principali, presentando peraltro nel suo centro (fig. 5, 6, 7) non già in greca foggia Giove e Giunone, ma secondo l'italico modo il triplice condominio d'ambidue essi iddii congiunti con Minerva. Gli è il vero che nel disegno gelliano Giove e Minerva solamente sono senza ombra di dubbiezza ritratti; anzi la donna al sinistro fianco di Giove, che in esso disegno sembra portare il giunonio ornamento in testa, così in quello dello Zahn, come in quello da noi pubblicato, non ne presenta veruna indicazione, laonde non è probabile che la specialità di siffatto ornamento sia sfuggita di vista ai disegnatori, mentre tanto il collocamento della diva, quanto lo scettro ch'essa impugna ci danno fondato argomento per dichiararla Giunone.

Se nondimeno cadesse a taluno in mente di rapportare cotale figura, piuttostochè a Giove, al Vulcano che gli è presso dall'altro lato (fig. 8), egli avria a trovarsi assai imbarazzato dalla evidenza che nè l'insieme dello aspetto nè alcuno spe

(1) R. Rochette, Mon. p. 395 (cf. pl. LXXII); Mus. di Mantova III. 13; Brunn, Annali d. Instit. XVI, p. 196.

ANNALI 1850.

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ciale attributo gli porgerebbe ragione per dichiararla una delle note consorti di Vulcano, vuo' dire Minerva, Venere, Cerere od anche Vesta. Al contrario ritenuto Giove consorto di Minerva e Giunone, siccome gruppo centrale del nostro dipinto, rileviamo, in gruppo d'altrettanti, Venere, il marito e l'amante (fig. 8, 9, 10), secondo Omero; cioè quanto dire Vulcano e Marte, e fra loro essa Venere medesima, la quale giusta il romano costume della Venere genitrice è quì vestita, non nuda, e fornita di scettro con regale adornamento sul capo. Corrisponde dall'opposto lato a siffatto ternario l'altro (fig. 2, 3, 4) d'Apollo citaredo, Diana cacciatrice, cui segue una capretta (1), ed altra dea riguardante Minerva, che gli è di costa. Dal disegno nostro e da quello dello Zahn mi persuado che questa ultima figura tenga nella sinistra mano una lunga torcia, attributo che forse potrebbe convenire anche a Latona, siffattamente riunita con Diana ed Apollo sopra celebri bassirilievi (2), ma che piuttosto dee riferirsi a Cerere, diva di assoluta necessità, là dove si assembrano i dodici dei. E nel nostro caso sarebbe a lei assegnato un collocamento convenientissimo tanto per la vicinanza di Pallade, quanto per certo parallelismo con Vulcano. Rimangono poi altre tre divinità non ancora da noi menzionate: e fra queste Nettuno (fig. 11), manifesto pel tridente e forse per la prora di nave, sulla quale sembra posi il destro piede, in atto di contemplare isolatamente tutto l'intero consorzio de' celesti numi, a' quali il dio de' mari uscendo dal proprio elemento si accosta: dissi forse, riguardo alla creduta prora di nave, perchè non sarebbe improbabile fosse scoglio quel rilevamento che, quasi cancellato, il durare de' se

(1) Conforme all'uso attico di sagrificare una capra a Diana Brauronia (Hesych. v. Bρuúpwv) ed a qualche altra immagine della dea stessa (Mon. d. Inst. XIV, A; Ann. II, p. 176 seg.)

(2) Millin Gal. XVII, 58. Fa mestieri peraltro di notare che in questo celebre bassorilievo arcaico Apolline è seguito da Diana, tenente una torcia, mentre Latona che vien appresso, tiene uno scettro.

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