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pline. Delle modificazioni essenzialissime cagionate da simili minuzie, di cui i begli spiriti tanto tra gli archeologi, quanto tra gli artisti forse si burleranno, non si fa menzione da nessuno scrittore, mentre queste statue si tormentano e si sono tormentate colle misure del compasso in maniera del tutto inconcludente.

Nel fregio del Partenone, dove un tentativo coscienzioso e metodico di ristauro prometteva risultati molto più importanti e reali, non si è da nessuno seriamente pensato a simile lavoro; ed i giuocarelli a cui è stata degradata questa opera senza pari tanto da artisti senza vocazione, quanto da archeologi spensierati, mostrano soltanto, con quale indifferenza tutti gli ammiratori delle bellezze formali di quel mirabile poema sono passati da più di trent'anni sotto quelle selve d'idee, senza curarsi punto della precisa loro natura. Gli artisti sogliono dichiararci da principio che non vale la pena di mettere mano a simili lavori di supplemento, ed essi hanno ragione, in quanto credon loro dovere di gareggiare colle bellezze degli originali; ed i dotti, spaventati da asserzioni di questo genere, dovrebbero almeno starsi cheti per rimanere con essi perfettamente d'accordo nell'ammirazione silenziosa. Chè siccome non conviene di mettere mano all'emendazione ed all'interpretazione d'un poeta greco a chi non ha cognizioni profonde della metrica, così l'archeologo, il quale non sa dirigere la mano d'un artista, capace di dar ragione delle forme mutilate d'antichi monumenti, non deve mettersi al cimento di sottoporre rappresentanze di questa estensione ed importanza ad una critica più elevata. Le linee di supplemento non dovranno, è vero, considerarsi quali tentativi di rigenerare la perduta bellezza, ma piuttosto come linee ausiliari di matematica, le quali non hanno altro scopo se non di farci conoscere la natura delle figure questionabili. Ma forse il significato di simili progetti si spiegherà viemeglio mediante la comparazione coll'apparato critico aggiunto ad un testo resti

tuito, che pure non è oggetto di ozioso divertimento, ma fa le veci d'un indispensabile documento. Siccome ora un poeta non darà che rare volte un'occhiata a simile selva di tradizioni, così non si ha da aspettare che un artista si prenda cura di siffatti lavori preparatorj. Ma per tali e non per i risultati delle richieste ricerche hanno da considerarsi i lavori in quistione.

Gli avanzi del sepolcro di Harpagos, che Sir Charles Fellows, Account of the Ionic Trophy Monument excavated at Xanthus, London 1848, ha riunito mediante ingegnoso progetto di ristauro ad un architettonico insieme, possono suggerirci assai opportunamente una idea del modo, in cui i marmi di Boudroun saranno stati impiegati per ornamento d'un simile monumento. Secondo ogni probabilità pure il sepolcro di Mausolo è stato decorato da diversi fregj o almeno da parecchj sistemi di scultura, al che sembra alludere il rapporto di Plinio. Siccome nel libello del Bizantino Philo sui sette miracoli del mondo la parte contenente la descrizione del sepolcro di Mausolo è mancante e gli altri autori non ne fanno motto che in maniera assai generale, usando delle espressioni del tutto vaghe, così ci servono di sostegno esclusivo la comparazione di fenomeni analoghi e le poche, ma questa volta ben intese, indicazioni di Plinio. Queste sembrano accennare espressamente bassorilievi eseguiti da' quattro maestri, attesochè la parola caelavit non potrà in quel contenuto riferirsi ad altro fuorchè ad opere a bassorilievo. Il suddetto monumento di Xanthos c'indica l'uso esteso che gli antichi solevano fare di simili zone figurate; e questo esempio più che mai ci conferma nella convinzione che i nostri marmi siano i rimasuglj d'uno de' fregj da cui era circondato il Mausoleo di Alicarnasso.

Mi dispiace di non aver avuto opportunità di dare una guardata alla dissertazione del Caylus su questo argomento, che trovasi nel vol. XXVI degli Atti della Accad. di B. L. a Parigi p. 321. Per quanto n'abbiamo saputo, anche questo dotto si giovò fin d'allora della comparazione d'un simile mo

numento sepolcrale scoperto in Africa, il quale forse riceverà nuova importanza, mediante il confronto col progetto di ristauro di Sir Charles Fellows. La medaglia di Giovanni de Balsamo, la quale esibisce una veduta del Mausoleo, è manifestamente un prodotto di falsificazione moderna e non merita perciò considerazione veruna.

Prima di conchiudere, ci rimarrebbe ancora da far menzione delle diligenti ricerche intorno alla topografia di Alicarnasso istituite da Charles Newton; ma siccome queste sono fatte in un senso affatto imparziale e non entrano nei meriti della quistione intorno al collocamento originario de' nostri marmi, così si dovrebbe tornare un passo addietro, muovendo la domanda, se e come i frammenti tolti dal posto in un'epoca assai rimota possano accordarsi, oppure mettersi in una sorta di rapporto qualunque colle tradizioni ed indicazioni da esso dotto raccolte? Intanto basti a' nostri lettori il ben noto fatto che esse lastre stavano sin da' tempi di mezzo incastrate nelle mura delle fortificazioni turche di Boudroun, a cui il Mausoleo probabilmente avrà fatto le veci d'una cava di pietre, come è accaduto con molti altri monumenti d'analoga estensione, che sempre sono stati più esposti.

Non possiamo dar termine a questa dissertazione preliminare intorno a' marmi di Boudroun, senza toccare almeno di volo la quistione intorno al rapporto che può aver sussistito tra un sepolcro e particolarmente tra quello di Mausolo, con cui abbiamo messo in relazione probabile i bassorilievi provenienti da Alicarnasso, e le rappresentanze di combattimenti amazzonici di cui sono fregiati. Che un nesso tale d'idee abbia da supporsi in un monumento, a cui hanno messo mano i principali artisti d'un'epoca ancor piena di poetico volere, non vorranno negare quei che si sono internati un po' più profondamente nel contenuto spirituale della storia dell'arte greca. In tempi più recenti potrà essere successo che artisti, prevalendosi de' motivi e persino delle composizioni già esistenti,

abbiano a solo fine di accarezzare i sensi con bellezze formali soltanto, impiegato simili scene di combattimento in ogni occasione anche in un modo piuttosto arbitrario: ma in una serie d'artisti, a cui Scopa è duce, non deve credersi probabile un giuoco insensato di mitiche configurazioni.

Supposto che questi bassorilievi appartengono realmente al famoso sepolcro di Mausolo, potrà appena immaginarsi un ornamento più bello e significante per eternare la memoria d'un re sì bellicoso, che appunto la guerra d'esterminio fatta dallo stesso Ercole contro quella stirpe di femmine, la quale si mostra implacabile nemica de' Greci, erompendo di bel nuovo da' suoi recessi dopo ogni disfatta, non altrimenti che le teste dell'idra prendono nuova vita da recenti colpi. La predilezione particolare, con cui questo subbietto vedesi quì trattato, sembra mostrare l'intenzione dell'artista di ritrarre le vicende d'una vita ripiena di eroiche fatiche mercè di una serie di rappresentanze simboliche ed ideali, che in molti punti sembrano alludere a cose reali. Allora che ci riuscirà di comprender viemeglio simili incidenze, ne sarà promossa in modo essenziale non solo la cognizione dell'epoca, ma anche delle tendenze artistiche di Scopa, col quale questi monumenti, che che sia del loro originario destino, hanno in ogni modo da mettersi in rapporto diretto ed immediato, come abbiamo cercato di mostrare. I vantaggi, che alla storia dell'arte ne derivano, sono dunque importantissimi, e deve sperarsi perciò che siffatto tesoro dia luogo a ricerche critiche e dotte sì, ma istituite a mente serena.

E. BRAUN.

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VASO RUVESE

CON RAPPRESENTANZE DI PELOPE E LICURGO.

(Mon. dell' Inst. vol. V, tav. XXII. XXIII.)

I dipinti vasculari che vedonsi incisi sulle tavole XXII e XXIII de' Monumenti, fregiano i due lati di un bel cratere di Ruvo, già in possesso del fu signor Steuart, e del quale fu data una breve descrizione nel Bullettino 1846, p. 88. Le rappresentanze facilmente riconosconsi come prese dalle favole di Pelope e di Licurgo, l'una e l'altra conosciute tanto per diverse memorie scritte, quanto per monumenti dell'arte. Profittando di tali circostanze, potrò per l'intelligenza di questi miti in genere rimandare i miei lettori ad alcune dissertazioni anteriori; ed io senza inutili ripetizioni entrerò nella spiegazione del nuovo monumento ruvese. L'argomento del mio discorso necessariamente si divide in tre parti: dobbiamo cioè considerare ciascuno de' due dipinti per se stesso, poi indagare il rapporto che passa tra l'uno e l'altro.

Comincierò da quello che è composto di un numero più ristretto di figure. Esso per il suo argomento ha la più grande analogia con un altro vaso, pure ruvese, pubblicato nei nostri Monumenti inediti vol. IV, tav. XXX e da me spiegato in questi Annali 1846, p. 177 seg. Non può esser dubbioso che in ambedue si tratta dell'ajuto, che nella famosa gara con Enomao venne prestato a Pelope per opera di Mirtilo; e per dirlo anche più precisamente quì in principio, non vien rappresentato quell'ajuto stesso, ma i trattativi precedenti tra Pelope e Mirtilo. Per la scelta di tal momento questi due vasi con un altro del Museo borbonico (Neap. ant. Bildw. p. 284. n. 971) si distinguono da tutti gli altri finora conosciuti del mito di Pelope. Ma, nonostante quest'analogia, anche tra essi passa grandissima differenza. Nel primo (come voglio chiamar quello da me pubblicato quattro anni fa) le quattro figure prin

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