d'Ercole, al quale tanti monumenti anche da nostri singolari furono eretti. Un'altra particolarità de loro monumenti si è che, oltre l'erede, spesse volte si nomina anche un secundus heres, la cui indicazione vien variamente abbreviata. Osservò già il Marini (Arv. p. 549) che l'uso di istituire un secondo erede, è quasi ristretto a' nostri singolari, non trovandosene, se non pochissimi esempj fra le iscrizioni di altri militi, a' quali può aggiungersi anche il SVBHEres d'una lapide della flotta ravennate (Card. dipl. 120). È del resto un costume naturale assai fra' soldati, che, ucciso il primo erede, subito c'era chi entrasse nei suoi diritti. XVIII. Vorrei, come ho potuto scuoprire l'epoca probabile della istituzione degli equiti singolari, così essere nello stato di indicare almeno approssimativamente il tempo, quando furono aboliti; ma mancanci le date assolutamente. Soltanto osservo che i molti Giulj, ascritti fra gli equiti nostri, e che abbiamo veduto non poter riferirsi al primo secolo, possono in parte richiamare il tempo degli imperatori di tal nome nel secolo terzo, i Giulj Massimino, Massimo, Filippo; quantunque il nome Giulio anche in tempi anteriori si trovi ne' ruoli dei singolari. Ne cito, per non moltiplicare esempj, i due titoli spesso ricordati dell'epoca Severiana (Mur. 347, 2- Kell. 106; 351, 1). Ma chechenessia, certo si è che sotto l'imperatore Treboniano Gallo il corpo degli equiti singolari tuttora esisteva. Ella, signor conte, mi comunicò fra gli altri materiali anche il seguente titolo di Bracciano, mandatole dal ch. Melchiorri che lo trasse da un manoscritto dell'archivio capitolino: D. M. VIBIO SEVERINO EX EQVITE VIBIVS VRSINVS FRATRI SVO... CARISSIMO AVG. C In parentesi trovo aggiunto all'ultima riga vel AVG. L, non so se per emendazione di lei, oppure per incertezza della lezione nel codice. In ogni caso Augusti libertus è la sola spiegazione possibile, sebbene non possa negarsi che esse parole sono poste in un luogo insolito. E rinnovasi poi la medesima argomentazione che prima istituimmo a cagione d'un Ulpio che per fratello ebbe un Ulpius Augusti libertus. Se, cioè, il fratello era liberto dell'imperator Vibio, ed ebbe da lui il nome gentilizio, non era certamente di famiglia romana; nè l'eques singularis perciò poteva chiamarsi Vibio, se non aveva assunto tal nome dall'imperatore che l'arruolò fra le milizie. Un Valerius Iustianus, di un titolo d'ortografia assai rozza (Fabr. p. 388, n. XXXXIII), ci porterebbe almeno all'epoca di Diocleziano, se egli potesse provarsi essere così denominato dal nome d'un imperatore; ma manca questa prova, mentre Valerii equiti singolari esistono pure nel poc'anzi citato monumento dell'anno 205 (Mor. 351, 1). Contuttociò anche senza documenti positivi resta probabile, che gli equites singulares abbiano formato la guardia del corpo degli imperatori fin all'epoca di Costantino, il quale, fra le molte rinnovazioni che introdusse sì nella corte e sì nella milizia, avrà pure abolito questa truppa. Chè dopo di lui non n'abbiamo veruna notizia; mentre avrebbe dovuto almeno farsene menzione nella Notitia dignitatum, se ancora esistevano a quei tempi. Solo rimase in uso il loro nome per designare i corrieri del governo, come abbiamo rilevato dal più volte citato Gio. Lido, ed in tal significato tornano in fatti anche nella Notitia negli ufficii di diversi magistrati. XIX. E qui pongo fine al mio discorso. Molto potrebbe aggiungersi da chi volesse illustrare le singole iscrizioni dei singolari, segnatamente riguardo a' paesi, di cui sono nativi; ma questo rimane lontano dallo scopo mio, che non ebbi altra intenzione se non di chiarire la quistione, finora spesso tentata, ma non mai trattata a fondo, sullo stesso corpo di esse guardie imperiali. Intanto perchè nessuno ancora sia tratto in inganno per mezzo delle iscrizioni false, che si spacciano sul conto de' singolari, citerò quì quelle che non furono già come tali condannate nel corso della dissertazione stessa, seguendo anche in ciò le notizie ch'ella, sig. conte, mi fornì ne' più volte citati materiali da lei raccolti. Sono adunque: Grut. 448, 8; 639, 2; Murat. 816, 5; 742, 7 = Or. 3397; Fabr. 691, 108 = 751, 590; 77, 79 = Reines. 1, 295; Gud. 298, 11; 156, 10. La Gruteriana 367, 2 poi è una copia scorrettissima dell'iscrizione riferita dal Grut. 529, 5 (Or. 3592). Roma, nel settembre 1849. G. HENZEN. PERSEO. (Tav. d'agg. A.) Si sa generalmente aver favoleggiato i Greci che la testa di Medusa impietrasse chiunque osava mirarla (1), e che ciononostante fosse riescito a Perseo di reciderla, vedendola riflessa nel terso acciajo dello scudo (2), o in uno specchio (3). Non è bensì ovvia la tradizione che Pallade avesse mostrato a quell'eroe la effigie di sì formidabile capo: ed a ciò appunto riferiscesi la pittura che or prendiamo ad esaminare (4). (1) Questo mito, proprio dell'Argolide, è narrato dal più antico prosatore e dal più vetusto poeta dei Greci, leggendosi in un frammento di Ferecide (pp. 95-7, pr. ed., Sturz) e nel carme sullo scudo di Ercole (vv. 216 e segg.) che si attribuisce ad Esiodo; il quale ne avra fatto altres menzione nel poema detto Hoid ο Μεγάλοι Ηοῖκι, in cui celebrò le donne amate dai numi, e dovè quindi raccontare i casi di Danae e le gesta di Perseo. (2) Apollodoro, II, 4, 2. (3) Zeze, com. a Licofrone, v. 838. (4) Il dipinto, di cui si ragiona, orna un cratere, di greco lavoro, che fu riposto in una tomba appartenente al poliandrio od antico cimi Perseo, nudo quasi del tutto e senz'altro distintivo che gli alati talari (1), appoggia sopra un' alta roccia il piede sinistro e l'asta che impugna con la mancina; mentre con l'altra mano addita un picciol fonte, sul quale abbassa la persona e lo sguardo. Dietro a lui è appesa una benda che denoterà un qualche religioso edificio (2). Rimpetto a Perseo siede in alto Minerva (3), la quale, posato a terra lo scudo, imbrandisce con la mano stanca una lancia e solleva con la destra il gorgonio che si riflette nella indicata fonticina, le cui acque sono arginate da mucchi di pietre. Vicino a quei sassi e rasente il fianco di Pallade sorge un pollone della pianta a lei sagra. Osservando il capo pietrificante in mano a Minerva, supporremmo di leggieri che questa dea ne apparisca da gorgofone, essendo stata fama che avess'ella dato la morte a Medusa (4). Ma non esiteremo ad abbandonare siffatta congettura, tostochè volgeremo gli occhi a quei particolari del quadro, da cui chiaramente si scorge esserne allusivo il soggetto all'accennata tradizione, secondo la quale Minerva, nel commettere a Perseo di troncare la gorgonea testa, gliene mostrò la terio di Ruvo. Questo vaso è or posseduto dal sig. R. Barone, negoziante di antichità in Napoli. (1) Nel dargli cotal distintivo ha usato il pittore, come fecero sovente gli artefici antichi, una prolepsi o anticipazione; giacchè non furon consentiti siffatti coturni a Perseo, se non quando egli era presso ad assalire le Gorgoni, e però dopo che gli si mostrò da Pallade l'immagine della testa di Medusa. (2) V. Annal. Archeolog. XIII, 127 (2). (3) L'esser posta Minerva in un luogo elevato ne fa opinare che le converrebbe il soprannome di acria (axpix: l'alta, l'eminente); con la quale invocazione fu adorata questa dea, protettrice dello argivo eroe, in un tempio erettole nella sommità della rocca Larissa, che fu l'acropoli di Argo. Confrontisi Pausania II, 24, 4 con Esichio, v. 'Azpix. Παλλάς (4) Пaλλás... Пopyopóve: Inno orfico XXXI, 1-8; V. Euripide, Ione, 1006; Apollodoro, II, 4, 3; Servio, com. alla Eneide, II, 616. immagine disegnata da lei in un luogo di Samo che da ciò fu detto Δεικτήριον, ossia mostra (1). Invece bensì del ritratto della Gorgone, è proprio il suo capo che, riflesso nell'acqua (2), si fa quì vedere da Pallade allo argolico eroe. Deesi quindi opinare che il pittore del vaso abbia seguito una diversa narrazione della stessa leggenda, ovvero che siasi fatto lecito di alterarla. Nulla per l'opposto v'immutò l'incisore di un insigne specchio etrusco della galleria di Firenze, nel quale vedesi Minerva in atto di mostrare a Perseo l'orrendo volto di Medusa segnato in terra dalla dea col ferro dell'asta (3). Ma se la nostra rappresentanza ritrae meno fedelmente di questo graffito od intaglio la ridetta tradizione, è per altro meglio appropriata alla simbolica natura dei suoi personaggi. Imperocchè, l'immagine dell'acqua richiama alla memoria la origine dello argivo eroe, e la riflessione del gorgonio in quelle onde sveglia l'idea della, luce ch' emana dagli astri rappresentati dallo stesso mitologico guerriero e da Minerva. A schiarimento di ciò fa d'uopo toccare della favola relativa alla nascita di Perseo, e del sidereo carattere, attribuito sì a questo eroico personaggio e sì alla dea che gli è di presso. Acrisio, che personeggia lo alpestre, erto (os) suolo dell'Argolide (4), condanna sua figlia Danae, cioè quell'arida (1) Etimologico grande, v. Sexvýpov. Nella sopraccitata glosa di Zeze si ha una variante di questa stessa tradizione; dacchè vi si narra, come Pallade avesse mostrato a Perseo taluni quadri in cui avea ella dipinto la effigie di Medusa. Cf. Panofka, Res Samiorum, p. 3. (3) Nel fondo interno di parecchie vasche antiche venne scolpito il gorgonio. Sarebbe mai ciò allusivo alla mitica narrazione ritratta nel nostro vaso? Questa probabile congettura m'è suggerita dall'egregio e dotto mio amico e collega sig. D. Agostino Gervasio. (3) Dempster, Etruria regal., II, tav. V; Guigniaut, Relig. de l'antiq., tav. CLXI, 610. (4) Müller, Prolegom. Mytholog. p. 249-50 ed. ingl. |