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regione (1), a perpetua sterilità: ma Giove, ossia l'etere (2), scioltosi in pioggia d'oro, vale a dire fertilizzante, le scende in grembo e la fa madre di Perseo (3). L'acqua perciò, come elemento generatore di questo simbolico eroe, è opportunamente indicata in una pittura che ricorda la più gloriosa delle sue gesta,

Non vi ha poi dubbio che questo mitico campione fosse riguardato in un aspetto siderale, affermandosi da taluni antichi scrittori ch'ei non diversi punto dal Sole (4). Nè tampoco si può mettere in forse che siasi considerata Pallade come

(1) La simiglianza tra le voci danae e danos (davòç: arido) induce a credere che la prima di esse derivi, siccome l'altra, dal verbo duie: ardo, inaridisco.

(2) Cicerone, de nat. Deor., pp. 318 e segg.; Creuzer.

(3) Riguardandosi Perseo in tal punto di vista, considerato, cioè, come prodotto della terra resa feconda dalle pioggie, non può comparire altra cosa che un simbolo della vegetazione. Bisogna bensì confessare che non sia ciò comprovato da esplicite autorità di antichi scrittori: nulladimeno ci è dato allegare in suo appoggio parecchi argomenti, il più calzante dei quali ne vien fornito dalla pianta omonima dello argolico eroe. Ignorasi, è vero, a qual genere di vegetabili corrisponda precisamente la persea; ma convengono tuttavia i botanici che debba essere un fruttifero arbusto, proprio del suolo africano (Dierbach, Flora Mytholog., §. 18). E che sia da riconoscersi tra le piante che ne apprestano alimento, si fa palese a chiunque ricorda essere stata sagra la persea ad Iside-Cerere (Plutarco, Iside, p. 548; Wyttenb. Diod. Sic. I, 34), alle cui immagini fu perciò apposta per attributo (Ateneo, V, 27); ond'è a presumersi, avesse rappresentato quella numerosa classe di vegetabili. Or, tra siffatto arbusto e Perseo vi sono tante congruenze che par si confonda in certo modo l'uno con l'altro; giacchè, non solamente ha questa pianta comune il nome col figliuolo di Danae, ma è altresì originaria, al pari di lui, dell'Africa (Nicandro, Contravveleni, 99 e segg.; Erodoto, I, 91); di più, emigra con esso dalle regioni etiopiche in Grecia; e finalmente mette radice nei campi di Micene, ov'egli ferma sua stanza. V. Nicandro, l. c.

(4) G. Lidio, Mesi, p. 168, Roether; Zeze, I, 296, Müller.

identica alla Luna (1); col quale pianeta s'immedesimava altresì il gorgonio; giacch'esso si avea dagli Orfici pel volto nel disco lunare (2). In siffatto modo, le relazioni di Perseo con Minerva e con Medusa sono quelle medesime che passano tra i due luminari del cielo. Parrebbe adunque che il mito, ond'è tolto l'argomento del nostro quadro, spettasse del tutto alle celesti sfere; e pure si riferisce ugualmente alle regioni infernali.

Sappiamo, in fatti, che la testa di Medusa sia stata attinente alle infere sedi (3), e che questa Gorgone fosse tenuta infernale (4): or, siccome Minerva s'identificò affatto con essa (5), così ebbe necessariamente a partecipare del suo tartareo carattere. E quanto a Perseo, se dovessimo giudicarne dal nome che ha comune la derivazione ed il significato con

(1) Istro presso Arpocrazione, v. Terounvis; Aristotile, citato da Arnobio, p. 118, Maire; Plutarco, del disco lunare, §. 24. È bensì ad avvertirsi che siffatta opinione fu propria delle religiose dottrine dell'Attica, come raccogliesi da un luogo di Ulpiano (com. a Demostene, oraz. contro Midia, p. 691, ed. 1604) e dalle molte medaglie di Atene in cui veggonsi segni lunari associati alla effigie di Minerva,

(2) Clemente Alessandr. Preparaz. V, 8, 50. Quindi è che il gorgonio nelle monete di Populonia, le quali hanno talvolta la epigrafe PVPLVNA, simboleggia la luna, per fonetica o vocale allusione al nome di quella città, secondochè ha sagacemente osservato il ch. duca di Luynes (Études numismat., p. 54 (1), e, dopo di lui, il ch. Cavedoni nello Spicilegio numismat. p. 20.

(3) Odissea, XI, 633. cf. Luynes, op. cit., p. 75 e segg.

(4) Nel poemetto sulle pietre preziose, che si attribuisce volgarmente ad Orfeo, vien caratterizzata questa Gorgone qual nera Furia, dallo sguardo infernale: Εριβώπεδα, Κήρα μέλαιναν: 5. XV, 35.

(5) Minerva fu detta Gorgone da Euripide sì nella tragedia di Elena, 1316, e si in un frammento dello Eretteo. V. Euripidis fabular. fragm. p. 122, Bothe. Questo stesso nome le si diede generalmente da quei di Cirene (Palefato, c. 32); lo che non dovea tacersi dal Thrige nella erudita sua opera sopra l'indicata città: Res Cyrenensium, Hafniae, 1829, 8.

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quello della regina dell'Erebo (1), avremmo a presumere, vi fosse stata tra l'uno e l'altra una qualche analogia. Ma sia di ciò che si voglia, è certo essersi creduto il nostro eroe figliastro di Polidecte (2), ch'è come dire di Plutone (3); a cui appartenne quel portentoso cimiero, quell'elmo dotato della proprietà di rendere invisibile chiunque ne andava coperto (4); che si adoperò da Perseo nella spedizione contro le Gorgoni e fu quindi uno dei suoi distintivi; al pari dell'aurea spada, la quale servì medesimamente a caratterizzare un demone infernale, il genio, cioè, della morte (5). Nè la qualificazione di catactonia o sotterranea deità (6) è incompatibile con quella di nume solare che attribuirono, come abbiamo già avvertito, i Greci all' Ercole argivo; dacchè può credersi che lo avessero

(1) Il nome dello argolico eroe e la voce perse in quello della sovrana dell' Orco derivano ugualmente dal verbo pw: distruggo; ond'è che così l'uno come l'altra accenna alla idea di esterminio che si espresse dai Greci col vocabolo nέços, similissimo ad entrambi. Nè ciò è sfuggito del tutto alla sagacità del Müller (Prolegom. Mytholog., XIV, 2) e del Creuzer, Symbol., 1. VIII, sez. I, c. ult.

(2) Igino, fav. LXIII.

(3) È noto che lo aggiunto polidecte (oudéztas: che riceve molto) fu usato alle volte in forza di sostantivo a significare Plutone. V. l'Inno omerico a Cerere, 9, ed ivi gl'interpreti.

(4) Ho avuto occasione di notare taluna cosa intorno a questa celata negli Annal. Archeolog. X, 263.

(5) Che si fosse adattata di frequente la spada alle figure di Perseo, nelle opere delle arti antiche vien provato con assai esempli dal ch. Roulez nel Bullett. de l'Académ. de Bruxelles, XI, 8, p. 97 (2); e che quest'arma debba stimarsi aurea, ci si appalesa dall'epiteto zoop (armato di aurea spada) che si appropriò al nostro eroe. V. Orfeo, op. cit. XV, 41. Il medesimo aggiunto fu dato alla morte sì da Sofocle nell'Antigone, 610, come da Euripide nell'Alcesti, 75.

(6) Va quì notato che Perseo ricevè onori divini in Serifo (Pausania, II, 18, 1), e che fu riconosciuto come divinità dai Tarsensi: Dione Crisostomo, oraz. XXXIII, p. 24. Reiske.

considerato qual infero Sole a somiglianza di Plutone (1), di cui sarà egli stato una eroica forma.

Da tali osservazioni si fa pur manifesto, esser inerente al mito ch'esaminiamo, l'idea dell'antitesi o del contrapposto. Si è, di fatto, testè notato che i suoi personaggi fossero tutt'insieme corpi celesti e tartaree divinità; che il gorgonio rappresenti l'orbe lunare e sia nondimeno inabissato nelle ombre dell'Orco; che una dea essenzialmente lucifera, qual'è Minerva (2), si assimili affatto alla infernale Medusa; e che Perseo, tuttochè eroe eliaco o solare, fosse affine al monarca delle tenebre eterne. Questa idea di contrasto rivelasi ancora in ciò che concerne il gorgoneo capo; giacchè le sue fattezze sono quando mostruose e quando avvenentissime (3); una goccia del suo sangue dà subitamente la morte, ed un'altra rinvigorisce a un tratto la vita (4); ei suoi capelli, che per la esimia loro bellezza, aveano ispirato un empio e funesto orgoglio a Medusa (5), divengono spaventevoli, orrendi (6).

(1) NÀO!TY Ô ô ô ô gia "H)es: G. Lidio, Mesi, p. 286, Roether. In simil modo si esprime Porfirio presso Eusebio, Prepar. Evangel, III, 11.

(2) Non solo confondeasi con la Luna (V. sopra, p. 57, nota 1), ma s'immedesimava eziandio col Sole, siccome rilevasi da Macrobio, Saturn. I, 17, e da Giuliano apostata, oraz. IV, p. 149, B: ☎nv (`ASnvāv) ig ὅλου (Ηλίου) προβληθῆναι, συνεχομένην ἐν αὐτῷ.

(3) Vi ha su tal argomento una ingegnosa operetta di Levezow (über die Entwickelung des Gorgonen-Ideals. Berlin, 1833, 4): della quale è a vedersi l'accurato esame, che si dettò dal ch. duca di Luynes negli Ann. Archeolog. IV, 311-32.

(4) Euripide, Ione, 1018.

(5) Vien riferito da Servio (com. alla Eneide, VI, 289) che Medusa avesse osato preferire la sua chioma a quella di Minerva, la quale a punirla di cotanta temerità, ne convertì i capelli in serpenti, l'accecò e la fece decapitare da Perseo.

(6) Gli abitanti di Tegea pretendeano possederne una ciocca, a cui attribuivano la proprietà d'incutere sì veemente terrore che sarebbe stato, a creder loro, bastante mostrarla dalle mura di quella città per

Or, perchè mai si scelse un tal mito per argomento della pittura del nostro cratere? Ove si riflettesse che questo fittile venne deposto in un greco sepolcro e che furono usi gli Elleni di associare ai tetri pensieri della morte, e delle infere cose, idee opposte del tutto, ch'è come dire piacevoli e liete (1), comprenderebbesi tantosto la ragione di siffatta scelta. Imperocchè si avvedrebbe ognuno che a motivo appunto dell'accennata usanza dovè stimarsi appropriata alla dipintura di un vaso di funebre destinazione la nostra favola, come quella in cui le atre idee di morte, di tremendi spettri, di orrori infernali sono accompagnate, e, a dir così, lenite dalle consolanti immagini di lume vitale, di celeste splendore: sicchè qualunque rappresentazione di questo simbolico mito fu atta a commuovere l'animo col pensiero dell'ora estrema e coi timori dei tartarei supplicj, ed a sollevarlo a un tempo con la speranza degli Elisi che credeansi allegrati da serena luce di stelle e di sole (2).

F. GARGALLO-Grimaldi.

BASE TRIANGOLARE DI CANDELABRO.

(Tavv. d'agg. B. C. D.)

Il piacere, che risente l'archeologo, quando vede uscire dal seno della terra un nuovo monumento, viene spesse volte oscurato dalle difficoltà, che gli si presentano nello sciogliere i problemi, i quali emergono nella spiegazione forse in numero tanto più grande, quanto più importante e nuovo è tale

mettere in fuga qualunque oste ne avesse impreso l'assedio: Pausania, VIII, 47, 4; Apollodoro, II, 7, 3.

(1) Di siffatta costumanza si è per me ragionato negli Annal. Archeolog. XIX, 190-1.

(2) Eneide, VI, 640-1.

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