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Quanti grecismi non furono felicemente introdotti dal Chiabrera? quanti modi energici non si trovano nel Davanzati, ch'ei deve solo alla sua gara con Tacito? Il mal é che pochi fra noi conoscono le regole d'una sobrietà giudiziosa e d'una delicata desterità nel rammorbidire i colori stranieri: ove questa si possedesse un po' meglio, crederei che un certo misto di sapor peregrino e nostrale dovesse conciliar allo stile una novità piccante, e arricchir l'erario della nostra lingua, che parmi, checchè se ne creda, un po' scarso. Ohimè, io non volea fare che alcuni cenni, e a poco a poco ho fatto una dissertazione. Vaglia almeno la lunghezza di questa lettera a compensare la mia tardanza, se pur il compenso non è peggior della colpa. S'io avessi la fortuna d'esserle vicino mi sarebbe un vero piacere il trattenermi con lei sopra questi soggetti; e credo che non ci sarebbe difficile il persuadersi reciprocamente. La nostra coi munione deve essere in fondo la stessa, e quando ci fosse qualche diversità, è certo che fra noi non avrebbero luogo gli anatemi. Tornato in città donde fu lontano parecchi giorni, trovai la sua operetta latina di cui la ringrazio vivamente. Farà questa il soggetto d' un' altra lettera, ma la prevengo che questa non potrà essere molto sollecita. Mi conservi la sua pregiatissima grazia, e mi creda con vera e singolare compiacenza, ec.»

Alcune altre Lettere sono dirette all' Autore da una persona di moltissimo spirito, e che fece ne' suoi tempi la delizia delle più colte società d'Italia, e di Germania, ove si trattenne per vario tempo. Egli è l'Ab. Taruffi, che scriveva con molta gentilezza ed amenità. Molte delle sue Lettere sono in Italiano ma la maggior parte sono in Francese. Ci giova il riportar la seguente, ove mostra l'impressione che avea fatta in Roma la pubblicazione del 1.° volume del Corso Ragionato di Letteratura Greca.

MON RESPECTABLE AMI.

» En lisant votre premier volume que vous avez daigné m'envoyer sur la litterature grec que, je me suis souvent écrié avec transport: graces au ciel, il existe un italien qui ose penser et écrire comme il faut!! Les traits de lumière qui brillent dans votre plan, le ton mâle et philosophique qui anime vos discussions, le goût perpetuel qui caractérise vos connaissances: tout cela fait un ensemble merveilleux et presqu' inconnu au-deçà des alpes. Sans prodiguer votre encens à cette ancienne nation d'ailleurs aussi spirituelle qu' interessante, vous rendez constamment la justice la mieux raisonnée à ses belles productions: le flambeau de la critique à la main vous ne craignez pas la tyrannie du préjugé: vous réduisez à sa veritable valeur le mérite de ces eprits fameux qu'une idolâtrie stupide et tremblante n'osa jamais soupçonner de faillibilité. Voilà qui est digne d'un génie tel que le vôtre! pour ce qui est de vos traductions, je défie qu'on puisse tirer meilleur parti de la structure de notre belle langue pour la rapprocher de la langue la plus riche, la plus harmonieuse, la plus pittoresque qui fit jamais triompher l'eloquence. Il faut cependant vous avertir que votre noble émancipation de l'esclavage grammatical, et des entraves de la Crusca fait quelquefois frissonner d'horreur nos tendres puristes. Mais sur tout lorsque vous prenez la liberté de faire valoir à leur barbe quelque phrase énergique de Montesquieu, de Bolingbroke, de Voltaire ou de tel autre barbare de cette trempe: la pédanterie crie hautement qu'Annibal est aux portes, et tout de suite elle tombe en syncope. Autre plainte aussi pathétique de la part de ces admirables savans. Ils jurent avec une naïveté charmante qu'ils ne comprennent absolument rien ni à votre esprit d'analyse, ni à vos idées complexes, ni même à ces points de suspension, et à cette ironie fine et piquante que vous faites jouer avec tant d'adresse. Après tout, mon re

spectable ami, gardez-vous de prendre l'allarme, car enfin votre pardon est signé. La partie narrative de vos harangues traduites du grec, cette partie si simple, si coulante, si bien calquée sur le style du Décaméron, vous raccomode aisément avec nos Puristes. Cesarotti, di sent-ils en soupirant, Cesarotti n'aurait qu'à vouloir : eh! que ne veut-il toujours? Leur simplicité me fait sourire: mais enfin j'admire comme eux la souplesse de votre esprit qui sait adopter toutes les formes avec un succès marqué. Mais dites-moi un peu; quand est-ce que nous verrons paroître la suite d'un ouvrage si utile et qui fait tant d'honneur à l'étendue de vos talens? Est-il aussi permis d'espérer que vous nous donnerez tôt ou tard une traduction italienne de l'Iliade? Vous, dis-je, qui avez moissonné avec tant de gloire tous les lauriers de l'Homère celtique; vous, qui répandez des torrens d'une versification aussi aisée que majestueuse et enchanteresse; vous qui êtes infiniment plus ort dans le grec que le célèbre Pope si prôné per sa traduction anglaise ? De grace pardonnez-moi cette espèce d'indiscretion. Nous autres fainéants, ou pour mieux dire, incapables de faire rien qui vaille, nous sommes par malheur très-fertiles en interrogatoires. Ce qui met le comble à notre impertinence, c'est que nous nous imaginons d'avoir un droit acquis à tout prétendre de la part des génies de la première classe. Quoiqu'il en soit, malgré mon silence de plusieurs années, les sentimens de mon estime à votre égard ne se sont jamais démentis, et ne se dém entiront jamais. C'est avec extase que j'ai parlé de vous à M. L'Abbé Meneghelli qui vous connoit sans doute de plus près, mais pas plus intimément que moi. M. lePrelat Flangini très-digne de figurer dans votre ouvrage sur la littérature grecque: M. L' Ambassadeur de Venise, personage aussi aimable qu' éclairé: M. le Sénateur Quirini, cet amateur passionné des Arts et des Belles lettres m'ont souvent entendu

faire écho à vos louanges. Je n'en dis pas davantage, crainte de tomber en fadeur ou d'adopter le langage de la flatterie qui nous blesseroit tous les deux. Je finis par vous remercier du souvenir dont vous m'honorez, et qui m'est infiniment précieux.»>

La lettera che segue contiene una consolazione amichevole contro le satire che uscirono in quel tempo contro l'Ab. Cesarotti, ed alle quali pare ch'ei fosse un po' troppo sensibile. E in ciò egli prese certo miglior risoluzione negli ultimi anni della sua vita, lasciando gracchiare non solo coloro, i quali com'ei solea dire lepidamente, hanno acquistato l'impunità nella Repubblica delle Lettere, ma quelli ancora, che appartenendo ad una fazione, non sanno stimare se non i loro; quelli, che non vogliono riconoscere che con quindici anni di meno, si può avere ingegno di piu; e quei finalmente, che applaudendosi della lor corretta mediocrità, e come le lumache non rompendosi mai le gambe, non perdonano giammai a qualunque più piccola superiorità in fatti non vi è segno meno equivoco, dal quale conoscer si possá che un componimento ha qualche merito quanto le invettive di quelli, che son punti nella loro mediocrità. Chi conosce non direm tra gl'Italiani, ma fra i Francesi pure un Faydit? E bene, questo Scrittore, crede di valere almeno quanto Fenelon; e allorchè comparve il Telemaco, ei compose un volume di 477 pag. nel quale credè di provare che quel divino libro era pieno di difetti, ed indegno dell' autore: ch' era fatto per corrompere il cuore dei giovani lettori: che inspira le immagini del vizio e del mal costume; che da esso apparisce che Fenelon non sa nè la favola, nè la storia; e che, sia che parli di fondazioni di città, o d'invenzioni d'arti, di grandi uomini, o di costumi di popoli ec. ec. tutto è falso. Passa quindi ad esporre nella sua luce più bella le assurdità, le follie, le meschinità, le mancanze di raziocinio che sono sparse in tutta l'opera ec.

assando quindi dal generale al particolare, quando s'incontra in quella scena ammirabile in cui Mentore precipita Telemaco in mare: Mentore e Telemaco, egli dice, compariscono a cavalcioni (califaurchon) sapra l'albero della nave, come fanno i ragazzi, che mettono un bastone fra le loro gambe, e lo giran di qua e di là, e lo chiamano il lor piccolo cavallo. Ma come mai Mentore e Telemaco non isdrucciolano? Forse s'erano posti un chiodo al di dietro,che gne ne impediva.

Lasciamo queste inezie, che pur si scriveano nel se-colo di Luigi XIV per obbrobrio di coloro che applaudivano a queste farse degne della canaglia del Ponte nuovo; passiamo sotto silenzio un' ingiustizia anco più grande, quella cioè di molti critici verso Racine, che dovette soffrire di veder le sue mirabili tragedie parodiate, troncate, e postillate, presso a poco come i versi dell' Autor del mar grande; e parTiamo di Cesarotti. Si comincia a dimandare, e son due soli anni che è morto, Chi è un Pastor d'Elide? Chi è un Teatino? Chi sono i pedanti che l' ingiuriaTono? Nessuno li conosce, o si ricorda di loro: ma chi non conoscerà e non terrà a mente quel detto del grand' Alfieri? Se avrò il suo suffragio, poco m' importerà dell' altrui; se mi manca quello, crederò di non averne pur uno.

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Ma basti di ciò: ognuno intende il resto, e si rammenta della favola de' due viandanti che importunati dallo strider delle cicale, uno per dar loro la caccia, si smarri nel sentiero; l'altro proseguì il suo cammino, senza curarle, e le vide crepar di lì a poco. Rome le 19 Avril 1783.

MON TRÈS-CHER AMI.

« Ciel! faut-il donc se résoudre à croire qu'une police toujours active et clairvoyante voudra longtems fermer les yeux sur le brigandage abominable qu' on exerce contre les gens de lettres? Sera-t-il toujours permis à une troupe de scélérats de déchirer à belles

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