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Dall'infiammate rote

Phaed.

Febo scotea sul suol l'estivo ardore,

E il robusto aratore ́

Stava all' arso terreno

Col vomere, tagliente aprendo il seno;
Acceso in volto, di sudor bagnato,
Col crine scompigliato,

Curvo le spalle, il cigolante aratro

Con una man premea,

Che col chino ginocchio accompagnava,

E coll'altra stringea

Pungolo acuto, e colla rozza voce,
E coi colpi frequenti

Affrettava de' bovi i passi lenti.

Stava sopra l'aratro in grave volto,
Ed in aria importante

Una Mosca arrogante,
Ch'or sull' irsuto tergo
De' stanchi buoi volava,
Ed ora al tardo aratro
In fretta ritornava,

E quasi in alto affar tutta occupata,
Smaniante ed affannosa

Corre, ronza, s'adira, e mai non posa.

Un Moscerino intanto

Passando ad essa accanto

Le disse; e perchè mai

Tanto sudi, e t' affanni? e cosa fai?
Rispose con dispetto

Quell'arrogante insetto:

Nol vedi? è necessario il domandare

Qual importante affare

Ci occupi tutti adesso? ad ignorarlo
Veramente sei solo;

Non lo vedi, balordo? Ariamo il suolo.
A tal proposizion rise perfino

Il picciol Moscerino.

«È assai comune usanza

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FAVOLA XIX.

IL PASTORE, ED IL LUPO

...little Villans must submit to Fate That great Ones may enjoy the World in state. Garth' Dispensary.

Era la notte, e un nubiloso e bruno

Vel dall'umida terra escito fuore
Il ciel copriva sì che raggio alcuno
Il denso non rompea notturno orrore.
Per l'aer cieco intanto iva digiuno
Cercando il cibo un Lupo insidiatore;
Ristretta al ventre avea la coda, e teso
L'orecchio; e il piè movea lento e sospeso.
Or mentre del sanguigno occhio focoso
L'atra luce le negre ombre scotea,

Giunse dove il Pastore un laccio ascoso
Con ferrei nodi in sen dell' erbe avea,
E tratto dall' odore insidíoso,
Che l'esca fraudolenta diffondea,
Urta nel laccio, il laccio allor si serra,
E nelle zampe il reo ladrone afferra.

Invan si scote, e freme, e il piè legato
Per disbrigare invano usa ogni prova,
Urla, copre di bava il labbro irato,
Il ferreo laccio azzanna, e nulla giova;
Ma in oriente il candido e rosato
Raggio apparía già della luce nuova,
Che appoco appoco,
vinto il fosco orrore,
Rende agli oggetti il solito colore.
La piena luce il cor d'alto spavento
Al prigioniero predatore agghiaccia :
Ma già sorge il Pastore, e il chiuso armento
Dalle fumanti stalle a' paschi caccia :
Scote la fida verga, e a passo lento
Sen vien cantando per l'usata traccia ;
E giunge alfin dove anelante mira
Il preso ladro infra la tema e l'ira.
Cadesti alfin, esclama, empio, cadesti,
Ove la pena avrai del tuo peccato;
Vittima al gregge mio, di cui spargesti
Sì spesso il sangue, caderai svenato:
E vo' che a un alto tronco appesa resti
L'irsuta pelle e il teschio insanguinato;
Onde il tuo fato, e il memorando scempio,
Agli assassini sia funesto esempio,

Se il mangiarci l'un l'altro è un gran delitto,
Son reo di morte, disse il Lupo allora :
Ma se tal pena al fallo mio prescritto
Ha il Ciel, chi più di te convien che mora?
Fra mille rischj io dalla fame afflitto®
Il gregge a divorar vengo talora ;
E tu quasi ogni dì, come tí' piace,'
Della carne di lui ti cibi in pace.
Invano a te la pecora innocenté

Del seno il dolce umor porge il tributo;
Invan per te scampar dal verno algente
Si spoglia, e t'offre il velló suo lanuto;
I figli tu le uccidi crudelmente,

E lei, che t'ha vestito', e insiem pasciuto,
Inabile ridotta al fin dagli anni,

Senza pietade a morte ancor condanni.
E il paziente bue, che così spesso

Per te sul duro campo ha travagliato,
Dalle fatiche e dall' etade oppresso,
Non soffre alfin da te lo stesso fato?
Or non sei degno del gastigo istesso,
Se questo, onde m' accusi, è un gran peccato?
S'è tal, perchè non hai la stessa sorte?
E se non è, perchè mi danni a morte?

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