Il buon Alì (ch'era così chiamato) Nella cassa paterna, Deliberò di divenir mercante; E tutto il suo contante In vetri egli impiegò; questi in un'ampia E in vendita li espose; Davanti a lor s'assise; e mentre intanto Questi bei sogni entro di sè volgea. Onde il denaro mio raddoppierò: E comprando e vendendo, Potrò per breve strada e non fallace Lascerò di vetrajo il mestier vile; Io condurrò sin nell'Egitto; e poi Con preziose merci; e già mi sembra Pign. T I. D'esser fatto il più ricco mercatante, Acquistati i tesori, S'han da cercar gli onori; Onde lasciata allor la mercatura, Esser creato io voglio: Ricordati, direi, Chi fosti, e non chi sei, Di me più vil nascesti... e se superbo Negasse ancor... su quell' indegna faccia Scaricherei colla sdegnosa mano Di mia vendetta un colpo, E in quell'informe ventre smisurato Il disgraziato Alì cotanto viva E rovesciò sul suol la sua paniera; FAVOLA VII... LA SCIMMIA, E IL GATTO ... Quid rides? mutato nomine, de te Fabula narratur. Horat. Di vaghi fiocchi e fregi aurei lucente Terso cristallo in stanza ampia brillava Che con dolce magía tutte arrestava A caso uno Scimiotto; e tosto scorse Che se stesso mai visto non avea. Ed in età così poco matura Dunque o sciocco, gridogli allora un Gatto, Stava la Scimia stupida e confusa, « Ride lo sciocco, se mirar si crede « Del compagno il ritratto al vivo espresso; « L'autore accusa, e il libro getta via. |