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quella essere una ingiusta usurpazione. L'uomo in questa vita passeggiero goder l'uso della terra, invano arrogare di appropriarsela del tutto, invano trasmetterla altrui: non ad altri appartenere la proprietà perpetua che alla società che sempre dura, ed alla quale cioè a beneficio di tutti gli uomini, non a privilegio di una classe la Provvidenza l'ha destinata. A me sembra che questi novatori errino in due punti fondamentali. Il primo è che confondono la proprietà cogli abusi di essa, e colle male istituzioni che talvolta l'hanno governata, però non di riformar queste, ma di togliere quella fanno argomento. Il secondo è che volendo creare uno stato nuovo imma-/ ginano in tutti gli uomini connaturata una disposizione al bene, con una mirabile temperanza, ed astraggono dai mali, dalle false opinioni, dai vizii che dalla umanità saranno sempre inseparabili. Laonde assai leggiermente vien loro fatto di mostrare per l' una parte nel presente il diritto di proprietà odioso ed intollerabile, e per l' altra di presagire nell' avvenire, secondo i loro ordini, una universale e perpetua felicità. Ma ai sofismi di costoro risponde la ragione ed il retto senso comune degli uomini. Veramente a chi ben consideri appare essere insito nel nostro animo un istinto di possedere, una tendenza ad appropriarci quello che torna in nostro vantaggio, cosicchè la proprietà si può riconoscere come l'effetto legittimo di una particolare ed innata facoltà. Trasportiamoci, o Signori, colla mente alla prima occupazione del terreno. L'uomo stimolato dall' impulso dei suoi bisogni rivolse le proprie attitudini del corpo e dell' animo ad appagarli. E fra i primi, e più efficaci mezzi che gli si pararono innanzi, fu appunto la terra che fino allora si giaceva incolta, e se apportava alcun frutto, certo non era a vantaggio degli uomini. Quindi applicò ad essa le proprie forze, e quella aprendo, e per nuove condizioni

rimutando, n' ebbe largo guiderdone de' suoi sudori. Posto adunque il fatto che il terreno non ispettava ad alcuno, il giudizio onde l' uomo se ne riprometteva futura utilità fu naturale e legittima causa di occupazione. La occupazione poi diede origine ad un intimo e sentito rapporto fra quell' individuo, e la cosa occupata, sì che questa non potè venirgli tolta o messa in contrasto, senza che egli ne provasse dolore. E poichè nella supposizione nostra, non tenendo conto delle leggi positive, il diritto non è altro che la facoltà di far quello che non è contrario alle regole morali, ne consegue che per quella serie di atti l'occupatore acquistasse un diritto sopra l' oggetto che egli reputava e che era veramente acconcio a soddisfare i suoi bisogni. Che diremo del lavoro pel quale egli diede al suolo forme ed attitudini novelle? Ecco un altro grande titolo della proprietà. Certo del capitale, e dell'opera che l'uomo impiegava nella coltura del terreno, non tutto gli tornò in immediato profitto, ma una non piccola parte si congiungeva, e s'incorporava dirò quasi con esso, preparando nell' avvenire più abbondevoli frutti. In questa aspettativa dell' avvenire, in questo convincimento della perpetuità del proprio diritto, sta, o Signori, la precipua cagione dei progressi dell' agricoltura. A che il coltivatore pianta alberi che fruttificheranno alle generazioni avvenire, a che edifica a grande spesa fabbriche di stabile durata, a che dà principio a dissodare ed adattare terreni, a guernirli dall' empito dei fiumi, ad aprire escavazioni di canali che egli neppure potrà compiere? Certo non per altro si affatica, e da molti piaceri presenti si raffrena se non pei suoi figli, o per quelli che avranno meritato i suoi beneficii.

Ammesso poi il titolo di diritto non solo nell' uso, ma nella proprietà del suolo, ne viene di conseguenza che l'uomo possa trasmettere ad altri il godimento di

questo diritto sia mediante i contratti, sia per spontaneo dono, o per eredità. E questo principio, come abbiamo detto sopra, diviene il più valevole argomento dei progressi dell' agricoltura, e dell' aumento delle ricchezze. Ma perchè, crescendo il numero degli uomini, saranno esclusi dalla facoltà di possedere quelli che trovarono le terre già venute in dominio altrui, o non continuarono (secondo l'espressione dei legisti) la persona degli occupatori? Qui trapassiamo dall' uomo isolato alla società, dove i diritti naturali per l' utile pubblico si modificano. Ma per togliere ragionevolmente ai possessori le cose loro farebbe d'uopo avvalorarsi di un diritto maggiore di quello che abbiamo sopra discorso, nè altro può esservene fuorchè il diritto di sussistenza: farebbe d'uopo adunque dimostrare che ai non possessori delle terre fosse impedito ogni mezzo di soddisfare ai proprii bisogni. Ora quando gli uomini si moltiplicano e si stringono in civil comunanza crescono le attenenze loro, e si dà luogo ad una generazione grandissima di arti, le quali ben dirette offrono largo campo al lavoro di ciascuno. Laonde non solo la proprietà non è incompatibile colla. sussistenza, e col perfezionamento degli uomini, ma ella è anzi uno dei più acconci ordini a questo fine. La qual cosa ci è dimostrata dalla istoria. Imperocchè, per quanto le memorie umane ci tramandano, troviamo costituita la proprietà appena i popoli incominciarono ad uscire dalla selvatichezza; e col crescere della civiltà loro veggiamo migliorate le leggi e gli istituti che la governano. Cosicchè secondo la sentenza di un gravissimo Scrittore, incertezza dei possessi è correlativo di barbarie, come garanzia dei medesimi è correlativo di società regolata e civile. Nè ciò solamente: ma una gran parte delle Nazioni vollero protetto questo diritto dalla santità della religione. Questo simboleggiavano i Greci celebrando con

tanta solennità le feste di Vesta. E quando Numa Pompilio istituì in Roma il culto del Dio Termine e spaventò i dispregiatori di questo Nume colla esecrazione degli uomini, e coi flagelli delle Furie, volle perciò raffermare il rispetto dei confini, e render sacro agli uomini il` diritto della proprietà. Ma se la esperienza di tutti i popoli ci dà argomento a stabilire questo vero, quali induzioni possiamo fare circa ad una nazione dove tutti i beni fossero in comunanza, o dove il possesso non fosse ereditario? Pare ragionevolmente che ivi l' eccitamento principale dell' industria sarebbe tolto, e la produzione. verrebbe digradando, mentre la popolazione si moltiplicherebbe oltre misura per la fiducia di ciascuno a dover essere provveduto dallo Stato: pare che sarebbe di necessità dare al Governo una illimitata ed universale autorità, supponendo contro la ragione ed i fatti, che dove fosse tanta facilità e tentazione di abusarne, ivi ancora si trovasse sempre maggiore discernimento e rettitudine infine anderebbero disciogliendosi i legami della famiglia sino a distruggerla completamente. Dai quali ultimi risultati, che logicamente discendono da quel principio, la coscienza umana rifugge. Conciossiachè la famiglia essenzialmente procede dalla nostra natura, è il più dolce fra tutti i vincoli, il fondamento più necessario di ogni società.

Ma se il diritto di proprietà si dee avere per legittimo. e profittevole al consorzio civile, sarà questo diritto francato da ogni regola e da ogni limite, sia negli acquisti dei terreni, sia nell'uso dei medesimi? Anzi noi sosteniamo che con due fortissimi argomenti debba essere modificato e ristretto, e cioè colla moralità dei costumi, e colle istituzioni politiche e civili. Dico la moralità dei costumi, parendomi questo massimamente necessario, che negli uomini debba essere una temperata misura nel

desiderio dell' arricchire e del godere. E veramente dove sia integrità nei modi di acquistare, discrezione nel curare le facoltà proprie, e benefica larghezza nello spendere, difficilmente possono accumularsi in un solo smisurate fortune. Le quali il più delle volte si veggono nascere ed aumentare rapidamente in quei paesi dove per una parte è cupidigia di trarricchire con qualsivoglia mezzo, per l'altra una insaziabile brama di piaceri, ed uno spargere profuso e dissensato. Le Istituzioni poi possono provvedere fino ad un certo punto alla facile e migliore distribuzione delle ricchezze, non dico con le leggi che pongono un termine agli acquisti (come il giubileo degli Ebrei, o le leggi agrarie dei Romani), le quali troverebbero grandissima e ragionevole oppugnazione, ma con regolare la materia delle successioni, coll' impedire la immobilità dei beni, e con molti altri ordinamenti che favoriscono l' eguaglianza. Ancora deve il legislatore intervenire nell' uso che altri fa delle cose proprie, affinchè elle non nuocciano altrui, o non divengano dannose e perturbatrici dello Stato. Lo che si mostra per se medesimo evidentissimo a chi consideri che è officio delle leggi tutelare tutti i diritti; e che garantendo colle proprie forze la sicurezza, e tranquillità de' possessi, la società ha diritto d' imporre che non divengano all' utile pubblico contrarii....

Passiamo ora alla seconda ricerca che è intorno alla divisione della proprietà. La quale può essere proposta in questa forma. È egli preferibile che i possessi siano estesi e nelle mani di pochi, o piccoli e divisi in molti? lo verrò sponendo le ragioni che per l'una e per l' altra parte sono recate innanzi. I partigiani della grande proprietà discorrono in questo modo. I vasti possessi meglio si coltivano e più fruttificano che i mediocri ed i piccoli. Avvegnachè nei primi solamente possa praticarsi la

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