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si dividano, ed a ciascuno dei figli ne sia data porzione, ma a taluno tocchi in sorte il possesso rurale, all'altro le altre facoltà. Nè quel patrimonio che uno ebbe in retaggio dal padre è poi la sola cosa che si comparta fra i suoi discendenti, ma vi si aggiungono la dote materna, le successioni laterali, gli avanzi dell'industria. In secondo luogo, siccome nelle società ben regolate e prosperanti la popolazione non si accresce del continuo, anzi essa rimane stabile finchè non si apprestino nuovi mezzi di sussistenza è nuove industrie, così è verosimile che fra la classe dei proprietarii delle terre e quelli che nol sono si formi e duri un' equa proporzione. E in quanto agli acquisti, ove la suddivisione dei fondi ne avesse diminuito e stremato il profitto, egli è da presupporre che il desiderio di possederli venisse meno, e che in altre imprese, in altri ingegni di commercio e d'industria si volgessero i capitali. Che diremo poi se il fatto viene a comprovare la validità di queste induzioni? Già è scorso assai tempo dacchè sono in vigore le leggi presenti sulla trasmissione libera delle proprietà e sulla successione: già dei tristi effetti che si minacciano dovrebbero apparire notabili segni. E nondimeno vedete se in l'Italia, se nella nostra provincia vi sia argomento a temerne; vedetelo nelle terre Lucchesi forse le più divise d'Italia, e nondimeno fiorenti d'industria agricola, e copiosissime di prodotti; vedetelo in Francia dove più libere che altrove sono le regole di successione, più facili le permutazioni e gli acquisti. Leggansi le statistiche pubblicate dal Ministro del commercio di quel reame, e si vedrà che dal 1815 al presente la suddivisione della terra non è maggiore, e la relazione di numero fra i proprietarii dei beni rurali e quelli che nol sono è presso a poco la medesima.1 Per

V. Rossi, Cours d'économie politique. Leçon 23.

tanto ci pare che i dubbi intorno a questa materia siano grandemente esagerati, e che lo scompartirsi dei possessi non giungerà mai a tal termine da rendere impraticabili le regole della buona agricoltura.

Ma se noi per contrario ci rivolgessimo ai partigiani della grande proprietà, ben potremmo loro additare i forti pericoli ed i tristi effetti che da quel sistema non di rado nè difficilmente derivano. Avvegnachè nei ragionamenti loro, essi immaginano sempre discrezion di mente e sollecitudine negli Amministratori, di terre, copia di capitali, facilità di trovare operai giornalieri. Ma se coll'accrescersi delle proprietà scemasse invece l'interesse e l'istruzione di chi deve amministrarle, se i capitali non fossero proporzionati alle imprese, se mancassero le braccia, che cosa addiverrebbe della coltivazione? Noi non abbiamo mestieri di figurarci gli effetti di queste condizioni nell'avvenire: abbiamo gli esempi frequenti, prossimi, concludentissimi. Molti di voi ricordano ancora, o Signori, lo stato dell'agricoltura un mezzo secolo fa nella nostra provincia; com'ella fosse in molte parti trascurata; quanto inferiore a quella d'oggidì nell' industria è nei prodotti. E nondimeno allora i fondi erano raccolti in poche famiglie, nè la classe mezzana era ampliata e venuta a parte delle ricchezze e della proprietà. Or questo che abbiamo veduto nella nostra provincia avvenne similmente in tutte le contrade dove furono abolite le istituzioni feudali che inceppavano la libertà prediale, e dove al privilegio subentrò l'eguaglianza civile. E già alquanto innanzi Leopoldo di Toscana dividendo i vasti territori di Valdichiana in minute porzioni, ed accordandole a livello a gran numero di lavoratori, aveva mutato quelle terre di selvaggie paludi, che elle erano in prima, in fruttiferi e lieti giardini. Per contrario le campagne di Polonia che sono in dominio di pochi, per la mancanza di

capitale, e per la condizione dei coltivatori rimangono in sterilità e poverezza. Ecco l'Agro Romano che si stende dalle montagne di Viterbo a Terracina, dai Colli Sabini fino al mare. Oh come siamo profondamente commossi a tristezza nel percorrere quel gran tratto di paese! Il quale, posto in una regione temperata, sotto un cielo ridente, di terreno feracissimo sarebbe mirabilmente acconcio ad ogni maniera di prodotti. Pure non vi trovi segno di abitato, non pianta che colle fresche ombre ti ́ ́ riconforti, ma dovunque una spaventevole ed insalubre solitudine. Ed è pur. questo il medesimo terreno dove già un tempo sette jugeri bastavano a mantenere agiatamente una famiglia, e dove cresceva una gente prospera di corpo, e di animo vigorosissima. Questo pensiero mi richiama, o Signori, ad una delle cagioni della decadenza di Roma, voglio dire l'aggrandimento delle proprietà, e l'agglomerarsi delle ricchezze.1 Chi non conosce il detto di Plinio? Verumque confitentibus, latifundia perdidere Italiam imo et provincias. Nei primi secoli della repubblica dopo la distribuzione fatta da Numa, e quella di Servio, dopo le leggi delle dodici tavole, le terre erano divise in piccoli fondi, e la coltivazione dei campi affidata in gran parte ad uomini liberi.3 Quegli uomini fortissimi curavano essi stessi le piccole facoltà loro, nè desideravano mag

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V. Giraud, Recherches sur le Droit de propriété chez les Romains sous la Répub. et sous l'Empire.

'Hist. Nat., XVIII.

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« Ac primum (dice Cicerone parlando di Numa) agros quos bello Romulus ceperat divisit viritim civibus, docuitque sine depopulatione et præda posse eos colendis agris abundare commodis omnibus, amoremque eis otii et pacis injecit, quibus facillime justitia et fides convalescit, et quorum patrocinio maxime cultus agrorum, perceptioque frugum defenditur. » Cic., De R pub. Parlando poi degli antichi patrizii soggiungne: Quorum auctoritas maxime florebat quod cum bonore longe antecellerent cæteris, voluptatibus erant inferiores, nec pecunia ferme superiores. Cic., De R puh.

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giori dovizie. Ma in processo, le cose interamente mutarono. Venne il tempo in cui Crasso osava dire, niuno essere ricco se delle sue rendite non poteva nutrire un esercito. Allora le ricchezze si accumulavano, i possessi ampliavansi in vastissimi territorii, i beni di un solo proprietario comprendevano pianure e valli, catene di montagne, interi corsi di fiumi dalle fonti loro fino al mare. Ora, dice Seneca, un fondo è ciò che un tempo si chiamava un impero. Intanto l'Italia per sè ubertosissima procacciava altronde vettovaglie, il popolo dai proprii campi si discacciava, e la coltivazione abbandonavasi alle mani degli schiavi. E quando il numero di questi venne diminuendo, le campagne rimasero quasi deserte, la popolazione rara, imbelle, corrotta, senza fede, senza amore di patria non ardì più contrastare colle vigorose e selvagge nazioni barbariche.

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Incontra alcuna volta che il proprietario lavori egli medesimo colla famiglia il proprio fondo. Così pare che avvenisse presso i più antichi abitatori della Grecia e dell'Italia, e ne abbiamo anche oggi un esempio in alcune parti della Svizzera. La condizione di questi coltivatori è certamente (per quanto è possibile nell' umana vita) felicissima, e stupendi gli effetti che ne derivano a tutta la civile compagnia. Imperocchè sebbene in Isvizzera il terreno sia poco benignamente da natura fornito, pure vi si vede frutto mirabile per le cure continue ed affettuose che vi sono poste. Dico affettuose, perchè se il sentimento della proprietà della terra è per se sòlo gratissimo, si ravviva pei fatichevoli servigi che il lavoratore vi adopera intorno. Il quale dalla propria esperienza ammaestrato, e da quella de' suoi padri che sovente posse

1 Cic., Paradoxa, n. 6.

* Seneca, Epist., 89. Vedi anche Quintiliano, Decl., XIII, e quasi tutti gli scrittori di quell'epoca.

derono quello stesso fondo, assegna a ciascuno dei suoi gli appropriati lavori, e con accorta providenza dispone i miglioramenti che i figliuoli godranno. Ivi non è contrarietà d'interesse, non occasione di dissidi. Il podere è coltivato per quella guisa che possa sopperire agli svariati bisogni della famiglia, la quale conduce una vita operosa e lieta con parsimonia ma senza disagi. E della prosperità dei cittadini si vantaggia lo Stato, che nella giustizia e nella fede ha il vero e stabile suo fondamento.

Ma se questa maniera di cose è possibile ad effettuarsi nella prima occupazione dei terreni, e nei principii delle colonie, se si perpetua nella Svizzera paese piccolo, poco ubertoso, e sotto certe istituzioni politiche. non può lungamente durare nelle altre contrade. Perchè la diversità degli ingegni e dell' attività degli uomini, la disposizione loro al risparmiare, o al profondere, l' allargarsi del commercio, con molte altre cagioni cooperano a mutare una tale condizione. Per la qual cosa veggiamo pressochè dovunque la classe de' proprietarii divisa da quella dei lavoratori delle terre. Nè questo ordine contraddice all' utilità pubblica, nè alla perfezione degli Stati, quando i possessi, come dicemmo innanzi, siano compartiti a sufficienza, quandoi ricchi si valgano dei loro beni di fortuna a nobili intendimenti ed a benefizio comune, quando siano stabilite convenienti e benevole relazioni fra le due classi. Quindi si fa manifesta l'importanza di considerare queste relazioni scambievoli, e di esaminare le varie maniere di patti che fra il padrone ed il lavoratore di terra possono darsi, sia risguardo alla produzione ed alla distribuzione delle ricchezze, sia risguardo al perfezionamento morale degli uomini. In questa materia la quale è molto ardua, e che da valenti scrittori con diversissime opinioni è stata trattata, io entro al presente, fidato nella vostra benevolenza. Se non

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