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sguardo può apparire come un ministero educativo. Ma già troppo v' intrattenni colla presente, e per ora fo fine.

LETTERA VII.

La storia e il senso universale dei popoli ci ammaestrano che il Governo non istimasi aver compiuto il suo ufficio coll'assicurare soltanto ai cittadini il libero esercizio delle facoltà loro secondo giustizia, ma si vuole che in talune materie di interesse generale esso cooperi al bene materiale e morale della civil compagnia; e a cotal uopo non pure i sudditi gli forniscono il danaro necessario, ma eziandio lasciano ad esso la balìa di molti personali diritti. Ma sino a qual termine? Ecco uno dei più gravi problemi del tempo moderno: conciliare cioè la libertà personale coll' azione governativa. Problema che, secondo il mio avviso, non può sciogliersi in modo assoluto, ma piuttosto si ragguaglia ai tempi, ai luoghi, alle circostanze. E mentre l'attributo di mantenere la giustizia è universale e immutabile, come già altrove io vi diceva, questo di favoreggiare il progresso della civiltà ha molti gradi a seconda dell' opportunità. E per ciò lo definii come opera d'integrazione, indicando così che dall' una parte presuppone deficienza nei privati e nelle aggregazioni che vivono entro la società civile, e dall' altra accenna alla propensione dello Stato di deporre quelle ingerenze via via che la necessità ne venga meno. Vigili dunque lo Stato a tutto che può mettere a repentaglio la salubrità o la sicurezza pubblica, apra vie e canali, costruisca ponti, sancisca il pregio delle monete, dia regola e protezione ai mercati: in questo ed in molti altri ufficii nulla havvi di comune col quesito che andiamo esaminando: dove può cadere la

disputa si è sulla istruzione pubblica e la beneficenza, le quali per avventura appaiono manchevoli anzi pericolose, se non le informa e non le avviva il domma religioso. Certo io credo che specialmente nelle condizioni presenti della società, l'istruzione pubblica sia uno dei più nobili attributi, e uno dei più importanti del Governo, come quello che intende ad accrescere il valor personale di ogni cittadino, abilitarlo a fornire degnamente il proprio cómpito nella società, e temperare le disuguaglianze che la natura e l' emulazione pongono fra loro. Le quali disuguaglianze se entro un certo limite sono statuite dall'ordine della Provvidenza, e formano una giusta ed utile gerarchia civile, al di là di esso possono generare la discordia, e fermare il corso della pubblica prosperità. Ma ciò che vuolsi accuratamente distinguere si è istruzione da educazione, non già che io disconosca le congiunture loro, atteso la stretta parentela del vero col bene; nondimeno giudico che all'educazione propriamente si appartiene lo svolgere i retti sentimenti e gli abiti virtuosi, laddove la istruzione, spezialmente se è generale e pubblicamente ministrata, si tien paga di erudir la mente, e fornirgli quelle cognizioni che agevolano l'esercizio delle arti tecniche o delle professioni liberali. Ora io sostengo francamente che l'educazione non potrà mai essere ufficio governativo, nè da ordini pubblici fondata; imperocchè non è solo esposizione di veri, ma ispirazione di affetti impressi con autorità benefica, ricevuti con ossequio volonteroso e confidente. Egli è alla famiglia che appartiene propriamente la educazione, e nelle famiglie stesse alla donna ancor più che all' uomo siccome quella che alla pietà, alla dolcezza, alla pazienza ha l'animo mirabilmente connaturato. E ciò che la famiglia inizia, la Chiesa lo compie colle sue dottrine, colle sue pratiche, colle sue cerimonie atte non solo a guidar l'intelletto, ma a fare

impressione nel cuore. Che se voi mi ripigliate colla mia stessa teorica che, ove manchi la famiglia e la Chiesa, il Governo dee supplire ad esse, rispondo che l' opera d'integrazione non può giungere mai sino a surrogarle nelle parti più intime e più vive del loro ministero. E se, insistendo, esigete almeno che il Governo sorvegli e impedisca che nella educazione privata s'insinui uno spirito contrario alla religione dominante, io allora gli nego risolutamente la facoltà d' invadere il diritto individuale, domestico, ecclesiastico. Imperocchè supplire al difetto non è già imporre una forma, un metodo, una credenza. E mentre la famiglia educa da sè il figliuolo, o chiama ad educarlo i ministri di quella religione nella quale ha fede, nè chiede aiuto o sussidio dal Governo e rispetta le leggi e il diritto altrui; non ha obbligo di rendere ragione del suo operato. Lascio stare per ora la impossibilità di conseguire lo scopo, e i pericoli che nascono quando la potestà civile si fa giudice ed arbitra dell' insegnamento religioso, imperocchè ne discorrerò appresso recando innanzi la storia. Rispetto poi all' istruzione pubblica, veggo bene potersi impedire con assoluto comando che non si offendano i veri supremi che della giustizia sono il fondamento; ma non veggo come il Governo possa prescrivere e dar norma all' insegnamento, nè star mallevadore di tutte le opinioni che verranno bandite dalle cattedre. La qual cosa è dal comune senso avvertita ottimamente. Imperocchè la promulgazione delle leggi e le sentenze dei tribunali (salvo lievi eccezioni che dipendono da mala condotta dei govèrni) sono accolte come verità quasi inconcusse dalle società medesime: ma delle dottrine scientifiche, quali si professano nell' insegnamento, non si accagiona la potestà civile, il che argomenta che come l'opera sua là è immediata e autorevole, qui è indiretta e insufficiente. Dal che discende che quando la società e

la scienza si discordano nei dommi rivelati, cotesta discrepanza non può a meno di non insinuarsi anche nelle scuole, poniamo, più copertamente e di sbieco, ma non meno efficacemente, anzi per avventura con quelle attrattive che hanno le dottrine ardite e insieme misteriose.

Simiglianti considerazioni occorrono circa la beneficenza. Sarebbe desiderabile che ogni uomo potesse ognora colle proprie fatiche guadagnare onoratamente la vita, procacciare a sè ed a'suoi qualche agio, provvedere ai casi d'infortunio e al bisogno della vecchiezza. Ma per quanto possiamo accostarci a questo ordinato vivere, rimarranno pur sempre cagioni di miseria e nelle straordinarie calamità, e nelle imperfezioni della persona, e nel malvolere, e nella pigrizia. Vi saranno ognora poveri da soccorrere, infelici da consolare. E parimenti in questa materia sarebbe bellissimo se le mutue associazioni, la beneficenza privata, ei pii istituti da essa fondati, infine la carità religiosa con sublime gara a tante opere valessero. Ma se non bastano, il Governo ha titolo di porvi mano, sino a che la necessità lo esige, e la possibilità lo consente. Se non che la beneficenza governativa non avrà mai nè la soavità che accompagna il benefizio, nè la gratitudine che lo riceve, sarà misurata e fredda, poniamo che talora le condizioni della società la rendano necessaria: ma il dare ad essa un influsso religioso, porre nelle pratiche sacre una condizione per chi dee riceverla, o infine, come alcuni clericali pretendono, escludere il laicato da ogni ingerenza nella carità pubblica, e voler farsene soli ministri e dispensieri, parmi dilungarsi interamente dall' intento della società civile.

Il punto vero della questione sta in ciò, che taluni attribuiscono al Governo il debito di cercare e promuovere con ogni mezzo la massima perfezione dei cittadini,

MINGHETTI.

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e per conseguenza anche l'unione loro e il fervore in materia religiosa. Ma questa proposizione che di primo tratto può sembrar giusta e plausibile, non regge al lume della critica. Perchè la perfezione massima è principalmente morale, e risiede nell' intimo dell'animo; l'azione governativa per lo contrario è soprattutto esterna, versa negli atti pubblici, e non penetra nei cuori. E quando il Governo si briga di maggiori ingerenze, è costretto a moltiplicare sì fattamente le regole, e a congegnare tanti modi di prevenzione che violano il diritto individuale. E ne segue l' uno di questi due effetti: o che i cittadini perduta ogni dignità e snervato ogni vigore si accasciano vilmente, e in segreto si corrompono ; ovvero che la natura repugnante in breve si ribella, spezzando i vincoli colla violenza a guisa di quei fuochi sotterranei che lungamente compressi erompono in vulcani. Se il Governo fosse abilitato ad esigere dai cittadini il massimo di dovere e di perfezione, la civil compagnia si trasformerebbe in una regola monastica, e questo solo basta a svelare la vanità del proposito. L'errore giace in una falsa idea del fine della società civile, e in una confusione dell'ordine giuridico coll' ordine morale. Laonde io chiamerei volentieri questa teorica un socialismo politico e religioso, perchè come i socialisti odierni vogliono che il Governo regoli la produzione e la distribuzione delle ricchezze, assegni i limiti al possedere, sovvenga tutti di lavoro, così gli altri pretendono che il Governo s'ingerisca nelle coscienze e le signoreggi. E cotale errore non è nuovo, anzi il rinnovellamento di Sparta, e delle utopie di Platone nella Repubblica; con questa differenza, che Platone accoglieva le conseguenze logiche del suo principio, e sottraeva ai genitori l'educazione, anzi perfin la conoscenza dei figliuoli, e ne dava allo Stato la balìa dalla culla fino alla tomba. I moderni

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