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II.

PRIME RIFORME.

In quel momento al legislatore si paravano innanzi due vie in questa, come in molte altre materie della cosa pubblica. L'una era di unificare le parti essenziali, come politica, diplomazia, commercio, dogane, sicurezza interna, esercito, marinerìa, e lasciare la restante amministrazione nelle condizioni diverse in che si trovava, col proposito di unificarla poi gradatamente, senza scosse e secondo i dettati dell' esperienza; l'altra via conduceva alla unificazione immediata. Quella mirava soprattutto ad evitare gli attriti, le offese degli interessi e delle abitudini, gl' inconvenienti inseparabili dai grandi cambiamenti; questa si preoccupava di cancellare ogni traccia del passato, di dare all'unità politica una corrispondente faccia amministrativa, di gettare, per dir così, in una sola forma tutte le provincie d'Italia. Se la prima avesse prevalso, si potevano almeno per un certo tempo lasciare le imposte esistenti, aggravando or l'una or l'altra, secondochè fosse agevole con minori doglianze delle popolazioni; avere questo punto di mira che ogni regione d'Italia pagasse proporzionatamente alla sua ricchezza, senza cercare se le forme del tributo fossero identiche. Si poteva, per esempio, lasciare che l'imposta prediale in Lombardia, a Parma, nelle Romagne rimanesse più grave di quello che nel Piemonte, o nella Toscana, avvegnachè queste porgessero un compenso colla mobiliare, colle patenti e via dicendo. Era inoltre lecito introdurre alcune nuove imposte fra le meno ingrate e proporzionatamente, in modo da porgere alle finanze un sussidio

più sollecito di quello che dovendo rimaneggiare tutto il sistema finanziario. Codesto rimescolamento era invece una necessità inevitabile, nel caso che si volesse procedere all' unificazione completa e rapida dell' amministrazione. Coloro che sostennero acremente il partito contrario al sistema regionale, ed hanno poi menato tanto scalpore per la perequazione dell' imposta prediale, per lo stabilimento di una tassa unica di registro e bollo per tutto il Regno, o per questo o per quell' altro punto, mostrarono di non intendersene. Ma se la logica nelle politiche vicissitudini talora si nasconde, essa non tarda guari a rivendicare i suoi diritti, e conduce a conseguenze, le quali non iscorsero o avrebbero voluto evitare coloro stessi che ne propugnarono le premesse. E così avvenne anche in questa occasione, che gli unificatori più risoluti e più impazienti furono i deputati del Piemonte e in parte quelli della Sicilia, i quali poi ebbero a querelarsi più forte degli altri di alcuni effetti di quella rapida unificazione. Ma la scelta fra questi due sistemi si può dire che era già fatta irrevocabilmente nel giugno 1861, quando una Commissione della Camera dei deputati più numerosa e più solenne delle consuete, riferendo sulle proposte del nuovo ordinamento amministrativo fatte dal Ministero, subito dopo la proclamazione del Regno, scartava il concetto regionale e rimandava ad altro tempo l' esame delle altre riforme.

L'11 agosto 1861 il Ministro delle finanze di quel tempo, il Bastogi, istituiva due Commissioni. La Relazione, che precede il regio decreto, affermava che la imposta prediale è ripartita in modo affatto contrario ai principii d'eguaglianza che sono raccomandati dalla scienza e che sono conformi alle nostre leggi fondamentali, e dava alla prima Commissione codesto mandato di ricercare i mezzi pratici delle basi dell' imposta fondiaria nelle varie provin

cie del Regno al fine di conseguire un' equa ripartizione dell' imposta medesima.

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L'altra diceva necessario di far concorrere nel più giusto modo possibile alle pubbliche gravezze quella ricchezza di giorno in giorno più importante che si manifesta sotto forma e nome di mobile, onde il mandato che ne seguiva era il seguente: prendere in esame il disegno di legge per l'imposizione sulla ricchezza mobile già preparato dal Ministro delle finanze, pronunciare il suo avviso sul sistema e fare all' uopo le proposizioni che crederà più convenienti. L'una e l'altra di queste Commissioni erano composte di uomini notevolissimi per dottrina e per pratica. Presidente della prima fu il Giovanola, della seconda il Revel e poco dopo l' Arrivabene, tutti senatori del Regno. I processi verbali furono pubblicati per le stampe, e sarà un giorno prezzo dell' opera tesserne la storia; ma per ora al mio proposito basterà il notare alcuni punti. Primieramente la natura stessa del mandato, che ho indicato sopra, per la perequazione della fondiaria repugnava al concetto venuto in campo molto più tardi, che la imposta fondiaria potesse conservarsi qual era, o tampoco che potesse dividersi in due parti, una antica da conservare nella sua disuguaglianza, e un' altra più recente che fosse la sola da perequare. Dico che queste idee son venute fuori assai tempo appresso, imperocchè nelle discussioni della Commissione non se ne trova pure traccia. Il mandato era assoluto, richiedeva l'equa ripartizione, e rispondeva a un sentimento generale, e di quei giorni comune in Italia. Similmente nella seconda Commissione il concetto di estendere la nuova tassa anche alle entrate dei fondi stabili non apparve per nessuna guisa. Anche qui il mandato era chiaro; si trattava di colpire soltanto quella ricchezza che ogni giorno veniva più svolgendosi sotto forma e nome di mobile. Vero

è che nel progetto ministeriale, mentre una parte della tassa (in via normale i tre quarti del contingente) fondavasi sulle dichiarazioni e ripartivasi sui possessori di ricchezza mobile propriamente detta, un'altra parte (un quarto del contingente) si desumeva dal valor locativo, di guisa che anche i possessori di stabili sarebbero stati soggetti a questa gravezza. Ma nella mente del Ministro codesta appendice non era che un espediente temporaneo: non potendosi, diceva la Relazione, per il primo anno compiere un esatto accertamento di tutte le ricchezze mobili, si assume il criterio del valor locativo.... esso viene a funzionare nella distribuzione delle tasse come elemento di conguaglio, come agente correttivo e complementare.... a misura poi che coll' applicazione della legge si conseguirebbe un esatto censimento delle RENDITE MOBILI, potendo LA SOLA TASSAZIONE DIRETTA DI QUESTE assicurare all' Erario anche la parte che ora si chiede ai valori locativi, la tassa su di essi potrebbe essere abbandonata a semplificazione del sistema tributario.... nè questa quota di tassa vorrà dirsi una duplicazione colle altre che gravitano sulle varie specie di ricchezza, sia perchè essa viene a colpire quelle porzioni di ricchezze che appunto non possono essere dalle altre tasse colpite, sia perchè si tratta di tassa minima. Egli è chiaro pertanto che questo amminicolo del valor locativo non era riguardato allora come apparecchio per estendere la tassa sulla ricchezza mobile anche sulla ricchezza stabile; ma, al contrario, la divisione dei due rami di ricchezza vi si trovava ben netta e definita, e anzi la parte comune dovea cessare fra breve. A me premeva di appurare la origine, la natura e lo scopo col quale fu iniziato in Italia il riordinamento delle imposte dirette, e spero che il lettore lo avrà chiaramente compreso.

Ora dirò brevissimamente che la Commissione di perequazione procedette per tre diverse vie: gli uni fondarono

i calcoli loro sulla popolazione e la ricchezza delle varie provincie; gli altri si diedero allo studio dei catasti che sono vigenti nei diversi compartimenti d'Italia, e cercavano di trovare fra essi un confronto e un ragguaglio; gli ultimi si sforzarono di determinare la rendita reale di ciascun compartimento catastale mercè lo spoglio dei contratti d'affitto e di vendita. I risultati finali, che per queste diverse vie si ottennero, lungi dal contraddirsi fra loro, si confermavano reciprocamente; le differenze furono sì lievi che agevolissimo riusciva il contemperarle, e ne sorsero nuove proposte parte aggruppate e combinate tra loro, che si fusero da ultimo in un progetto di equa transazione. Insieme alla perequazione della imposta rurale fu anche ordinata la imposta sui fabbricati. Rispetto poi alla ricchezza mobile, la prima questione agitata dalla Commissione fu questa: se invece di studiare una nuova tassa non convenisse estendere a tutte le provincie del Regno le tasse vigenti nel Piemonte, e questa proposta fu subito esclusa. Parve che non fossero in sè buone e di lor natura poco profittevoli, che percuotessero più volte la stessa ricchezza, che la moltiplicità loro ne avrebbe reso difficile l'attuazione, che avrebbero gittato scarsi proventi all' Erario. Preferirono quindi una tassa sola, e perciò il secondo tèma fu se la nuova tassa dovesse fondarsi sopra indizii e, come dicesi con termine medico, sintomi della ricchezza, ovvero sopra le dichiarazioni dei contribuenti debitamente accertate, e prevalse quest'ultimo partito. Prevalse a tal segno, che fu persino respinto il concetto ministeriale di contemperare la tassa sulla ricchezza mobile con quella sul valor locativo.

I progetti che uscirono da queste Commissioni, quelli che furono presentati al Parlamento, le lunghe discussioni che nel corso dell'anno 1863 e 1864 ebbero luogo

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