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sì nella Camera che nel Senato, alfine le leggi che ne risultarono, sono argomenti troppo noti perchè io ne faccia qui la storia, la quale inoltre mi trarrebbe a lungo discorso. Solo ricorderò che in Parlamento si manifestò ognora il deliberato proposito che l'ordinamento delle tasse dirette dovesse avere per base la perequazione dell'imposta fondiaria. Fin da quando il Vegezzi era ministro, nel 1860, egli avea dovuto promettere che tale perequazione sarebbesi effettuata possibilmente nel 1861; più tardi, abolendo il 33 per cento dell'imposta fondiaria in Lombardia, s' era dichiarato formalmente che questo atto compiuto per ragioni politiche necessitava il pronto pareggio della tassa fra tutte le provincie; e di nuovo, prima del voto sulla legge del registro e bollo, un ordine del giorno commetteva al Ministro di attuarla sol quando fosse presentata la legge di perequazione: e così in altre occasioni ancora codesti voti impazienti si rinnovellavano, e con tale insistenza e precisione da non lasciar dubbio alcuno che, senza la perequazione, non si voleva ad ogni costo che applicasse la tassa sulla ricchezza mobile. Di fatto entrambe queste leggi erano promulgate nello stesso giorno, che fu il 14 luglio 1864.

III.

SISTEMA SCIALOIA.

Ora è tempo che passiamo a considerare il sistema dell' onorevole Scialoia. Ma bisogna notare che esso non se lo formò nella mente tutto insieme e di getto, o almeno non fu espresso da lui in questa guisa. Leggendo gli scritti, da' quali s'intitola il presente articolo, apparisce una successione di concetti che si vanno svolgendo

e modificando fra loro. Come nel regno organico si notano in una specie dei rudimenti che addivengono organi nell'altra, e le forme si susseguono sempre più complesse e svariate; così è di questo sistema finanziario. Laonde crediamo prezzo dell' opera seguirne tutte le fasi, anche perchè ci porgono il destro di penetrarne l' intiero suo significato, ed a tal fine è mestieri risalire a quello studio che lo Scialoia, come membro della Commissione di finanza, nel Senato sottopose alle deliberazioni dei suoi colleghi.

L'Autore, dopo aver dimostrato la origine e il titolo giuridico delle imposte, passa ad esaminare tre massime fra loro diverse, che sono state e sono tuttavia propugnate intorno a questa materia. La prima è la teorica d'Adamo Smith, che stabilisce che i cittadini debbono contribuire al mantenimento dello Stato in proporzione delle loro facoltà, cioè in proporzione delle loro entrate. La seconda è la teorica democratica, la quale vuole che l'imposta non sia in ragione della sola quantità dell'entrata, ma eziandio secondo il rapporto dell' entrata coi bisogni dell' uomo, e sostiene che la vera eguaglianza non è nella proporzionalità, ma nella progressione. La terza teorica, pigliando le mosse da ciò che lo Stato rende dei servigi al cittadino, trova giusto che il cittadino tanto paghi d'imposta quanta è la parte dei servigi che riceve. L'Autore dimostra come ciascuna di queste tre teoriche sia incompleta e però, quando la si pigli esclusivamente, diventi falsa. E di vero non si può negare che la imposta non sia rimunerazione di servigi, ma i servigi che si ricevono non sono sempre in proporzione colla propria entrata. Ma egli è pur vero che ogni cittadino vivendo sotto la protezione dello Stato produce, riscuote, scambia e consuma la propria entrata a fidanza di quella tutela, sicchè l'astratta estimazione dei singoli servigi che

ciascuno riceve, non toglie che vi sia una generale proporzione fra gli averi che si posseggono e i vantaggi che si ritraggono dalla società civile. Pure codesta proporzione rigorosa se si guarda nei suoi effetti torna più grave a chi meno ha, di quello sia al più abbiente; onde per giustificare l'apparente eguaglianza uopo è che sia temperata dalla progressione. Se non che la progressione al di là di un certo termine diventerebbe un privilegio, ed esplicandosi via via finirebbe col distruggere ogni giustizia ed ogni ricchezza.

Il sentimento della imperfezione di ciascuna di queste tre massime fu comune a tutti gli uomini di Stato, ancorchè non sempre da essi avvertito, e produsse la moltiplicità delle imposte, dove l' una corregge, tempera, e supplisce alle altre. Invero talune imposte fanno pagare il contribuente in ragione del servizio che riceve, senza riguardo alcuno ai suoi averi, come la posta, la telegrafia, il tabacco, il dazio di consumo. Altre lo fanno pagare in ragione delle entrate o presupposte o denunziate, come la fondiaria, la tassa dei fabbricati, quella di famiglia, quella sulla ricchezza mobile, e via dicendo: ma sovente in queste tasse è introdotto l' elemento progressivo, in quanto che o si esentano coloro che hanno una tenuissima entrata, oppure si determina una scala nella quota d'imposizione. Un altro punto da notarsi nella dottrina dello Scialoia è il seguente. Gli averi del cittadino (per usare la parola consacrata dallo Statuto laddove parla di tasse), gli averi del cittadino non si compongono soltanto di entrate, ma eziandio di capitali infruttiferi nello stretto senso della parola, e pur nondimeno utili o gradevoli. E nelle sue entrate medesime è mestieri discernere due parti: l'una, colla quale egli soddisfa ai propri bisogni, o si procaccia dei piaceri, e che propriamente va consumata; l'altra, che costituisce un

risparmio, e che convertita in capitale fruttifero porge occasione ad un futuro aumento di entrata. Cotesta ultima parte, a suo tempo, sarà dunque sottomessa ad imposta, ed avrà in essa il suo compimento finanziario. Ma la prima che si attua in ispesa deve essere al tutto estranea alla distribuzione dell'imposta? Lo Scialoia crede di no, e col tassare non solo le entrate, ma eziandio le spese, mira a colpire quella parte di capitale, che, mentre contribuisce a procacciare godimenti e ad accrescere lo splendore della famiglia, non dà però alcun frutto avvenire.

Al lume di queste teoriche lo Scialoia passava ad esaminare il disegno di legge per un'imposta sui redditi della ricchezza mobile, quale era stato presentato al Senato il 22 luglio 1863, e, accettandolo nel suo complesso, vi proponeva solo alcuni temperamenti. Egli si mostrava grande difensore del metodo di repartizione della tassa per contingenti compartimentali, e combatteva fortemente coloro che giudicavano questo metodo repugnante all'indole di essa: al contrario parevagli che il contingente si innestasse meglio in un sistema finanziario, dove le entrate della terra e delle case erano esenti da un' imposta generale sull'entrata in considerazione della fondiaria rurale od urbana, a cui erano altronde sottoposte. Cotesto contingente lo Scialoia voleva dividerlo in tre parti: la prima, molto lieve, rispondeva ai vantaggi che ognuno, comecchè poco agiato di beni di fortuna, ritrae dallo Stato onde colpiva tutti i cittadini, e la sua forma di riscossione era quella del testatico. La seconda parte, la più rilevante, versavasi sopra coloro che posseggono ricchezza mobile e si repartiva in proporzione della medesima, secondo le denunzie dei contribuenti debitamente sindacate. La terza parte del contingente (che non avrebbe dovuto oltrepassare il quarto o il terzo del totale) doveva

ripartirsi secondo il valor locativo, il quale era preso come indizio della parte spendibile dell' entrata. Così l'ordinamento delle tasse dirette era stabilito in questo modo che sopra tutti gravava un testatico, sugli abbienti, se possessori di terre e di fabbricati la fondiaria urbana o rurale, se possessori di ricchezza mobile la tassa sui redditi loro per denunzia; e sugli uni e sugli altri una tassa sul valor locativo. L'individuo, l' entrata, la casa, erano i tre elementi di tassazione.

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Nel leggere questo schema non può non ritornare alla mente un pensiero, quello cioè dello schema presentato dal Bastogi l'11 agosto 1861 alla Commissione deputata sopra di ciò, e del quale ho già toccato innanzi; non si può non ricordare che in quel tempo lo Scialoia era segretario generale delle finanze, e che certamente, e per la natura del suo ufficio e per la qualità dei suoi studii, egli avea dovuto aver parte nella formazione di quello schema. Se non che fra i due concetti spicca una differenza che nel primo, cioè in quello del 1861, il contingente pel valore locativo aveva un carattere meramente temporaneo, era un espediente del momento, da dover essere in appresso cancellato; laddove nello Studio dello Scialoia del 1863 era conseguenza di teoriche economiche, e parte di giustizia distributiva. Ivi la fondiaria rurale ed urbana avrebbe colpito i beni stabili, la mobiliare i beni mobili, la tassa del valore locativo colpiva entrambi. Ma si noti che li colpiva non in quanto alla produzione della ricchezza, sibbene in quanto all'uso che se ne fa; non in quanto v' è entrata, ma in quanto v'è spesa. Si può dunque con fondamento congetturare che in que' due anni si fosse alquanto modificata l'idea dello Scialoia a questo proposito, ma sinora non appa

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• Vedi Scialoia, Studio, pag. 80.

Scialoia, ivi, pag. 73, 83,

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