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Euclide geometra e Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
Averrois, che il gran comento feo.

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Io non posso ritrar di tutti appieno;

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Perocchè si mi caccia il lungo tema,

Che molte volte al fatto il dir vien meno.

La sesta compagnia in due si scema:

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Per altra via mi mena il savio duca,

Fuor della queta, nell'aura che trema; E vengo in parte, ove non è che luca.

1.

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osì discesi del cerchio primaio
Giù nel secondo, che men loco cinghia,
E tanto più dolor, che pugne a guaio.
Stavvi Minos orribilmente e ringhia: 4

Esamina le colpe nell'entrata,

Giudica e manda, secondo che avvinghia. Dico, che quando l'anima mal nata

Li vien dinanzi, tutta si confessa; E quel conoscitor delle peccata Vede qual loco d'inferno è da essa: Cignesi colla coda tante volte,

Quantunque gradi vuol che giù sia messa.

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Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:

Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono, e poi son giu volte.
O tu, che vieni al doloroso ospizio,

Disse Minos a me, quando mi vide,
Lasciando l'atto di cotanto ufizio,
Guarda com'entri, e di cui tu ti fide:

Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare! E il duca mio a lui: Perchè pur gride? Non impedir lo suo fatale andare:

Vuolsi così colà, dove si puote

Ciò che si vuole, e più non dimandare.
Ora incomincian le dolenti note

A farmisi sentire: or son venuto
Là dove molto pianto mi percote.

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Io venni in loco d'ogni luce muto,

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Che mugghia, come fa mar per tempesta,
Se da contrari venti è combattuto.

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Quivi le strida, il compianto e il lamento,

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Nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

Così quel fiato gli spiriti mali.

Di qua, di là, di giù, di su gli mena:

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Nulla speranza gli conforta mai,

Non che di posa, ma di minor pena.

E come 1 gru van cantando lor lai,
Facendo in aer di sè lunga riga;
Così vid'io venir, traendo guai,
Ombre portate dalla detta briga:

Perch'io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti, che l'aura nera si gastiga?

La prima di color, di cui novelle

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Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
Fu imperatrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,

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Che libito fe' licito in sua legge,

Per torre il biasmo, in che era condotta.

Ell'è Semiramis, di cui si legge,

58

Che succedette a Nino, e fu sua sposa:

Tenne la terra, che il Soldan corregge.
L'altra è colei, che s'ancise amorosa,
E ruppe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatras lussuriosa.

Elena vidi, per cui tanto reo

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Tempo si volse, e vidi il grande Achille,

Che con amore al fine combatteo.

Vidi Paris, Tristano; e più di mille

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Ombre mostrommi e nominolle a dito, Che amor di nostra vita dipartille. Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito

Nomar le donne antiche e i cavalieri,
Pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
Io cominciai: Poeta, volentieri

Parlerei a que' due, che insieme vanno,
E paion si al vento esser leggieri.

Ed egli a me: Vedrai, quando saranno
Più presso a noi; e tu allor li prega

Per quell'amor che i mena; e quei verranno,

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Si tosto come il vento a noi li piega,
Mossi la voce: O anime affannate,
Venite a noi parlar, s'altri nol niega.
Quali colombe dal disio chiamate,
Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido
Volan per l'aer dal voler portate:
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l'aer maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.

O animal grazioso e benigno,

Che visitando vai per l'aer perso

Noi che tignemmo il mondo di sanguigno:

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Se fosse amico il re dell'universo,

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Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Poichè hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar ti piace
Noi udiremo e parleremo a vui,

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Mentrechè il vento, come fa, si tace.

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Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.

Amor, che a nullo amato amar perdona,

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Mi prese del costui piacer sì forte,

Che, come vedi, ancor non mi abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:

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Caina attende chi vita ci spense.

Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime offense,

Chinai 'l viso, e tanto il tenni basso,
Finchè il poeta mi disse: Che pense?

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