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Non puon far a Amor riparo
Se non genti rozze e 'ngrate :
Ora insieme mescolate
Fanno festa tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:
Di doman non c'è certezza.
Questa soma che vien dreto
Sopra l'asino, è Sileno :
Così vecchio è ebbro e lieto,
Già di carne e d'anni pieno :
Se non può star ritto, almeno
Ride e gode tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:
Di doman non c'è certezza.
Mida vien dopo costoro:
Ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
Poichè l' uom non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
Chi ha sete tuttavia?

Chi vuol esser lieto, sia:

Di doman non c'è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi :

Di doman nessun si paschi ;
Oggi siam, giovani e vecchi,
Lieti ognun, femmine e maschi;
Ogni tristo pensier caschi:
Facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
Di doman non c'è certezza.

Donne e giovanetti amanti,
Viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core !
Non fatica, non dolore!
Quel ch'a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
Di doman non c'è certezza.
Quant'è bella giovinezza
Che si fugge tuttavia!

GIROLAMO SAVONAROLA.

Terzogenito di sette figli nacque Girolamo Savonarola in Ferrara il 21 settembre 1452, da Niccolò ed Elena Bonaccossi di Mantova, donna di nobile casa e d'alto animo. Fu istruito per i primi anni dall'avo Michele, medico celebre della Corte estense, e poi dal padre nella filosofia scolastica. Poco sappiamo per altro, della

sua giovinezza: egli viveva solitario negli studj degli scrittori antichi, del disegno, della musica; in orazione, in digiuni, poco curante dello splendore delle feste e della gaia vita di Ferrara. Non ancor ventenne, amò non corrisposto una figliuola naturale d'uno Strozzi fiorentino, esule a Ferrara. Formato il proposito di darsi alla vita claustrale, il 24 aprile 1475 lasciò Ferrara e si presentò al collegio di san Domenico in Bologna, di dove scrisse ai genitori la presa risoluzione. Vi dimorò sette anni, divenne maestro dei novizj, e si dette poi alla predicazione. Nel 1481 predicò a Ferrara, donde, per le ostilità allora aperte contro quella città, si recò l'anno stesso

a Firenze nel convento di San Marco e vi menò vita ritirata, non troppo benvoluto dalla cittadinanza, nè dagli eruditi ed artisti, che non teneva in gran conto. Nel 1482 fu addetto all'insegnamento dei novizj; predicò, senza buon successo, in San Lorenzo e prese parte a un capitolo a Reggio d'Emilia, dove fu ammirato anche da Giovanni Pico della Mirandola. Tornato a Firenze ricominciò la predicazione, quando predicava, ammirato da tutti, Fra Mariano da Gennazzano. Nel 1484-85 predicò a San Gimignano; nel

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1486-89 in Lombardia, ma fu poi richiamato per desiderio di Lorenzo de' Medici a Firenze, dove a poco a poco (1491) colle sue prediche, nelle quali dichiarava specialmente e con interpretazione assai libera la Bibbia, si guadagnò il favore della città. Nel luglio 1491 fu eletto priore di San Marco; rifiutò di fare ossequio al Magnifico di cui predisse la morte; lo visitò, a sua richiesta, poi (aprile 1492), morente in Careggi. Crebbe la sua fama, insieme col suo mistico esaltamento e la sua fede nelle visioni e nelle profezie. Continuò a predicare in Firenze e fuori, e ottenne la separazione della congregazione toscana del proprio Ordine da quella di Lombardia. Ne fu nominato provinciale (15 novembre 1494) e tentò la riforma della disciplina. Nelle prediche fece predizioni che si avverarono (1494), sicchè fu fatto ambasciatore a Carlo VIII e fatalmente si trovò a doversi occupare delle faccende politiche di Firenze,

1 Vedi I. DEL LUNGO, Il S. e i Senesi, in Bullett. senese di storia patria, II, 197.

Vedi F. Tocco, Il S. e la profezia, in Vita ital. del Rinascimento, Milano, Treves, 1893, pag. 349.

proponendo e procurando riforme politiche importantissime (1495) per un governo civile ed universale, dando così origine a nuove fazioni, finché proclamò Cristo re di Firenze, e predicò per ottenere anche la riforma de' costumi (1496). Ai suoi danni congiurarono Piero de' Medici cogli Arrabbiati e il Moro; Alessandro VI che lo invitava a Roma (1495) lo tentò invano coll'offerta del cardinalato, e sempre più sdegnato della sua grande fama e autorità (1496), mentre in Firenze i Compagnacci ne insidiavano continuamente la vita, gli proibì di predicare, e finalmente lo scomunicò (maggio-giugno 1497). Il Savonarola si difese anche per iscritto; e, protestando, nel Natale del 1498 celebrò la messa e continuò le prediche, disobbedendo al papa e vagheggiando sempre più l'idea d'un Concilio per la riforma della Chiesa. Il 7 aprile doveva, proposto dai suoi fautori, aver luogo il famoso esperimento del fuoco: i cittadini per mille modi aizzati si rivoltarono contro di lui, che, assalito in San Marco, ebbe intimazione d'esilio; poi fu legato e trasportato tra gli insulti della folla nella carcere dell'Alberghettino. Esaminato, torturato, processato più volte, benchè riconosciuto innocente, con due suoi compagni fu condannato a morte (22 maggio) e con quelli impiccato e bruciato il 23 maggio dello stesso anno 1498, in piazza della Signoria: le ceneri furono gettate in Arno. Il suo nome, per la memoria e la tradizione di molti prodigj attribuitigli, fu poi da taluni venerato come quello d'un santo; mentre altri, sia per esaltarlo sia per vituperarlo, lo giudicarono un precursore di Lutero e della Riforma, ed altri ancora videro in lui soltanto un fanatico, nemico dell'arte e d'ogni intellettuale cultura, restitutore della barbarie medievale. Ma egli apparisce, se si giudichi con serena coscienza, un' anima veramente grande e desiderosa del bene, se anche, come uomo, non esente da difetti.

La controversia sulla sua ortodossia e sui suoi meriti riarse ai giorni nostri, quando, nel 1898, se ne celebrò a Ferrara e a Firenze il quarto centenario dalla morte.3 La sua ortodossia fu ̧vivamente impugnata da L. PASTOR nella Gesch. d. Päpste, vol. III, e contro lui difesa specialmente da P. LUOTTO, Il vero S. e il S. di L. Pastor (Firenze, Succ. Le Monnier, 1897) al quale rispose il PASTOR, Zu Betheilung S.'s, Freiburg, 1898. Altri scritti in difesa sono, fra gli altri: P. VILLARI, Il S. e l'ora presente (in Riv. d'Italia, luglio 1898); E. PISTELLI, La questione savonaroliana (in Rass. Naz., CI, 214) e Nuove pubblicaz. savonarol. (ibid., LII, 180); F. Po

1 Vedi F. G. S. e il luogo ove fu arso, inaugurandosi una memoria nella Piazza della Signoria, Firenze, tip. Capaccioli, 1901.

Vedi su tal controversia, G. GRUYER, Les illustrations de G. S. et lea paroles de S. sur l'art, Paris, 1880; G. GNERGHI, G. S. nelle lettere e nelle arti, in Rass. Naz. del 1° luglio 1901; 0. CHILESOTTI, S. musicista, in Riv. music. ital., VI, 4 ec.

3 Vedi Quarto Centenario dalla morte di G. S., Firenze, San Marco, 1898.

METTI, G. S. nel quarto centenario dalla sua morte (in Nuova Antol. del 1° giugno '98); G. SCHNITZER, Giudizj del Pastor sul S. (in Rass. Naz., 16 giugno '98) ec. - La controversia è largamente esposta nel vol. Il Savonarola e la critica tedesca, con Prefazione di P. VILLARI, ed Introduzione di F. Tocco, Firenze, G. Barbèra, 1900.

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Compose in prosa molte scritture, in italiano e in latino: Trattati di materia ascetica, teologica, polemica; gran parte dei quali editi lui vivente; Lettere, pure in italiano e in latino. Molte cose sue, poi, andarono disperse o bruciate o son rimaste inedite. Ricordiamo tra le opere conservateci l'esposizione sul Miserere c sul salmo In te Domine speravi, scritte in prigione, ristampate poi da Martin Lutero (Argentorati, 1524); i Sermoni, che disse sempre in italiano, e che durante la sua infaticabile predicazione venivano raccolti e pubblicati da Lorenzo Violi notaro fiorentino; ? il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, stampato vivente l'autore (s. 1. nè a.), scritto ne' primi del 1498. In poesia scrisse Canzoni (1472-1475), Laudi spirituali (1484-1496) per contrapposizione ai Canti carnascialeschi, alcune pubblicate vivente l'autore, e poi sparsamente. Non si può assegnare al Savonarola un luogo singolare tra i molti laudesi e poeti sacri del tempo. Nella prosa, e specialmente nelle Prediche, benchè non vi si possa da noi posteri lontani ritrovare quel che di speciale, che loro conferivano le condizioni de' tempi e del luogo, e la voce e il gesto dell'oratore, sentiamo, anche alla lettura, l'efficacia e vecmenza del discorso, pur essendo costretti a riconoscervi una certa ruvidezza di forma.

[Per le notizie biografiche e bibliografiche, vedi P. VILLARI, La storia di G. Savonarola, ec., 2a ediz., Firenze, Succ. Le Monnier, 1887-88; la cit. Scelta di prediche ec. per cura di P. VILLARI ed E. CASANOVA, con nuovi documenti intorno alla vita di G. S.; G. MAC HARDY, S., Edimburg, Clark, 1901; E. L. L. HORSBURG, G. S., London, Methuen, 1901. Non è mancato il solito contributo dei seguaci delle stranezze lombrosiane, col libro di G. PORTI GLIOTTI, Un grande monomane, fra G. S., Torino, Bocca, 1902, contro il quale vedi A. GHERARDI, Di una novissima dottrina int. al S., in Rass. Naz. del 2 nov. 1902.]

1 Vedi G. CAPPONI, Alcune lettere per la prima volta pubblicate, Firenze, Barbèra, Bianchi e C., 1858; altre furono pubbl. di recente: ad es, da G. NICCOLINI, Tre lettere ec., in Arch. stor. ital., serie V, XIX, 205.

2 Le prediche furono ripubblicate da G. BACCINI, Fireuze, Salani, 1889, e da P. VILLARI ed E. CASANOVA, Scelta di prediche e scritti di fra G. 8, Firenze, G. C. Sansoni, 1898. Recentemente furono tradotte in tedesco da H. SCHOTTMULLER, Berlin, Behr, 1901.

3 Quindi in Firenze (Baracchi, 1847), Poesie di ler. Sav. per cura di AUDIN DE RIANS, col Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze; e da G. CAPPONI, presso il Cecchi, 1862; e vedi su di esse F. CAVICCHI, Le rime di F. G. S., Ferrara, tip. sociale, 1898.

Firenze e il governo civile. Non si può dubitare che se il popolo fiorentino patisse il governo di uno, saria da instituire in lui un principe, non un tiranno, il quale fussi prudente, giusto e buono. Ma se noi esaminiamo bene le sentenze e ragioni delli sapienti, così filosofi come teologi, conosceremo chiaramente che, considerata la natura di questo popolo, non li conviene tale governo. Però che dicono tale governo convenirsi ai popoli che sono di natura servile, come sono quelli che mancano di sangue o d'ingegno, o dell'uno e dell'altro: perocchè, avvengachè quelli che abbondano di sangue, e son forti di corpo, siano audaci nelle guerre, nientedimeno, mancando d'ingegno, è facile cosa a farli stare subietti ad un principe; perchè contro di lui non son facili a macchinare insidie per la debilità dello ingegno, anzi lo seguitano come fanne le api il suo re, come si vede nei popoli aquilonari;1 e quelli che hanno ingegno, ma mancano di sangue, essendo pusillanimi, si lasciano facilmente sottomettere a uno solo principe, e quietamente vivono sotto quello, come sono li popoli orientali, e molto più quando mancassino nell' una e nell' altra parte. Ma li popoli che sono ingegnosi ed abbondano di sangue, e sono audaci, non si possono facilmente reggere da uno, se lui non li tiranneggia; perchè continuamente, per lo ingegno, vanno macchinando insidie contro il principe, e per la loro audacia facilmente le mettono in esecuzione, come si è visto sempre nella Italia, la quale sappiamo, per l'esperienza dei tempi passati insino al presente, che non ha mai potuto durare sotto il reggimento di un principe: anzi vediamo che, essendo piccola provincia, è divisa quasi in tanti principi quante sono le città, le quali non stanno quasi mai in pace.

Essendo dunque il popolo fiorentino ingegnosissimo tra tutti li popoli d'Italia, e sagacissimo nelle sue imprese, ancora è animoso e audace, come si è visto per esperienza molte volte; perchè, avvenga che sia dedito alle mercanzie, e che paia quieto popolo, nientedimeno quando comincia qualche impresa, o di guerra civile o contro gl'inimici esterni, è molto terribile ed animoso, come si legge nelle croniche delle guerre che ha fatte contro diversi grandi principi e tiranni, alli quali non ha mai voluto cedere, anzi finalmente si è difeso, ed ha riportata vittoria. Da natura dunque di questo popolo non è da sopportare il governo di un principe, etiam che fosse buono e perfetto; perchè essendo sempre più li cattivi che li buoni, per la sagacità ed animosità de'cittadini cattivi, o che saria tradito e morto (essendo loro massimamente inclinati all'ambizione), o che bisogneria che diventasse tiranno. E, se più diligentemente consideriamo, intenderemo che non solo non conviene a questo popolo il governo di uno, ma ancora non li conviene quello delli ot

1 Settentrionali.

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