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e dalla Norvegia (1448) per non aver più voluto partecipare con esse alla Unione di Kalmar, la Svezia assai peggiorò, segnatamente nel tempo del gran maresciallo e re Carlo VIII Canutson (1448-1470). Di tratto in tratto per causa d'inimicizia asprissima tra i Danesi e i Norvegesi, e non di rado vinto ed espulso da costoro, egli fu sostituito da varj amministratori l'uno peggiore dell' altro. La Svezia soltanto si riebbe sotto la dinastia dei Wasa, incominciata da Gustavo I (1523-1560), e quindi levatasi a meravigliosa altezza mercè la prudenza e le segnalate vittorie di Gustavo Adolfo (1611-1632).

La Confederazione Elvetica, oggimai libera e affatto indipendente dall'impero tedesco e dai signori di Asburgo, va rafforzandosi ed aggiungendo con sè altri Cantoni. Già fin dal principio della gloriosa e quasi leggendaria insurrezione eransi stretti in amichevole alleanza Uri, Schwitz e Unterwalden; poi Lucerna, Zurigo, Glaris, Zug, Berna, Soletta e Friburgo: Basilea e Sciafïusa si unirono alla fraterna lega nel 1501, Appenzel nel 1513: i rimanenti sul principiare del secolo decimonono.

Mentre nel Cinquecento lo stato politico d'Italia era sventuratamente privo di ogni unità, libertà e indipendenza (molto biasimevoli e corrotti erano altresì i privati e i pubblici costumi), al contrario, nessun altro secolo e nessun altro paese produssero, come già notammo tanto splendore e tanta squisitezza di belle arti in tutte le città nostre, ma specialmente a Firenze, Roma e Venezia. Tre sublimi artisti Leonardo da Vinci (1452-1519), Raffaello Sanzio da Urbino (1483-1520) e Michelangelo Buonarroti (1175-1564) resero immortali i loro capolavori. Cotesti sommi maestri non si discutono; il buon senso li ha giudicati perfetti. Alla insuperata triade di cosiffatti maestri seguono a breve distanza parecchi altri artisti, dei quali il nostro paese va debitamente superbo. Primeggiano nell'architettura Andrea Palladio vicentino, Michele Sanmicheli veronese, Jacopo Barozzi (il Vignola) modenese e i Sangallo fiorentini; nella scultura, ed anche impareggiabile fonditore ed orafo, Benvenuto Cellini di Firenze (1500-1571) e Giambologna di Douai discepolo di Michelangelo. Nella pittura si sono distinti varj gruppi a seconda del paese nativo o meglio della scuola speciale a cui appartengono; così il Correggio, il Giorgione, Tiziano Vecelli da Cadore (1477-1576), Paolo Veronese, il Tintoretto e il Bassano sono della scuola veneta, mirabile per il forte e smagliante colo rito; Giulio romano e Perin del Vaga della romana; Andrea del Sarto (1487-1531) e il Bronzino della fiorentina: il Luini, il Lanino e il Ferrari della lombarda. Sull'ultimo del secolo, allorquando le lettere già cominciavano a deviare e a guastarsi per quella gonfiezza, che poi si disse secentismo, anche le arti belle presero lo stesso andazzo ed esse pure si corruppero e si guastarono sino poi a cader nel barocco, che fu lo stile caratteristico e dominante nel secolo decimosettimo. Non del pari la musica, chè anzi

molto progredi: fu insigne maestro di cappella a Roma Pierluigi (Giovanni Pietro Aloisio Sante: 1514-1594) da Palestrina, allievo dell' avignonese Claudio Goudimel.

La stupenda perfezione delle arti italiane bentosto invoglio ad emularle gli artisti stranieri, massimamente i francesi, auspice Francesco I. Infatti, Leonardo da Vinci, Andrea del Sarto, il Cellini ed altri vennero da costoro, col vivo desiderio di studiarli, invitati e imitati. Degli architetti, discepoli o imitatori, si notano Lescot e Delonne; degli scultori Goujon, Pilon e Cousin; nelle terrecotte è rinomato Bernardo di Palissy; nella pittura i francesi furono di gran lunga inferiori. Ma invece i pittori delle scuole fiamminga e olandese gareggiano con gli italiani, ancorchè sostanzialmente differiscano nello stile, nella composizione e nel genere, e sieno alquanto posteriori d'età. Tra i fiamminghi meritano specialissima menzione Pier Paolo Rubens di Siegen (1577-1640), Antonio Van Dyck di Anversa (1599-1641), il vecchio e il giovane Teniers; tra gli olandesi il Rembrandt di Leida (1607-1669), il Wouwerman, il Potter, il Ruysdael, ec.

Di tutte le scienze, quelle così dette positive » prevalsero, e a mano a mano sviluppandosi, produssero una vera rivoluzione nelle leggi fondamentali dell' astronomia e nel metodo scientifico. L'insigne canonico Niccolò Copernico (n. a Thorn il 19 febbraio 1479, e m. il 24 maggio 1543) con l'opera De revolutionibus orbium coelestium (pubblicata a Norimberga nel 1543, l'anno stesso della sua morte) confutò vittoriosamente il sistema di Tolomeo, dimostrandolo del tutto errato ed assurdo e gli sostituì il proprio, che poi i dotti accettarono convinti della sua verità. Tycko-Brahe di Kundsturp (1546-1601), sebbene sia assai lungi dalla dottrina copernicana, nonostante qualche parte di essa intravide; ma il fiorentino Galileo Galilei (n. a Pisa il 18 febbraio del 1564, e m. að Arcetri 1'8 gennaio del 1642) tra non molto tempo la propugnerà vigorosissimamente con gli scritti immortali contro gli ostinati partigiani di Tolomeo, contro i sofismi e i ciechi errori della filosofia scolastica e contro la stessa Inquisizione romana. Nel novero dei pensatori e luminosi investigatori del vero, debbonsi ricordare Giovanni Keplero vurtemberghese (1571-1631), potente astronomo; il medico inglese Guglielmo Harvey (1578-1658), che dimostrò e spiegò la circolazione del sangue; il domenicano filosofo e martire per le sue dottrine eterodosse, Giordano Bruno da Nola (1550-1600); il frate e liberale filosofo, e talora perciò perseguitato, Tommaso Campanella da Stilo (1568-1639); il protestante e valente giure⚫ consulto Alberico Gentile da San Ginesio (1551-1611); l'umanista Carlo Sigonio modenese (1523-1584); il cardinal Cesare Baronio di Sora autore degli Annales ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198 e parecchi altri. I tedeschi e i fiamminghi si applicarono di preferenza agli studj classici, all'archeologia, alle dispute intorno alla Bibbia e alla religione, e non pochi di costoro sono

certamente meritevoli d'esser tenuti in gran pregio. Ad esempio, Giovanni Reuchlin di Pforzheim (1455-1522), celeberrimo umanista, fu anche precursore della Riforma; l'altro umanista Desiderio Erasmo di Rotterdam (1467-1536) dapprima professò la stessa dottrina, quindi, cambiata opinione, la combattè asprissimamente con le diatribe sul libero arbitrio; Filippo Schwarzerd di Bredden (1497-1560) grecizzatosi col nome « Melanchton », oltrechè dottissimo, può riputarsi il più caldo e animoso seguace di Martino Lutero; ma niuno per verità al pari di Lutero fu così erudito, infaticabile e saldo ne' suoi propositi; egli, tra gli altri studj, volgarizzò con molta eleganza (1523) il nuovo Testamento nel proprio dialetto sassone, che appunto per questo diventò la lingua letteraria e nazionale della Germania.

La storia del secolo decimosesto narra avvenimenti importantissimi, e li abbiamo accennati. Riassumendoli per sommi capi, ci si presentano primieramente il regno di Spagna, la casa di Asburgo e la Chiesa romana cattolica, già floridissimi e padroni del mondo, ora alcuni in parte, ora altri del tutto cadenti in ruina. Orgogliosi monarchi per vicendevole gelosia e scellerate ambizioni cagionarono lunghe e micidiali guerre: indi sfiniti e immiseriti, si rappacificarono e si studiarono faticosamente di riparare i danni sofferti dai loro popoli sventurati. L'intiero secolo vide ferocissime e pazze contese di cristiani tra loro, i quali si dilaniarono e si divisero, irreconciliabili avversarj, in protestanti e in cattolici. Stati di vecchio ordinamento condotti a mal partito da dissennata amministrazione, per avventuroso impulso di principi e di ministri operosi e sapienti, ringiovaniscono e si rialzano, forti di fiducia e di milizia paesana, doviziosi d'industrie e di commerci, inciviliti da savie leggi e da istituzioni benefiche. Talune genti, povere, oppresse e spregiate, mediante la fermezza e l'ingegno, spezzano il duro giogo e assurgono a vendicare l'onore e la libertà della patria. Popoli rigogliosi e fiorenti cercano a gara e scoprono nuove terre, e sulle fortunate spiaggie stabiliscono colonie agricole, dissodano immense e secolari foreste e scavano preziosi metalli. Anche i paesi meno confortati dai doni della natura pur vi riescono mediante l'intelligenza e l'assiduo lavoro. La nostra Italia, serva e divisa tra imperiosi signori, avrebbe dovuto esser definita in questo secolo « un'espressione geografica conforme più tardi venne vilipesa da un noto ministro tedesco; ma per effetto dei lodatissimi studj del Rinascimento, in nessun' altra terra giammai fiori del pari così splendida e svariata cultura di scienze, lettere ed arti, talchè questo periodo, straordinariamente prodigioso e fecondo, fu da tale aspetto per unanime consentimento proclamato « il secolo d'oro ».

NOTIZIE LETTERARIE.

Variamente è giudicato nella storia delle nostre lettere il secolo XVI, poichè se taluni lo chiamano aureo, altri coll' Alfieri sentenziano ch'esso chiacchierò di soverchio. Se non che, siffatte sentenze alla lesta e per le quali si vuole con un solo vocabolo, e in forma epigrammatica, determinare l'indole di molti fatti contenuti in una lunga serie di anni, vanno accolte con gran diffidenza; e l'Alfieri stesso, ritornandoci sopra, avrebbe corretto ciò che disse del Cinquecento, al modo stesso come, dopo aver gettato via negli anni giovanili il Galateo del Della Casa, a cagione di quell'iniziale conciossiacosachè, confessò di averlo negli anni maturi letto e riletto con gusto e profitto non piccolo.

La letteratura italiana del Cinquecento è il frutto del lungo lavoro fatto nel secolo antecedente a fine di appropriarsi la cultura classica, e consertarla con tutto quello che di nuovo aveva recato seco la mutata civiltà; è la piena e ricca manifestazione di una vigoria intellettuale giunta al suo rigoglio, e che pure ha diversa manifestazione nella prima e nella seconda metà del secolo, in relazione colle mutate sorti della vita politica italiana. Non vi ha, invero, forma letteraria che nel Cinquecento non sia stata trattata; il poema romanzesco, epico, didascalico; la storia generale e particolare e la teorica politica; la ricerca erudita, l'analisi filologica e l'illustrazione artistica; la novella, la commedia, la tragedia, l'ecloga, l'epistolografia, il dialogo, il trattato morale; si tentarono anche nuove forme, ad esempio la poesia burlesca nell'atteggiamento datole dal Berni, e la rappresentazione tragicomica, nonchè il dramma pastorale e il melodramma. Tutto questo è prova di una maturità d'intelletto, alla quale gli altri popoli di Europa non erano giunti allora, e non giunsero se non più tardi, e mercè nostra.

Questa maturità d'intelletto si mostra soprattutto in quei generi che raggiunsero maggiore eccellenza, e che diedero frutti imperituri. Ricordiamo quel che produsse il Cinquecento nella poesia epica e nella storia. L'epica fu trattata da due ingegni grandissimi, assai diversi l'un dall'altro: sicchè la disputa della preminenza fra l'Ariosto e il Tasso servì di trastullo ad accademici oziosi, ma non può farsi seriamente, tanto quei due poeti sono diversi nel fine e nei mezzi, e tanto diverse sono le condizioni de'tempi in che vissero, e ch'essi ritraggono nelle loro opere. Giocondo, lepido, fiorito è il poema dell'Ariosto, che si direbbe essere il sorriso d'Italia sul principio del secolo decimosesto, quando, sebbene già irrompessero fra noi gli stranieri, la vita sembrava un lieto carnevale, e i Papi, con Leone X, erano a capo di quel novissimo tripudio. Ma in quel cielo limpido e sereno, cominciavano già a stendersi le nubi: e il poema, che non ha principio in sè e sembra procedere senza sapere dove e quando finirà, che apparisce quasi senza concetto

organico, e composto soltanto per intrattenere il lettore con un diletto puramente estetico, è qua e là interrotto da gridi di dolore e da fiere rampogne agli Italiani, prossimi, per loro ignavia, alla servitù. Tuttavia, ciò che più colpisce in un componimento di sì apparente levità e dove sembra predominare soltanto l'immaginazione, è la straordinaria conoscenza del cuore e delle passioni umane, è la meravigliosa maestria dell'autore nel ritrarre con precisione d'arte e ricchezza d'eloquio, tanti e si diversi caratteri. L'Ariosto sta per ciò a non grande distanza da Dante e dal Boccaccio; e il poema di lui, anche ora che niuno più s'appassiona, colla curiosità degli antichi uditori e lettori di storie cavalleresche, pel suo Carlomagno e per la cavalleria, ha l'attrattiva di una grand'opera d'arte; si legge da giovani per diletto di fantasia, si rilegge da vecchi per ritrovarvi la conferma dei dettati dell'esperienza, e vagheggiarvi il sommo magistero dell'arte poetica rappresentatrice d'uomini e di cose.

Il Tasso, invece, è serio, studioso della regolarità nel tutto e nelle parti, fors' anche un po' compassato e come inamidato alla spagnuola: l'argomento da lui prescelto, tutto morale e religioso, esclude ogni lepidezza e ogni scherzo; l'arte vi ha tuttavia un che di morbido, di tenero, di elegiaco, ma la voluttà, regina nel Furioso, è qui rappresentata come una colpa; ed ei sembra piuttosto vittima che padrone dei fantasmi, specialmente femminili, che crea la sua immaginativa: si direbbe che il suo poema, con tante la crime e senza mai un sorriso, rappresenti lo stato d'Italia dopo la caduta delle libertà politiche e dopo il Concilio di Trento. Il Furioso è il più compiuto esempio di poesia cavalleresca: vario, irregolare, capriccioso, informato ad un amabile epicureismo; la Gerusalemme è il più compiuto esempio dell'epica rinnovata: grave, solenne, strettamente uno, con predominio di sensi ascetici e devoti; ma ambedue, senza far tra essi vani paragoni di precedenza, sono da annoverare fra le più belle opere del secolo XVI e di tutta la letteratura italiana.

La storia sorse in questo secolo a grande altezza, massimamente col Machiavelli e col Guicciardini: diversi l'un dall'altro nel campo della storiografia, non meno che i due sopra ricordati nel campo dell'epica; ma ambedue sommi nel comprendere collo sguardo un'ampia serie di eventi, nel rannodare gli effetti alle cause, nel trarre dai fatti profondi ammaestramenti politici, nel dipingere al vivo caratteri umani. E ad essi fa corona una schiera di storici, per la massima parte fiorentini, che vengono detti minori, soltanto per prossimità di tempo e somiglianza di materia con codesti due grandissimi.

Basterebbe l'aver accennato a tali due forme di scritture, che allora raggiunsero veramente il più alto culmine di perfezione; ma anche gli altri generi, che sopra ricordammo, vantano opere di gran merito. Non molto abbiamo potuto dare, e per buone ragioni,

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