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luomini forestieri, che ogni anno delle terre circostanti vengono a vedere la bellezza e magnificenza di tale festa: ed evvi per detto corso tanta gente, che par cosa incredibile, di forestieri e cittadini, che chi non lo vedesse, non lo potrebbe credere nè immaginare. Dipoi al suono de'tre tocchi della campana grossa del Palagio de Signori, i corsieri apparecchiati alle mosse si muovono a correre; ed in sulla torre si veggono per li segni delli ragazzi, che su vi sono, quello è del tale e quello è del tale, venuti da tutti i confini d'Italia i più vantaggiati corsieri barbareschi del mondo: e chi è il primo che giugne al palio, lo guadagna, il quale è portato in sur una carretta triunfale con quattro ruote, adorna con quattro lioni intagliati, che paiono vivi, uno in sur ogni canto del carro, tirato da due cavalli covertati col segno del Comune loro, e due garzoni, che gli cavalcano e guidano; il quale è molto grande e ricco palio di velluto chermisi fine in due palj, e tra l'uno e l'altro uno fregio d'oro fine, largo un palmo, foderato di pance di vaio, e orlato d'ermellini, infrangiato di seta e d'oro fine, che in tutto costa fiorini 300 o più: ma da un tempo in qua s'è fatto d'alt'e basso broccato d'oro bellissimo, e spendesi fiorini 600 o più. Tutta la gran piazza di San Giovanni e parte della via è coperta di tende azzurre con gigli gialli: la chiesa è una cosa di maravigliosa figura; ed altro tempo richiederà a parlare d'essa, quando aremo a dire degli ornamenti di quella città. (Dalla Storia di Firenze, ediz. cit., pag. 84 e segg.)

LEONARDO BRUNI.

Chiamato comunemente Leonardo Aretino, nacque in Arezzo nel 1369, di povera famiglia. Quando suo padre Francesco fu esiliato d'Arezzo e incarcerato nel castello di Pietramala, egli, ancor giovinetto, venne chiuso nel castello di Quarata; ove, nella stanza assegnatagli, era dipinto il ritratto di Francesco Petrarca ; e questo ritratto guardando egli tutt'i giorni, fu (come racconta. nel Rerum suo tempore ec. commentarius) acceso di grand'ardore per le discipline, che quegli aveva coltivato. In Firenze imprese poi lo studio della giurisprudenza, che più tardi abbandonò per seguire la disciplina letteraria di Emanuele Crisolora e di Giovanni da Ravenna e gli incitamenti del vecchio Coluccio Salutati, pel quale nutri un affetto filiale. Nel 1405 andò a Roma e fu segretario di Innocenzo VII e de' suoi successori. Negli ultimi mesi del 1410, fu eletto da' fiorentini cancelliere della Repubblica, ma non rimase a lungo in Firenze, e verso la metà del 1411, ritornò

a Roma nella corte pontificia come segretario di Giovanni XXIII. Nel 1412 si ammogliò; nel 1414 seguì Giovanni XXIII al Concilio di Costanza, ma tornò a Firenze di nuovo nel 1415; qui riprese i suoi studj e frequentò le compagnie degli eruditi fiorentini. Ebbe poi aspra polemica con Niccolò Niccoli. Si dette a scrivere la Storia della Repubblica in latino, dalle origini della città fino al 1402, che per incarico della Signoria fu poi tradotta in volgare da Donato Acciaiuoli. Ne restano XII libri: compiuto il primo di essi ebbe la cittadinanza fiorentina (1416), alla fine di nove libri (1439) l'esenzione dall'imposte e gabelle per sè e suoi discendenti. Nel 1426 andò ambasciatore a Martino V; fu di nuovo e con patti onorevolissimi Cancelliere dei Signori, ossia Segretario della Repubblica (1427); e attendendo agli affari dell'alto uffizio e agli studj, visse fino all'8 marzo 1444. Fu sepolto in Santa Croce in un mausoleo scolpito da Bernardo Rosellino, con epitaffio di Carlo Marsuppini. L'accompagnamento fu solennissimo; Giannozzo Manetti recitò l'orazione funebre, e cinse al morto, che aveva sul petto il volume della sua Storia, la corona d'alloro.

Non accade qui di parlare a lungo delle molte traduzioni latine dal greco e delle opere latine del celebre umanista, che fu riputato il più grande scrittore in latino della prima metà del Quattrocento; ma non è da tacere di alcuni suoi scritti risguardanti la storia civile e letteraria fiorentina; e sono un trattato greco sulla costituzione politica di Firenze, la Laudatio florentina urbis,3 modellata sull' orazione di Aristide in lode di Atene, i discorsi indirizzati a Pier Vergerio, nei quali si discute pro e contro « le tre corone, vale a dire sui meriti di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, e che, come il Paradiso degli Alberti di ser Domenico da Prato, è documento della cultura fiorentina sullo scorcio del sec. XIV e dell'atteggiamento degli umanisti rispetto alla letteratura volgare. Importante è l'Epistolario, già raccolto dal Mehus nel 1741, e sul quale si attende uno studio critico di F. P. Luiso." In esso si trova (VI, 10) la famosa lettera sull'origine del latino

1 Vedi A. GHERARDI, Notizie int. a L. A. e alle sue Storie fiorent., in Arch. stor. ital., s. IV, XV, 416 (1885).

2 Edito da C. F. NEUMANN, Francoforte, Happer, 1882, e riprodotto con traduzione italiana da G. JORIO nella Riv. Abruzzese, X, 93 e segg.

3 Ne pubblicò alcuni brani G. KIRNER, nell'opusc. Della Laudatio urbis florent. de L. B., Livorno, Giusti, 1889, e altri K. WOLTKE nei Beiträge z. Gesch, u. Literat., Greifswald, 1888, II; e una traduz. ital. di un contemporaneo, F. P. Luiso, Le vere lode de la inclita et gloriosa città di Fir., trad. da fr. Lazaro da Padova, Firenze, Carnesecchi, 1899 (cfr. Rass, bibliogr. lett. ital., VII, 184).

Li pubblicarono contemporaneamente, K. WOLTKE, Wien, Tempsky, 1889 col tit. Dialogus de tribus vatib. florent., e G. KIRNER, I Dialoghi ad Petrum Histrum, Livorno, Giusti, 1889, nonchè P. KLETTE a Greifswald.

5 Una lettera ined. al Niccoli, del 1405, pubblicò G. KIRNER, Livorno, Giusti, 1889.

e dell'italiano,' in contraddizione coll'opinione di Flavio Biondo. In italiano oltre qualche scrittura minore, come due Canzoni, una erotica, l'altra morale e la Novella di Stratonica e Antioco,* lasciò le biografie di Dante e del Petrarca, che meritano di esser ricordate come saggio di quel ch'egli avrebbe saputo fare come scrittor volgare, se la lingua italiana avesse coltivato con l'amore di Leon Battista Alberti. Scrisse la vita di Dante per riposarsi dalla traduzione della Politica di Aristotele. Ultimamente fu pubblicato di lui una Difesa contro i riprensori del popolo di Firenze nella impresa di Lucca.

[Per le notizie biografiche e pel giudizio sulle sue opere vedi, oltre le notizie autobiografiche sparse nei Commentarii rerum suo tempore gestarum (in Rer. Italic. Script., XIX, 913) quel che di lui scrisse VESPASIANO DA BISTICCI, Vite ec., ediz. Frati, Bologna, Romagnoli, II, 16, il VOIGT, Il risorgimento dell'antichità classica, trad. ital. di D. Valbusa, 1888-90, I vol., pag. 307, 380, 388; II vol., pag. 18, 159, 185, 206, 249; CIRILLO MONZANI, Di L. Bruni, nell'Arch. stor. ital., 1857 e innanzi alla Istoria fiorentina volgarizzata da Donato Acciaiuoli, Firenze, Le Monnier, 1861; A. GHERARDI, Alcune notizie int. a L. B. e alle sue Storie fiorent., in Arch. stor. ital., s. IV, XV, 416 (1885); G. MONTELEONE, Di L. B. e delle sue opere, Sora, Pagnanelli, 1901. Su due omonimi di L. B., vedi F. P. LUISO, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXII, 148. Per il valore de' suoi scritti filosofici, vedi rispetto all'interpretazione dell'Etica Nicomachea, K. WOLTKE, Beiträge z. L. B., in Wiener Studien, XI, 291 (1889), e rispetto all'Isagogicon moralis disciplinæ, F. Tocco, in Arch. f. Gesch. d. Philos., VI, 157 (1893); e per la parte pedagogica, G. B. GERINI, Gli scrittori pedagog. ital. del sec. XV, Torino, Paravia, 1896, pag. 205.]

Dante. - Dante innanzi la cacciata sua di Firenze, contuttochè di grandissima ricchezza non fusse, nientedimeno non fu povero, ma ebbe patrimonio mediocre e sufficiente al vivere onoratamente. Ebbe un fratello chiamato Francesco Alighieri; ebbe moglie e più figliuoli, de' quali resta ancor oggi successione e stirpe. Case in Firenze ebbe assai decenti, congiunte con le case di Gieri di messer Bello suo consorto; possessioni in Camerata e nella Piacentina e in piano di Ri

1 Vedila riprodotta da A. BARTOLI, I primi due secoli della Lett. ital., Milano, Vallardi, 1880, pag. 5.

Vedi G. MIGNINI, L'Epistola di Fl. B. de locutione romana, in Propugnatore, N. S., III, 135.

3 La Canzone erotica a laude di Venus fu pubbl. da G. GARGIOLLI, Firenze, Cellini, 1868.

La stampò prima V. BORGHINI nel 1572 al seguito del Novellino, poi GIOV. DE BRIGNOLI, Verona, 1817, e Grov. PAPANTI, Livorno, 1870.

5 Tratta a cura di P. GUERRA dall'Arch. di Lucca, e stampata a Lucca, Canovetti, 1864.

poli; suppelletile abbondante e preziosa, secondo egli scrive. Fu uomo molto pulito; di statura decente e di grato aspetto e pieno di gravità; parlatore rado e tardo, ma nelle sue risposte molto sottile. L'effigie sua propria si vede nella chiesa di Santa Croce, quasi al mezzo della chiesa, dalla mano sinistra andando verso l'altare maggiore, e ritratta al naturale ottimamente per dipintore perfetto di quel tempo. Dilettossi di musica e di suoni, e di sua mano egregiamente disegnava. Fu ancora scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune pistole di sua propria mano scritte. Fu usante in giovanezza sua con giovani innamorati; ed egli ancora di simile passione occupato, non per libidine, ma per gentilezza di cuore; e ne' suoi teneri anni versi d'amore a scrivere cominciò, come vedere si può in una sua operetta volgare, che si chiama Vita Nuova. Lo studio suo principale fu poesia, non sterile nè povera nè fantastica, ma fecondata e arricchita e stabilita da vera scienzia e da molte discipline.

La virtù di questo nostro poeta fu nella rima vulgare, nella quale è eccellentissimo sopra ogni altro; ma in versi latini e in prosa non aggiunse a quelli appena, che mezzanamente hanno scritto. La cagione di questo è, che il secolo suo era dato a dire in rima: e di gentilezza di dire in prosa o in versi latini niente intesero gli uomini di quel secolo, ma furono rozzi e grossi e senza perizia di lettere; dotti nientedimeno in queste discipline al modo fratesco e scolastico. Cominciossi a dire in rima, secondo scrive Dante, innanzi a lui circa anni centocinquanta; e i primi furono in Italia Guido Guinizzelli bolognese, e Guittone Cavaliere gaudente d'Arezzo, e Bonagiunta da Lucca, e Guido da Messina; i quali tutti Dante di gran lunga soverchiò di scienzie e di pulitezza e d'eleganza e di leggiadria; intanto che egli è opinione di chi intende, che non sarà mai uomo che Dante vantaggi in dire in rima. E veramente ell' è mirabil cosa la grandezza e la dolcezza del dire suo, prudente, sentenzioso e grave, con varietà e copia mirabile, con scienzia di di filosofia, con notizia di storie antiche, con tanta cognizione delle storie moderne, che pare ad ogni atto essere stato presente. Queste belle cose, con gentilezza di rima esplicate, prendono la mente di ciascuno che legge, e molto più di quelli che più intendono. La finzione sua fu mirabile e con grande ingegno trovata; nella quale concorre descrizione del mondo, descrizione de' cieli e de' pianeti, descrizione degli uomini, meriti e pene della vita umana, felicità, miseria e mediocrità di vita intra due estremi. Nè credo che mai fusse chi imprendesse più ampla e fertile materia da potere esplicare la mente d'ogni suo concetto, per la varietà delli spiriti loquenti di diverse ragioni di cose, di diversi paesi e di varj casi di fortuna.

RINALDO DEGLI ALBIZZI.

Figliuolo di Maso degli Albizzi, nacque in Firenze il 1370. Fin dal 1399 cominciò ad avere pubblici uffizj e parte assai importante nelle cose della Repubblica, nel maneggio delle quali si procurò e mantenne per lungo tempo nominanza d'uomo integro e sollecito del bene della patria, salvo che ebbe in sommo grado l'ambizione di primeggiare. La storia particolareggiata delle sue faccende politiche è tutta nelle Commissioni per il Comune (dal 1399 al 1433), che sono state raccolte e illustrate da C. Guasti.1 Dopo la disgraziata guerra di Lucca da lui infelicemente amministrata e che finì con la rotta de' Fiorentini sul Serchio, ai 2 dicembre 1430, divenne capo della parte contraria a Cosimo de' Medici, col quale e colla sua famiglia, particolarmente con Averardo, aveva avute precedentemente relazioni cordiali. La fazione Rinaldesca fu vinta alla sua volta; e Rinaldo confinato coi primi di parte sua (1434), divenne, come gli fa dire il Machiavelli, uno onorevole ribelle. Egli non doveva riveder più la patria, nè la rivide la sua figliuolanza. Fu alla corte del Duca di Milano Filippo Visconti, e tentò invano colle armi del principe, condotte da Niccolò Piccinino (1436 e 1440), di rientrare in Firenze. Pensò allora a sciogliere il voto che aveva fatto fin dall'anno 1406 di visitare il Santo Sepolcro, ma fu colpito da morte in Ancona il 2 febbraio 1442 (st. comune) é sepolto nella chiesa di San Domenico. Coltivò anche le lettere; e tenne in casa per un anno, maestro a'figliuoli, Tommaso Parentucelli di Sarzana, poi Niccolò V, allora semplice e povero chierico.

Fu attribuito a lui un sonetto politico composto nel 1434, che comincia: O umil popol mio, tu non t'avvedi Di questo iniquo e perfido tiranno, che piuttosto è da credere composto a istigazione sua dal Burchiello.3 Lettere sue si trovano in quelle di Lapo Mazzei. Pensò a mettere in ordine le sue Commissioni fin dal luglio 1423: e queste, oltre che da adoperarle per la loro grandissima importanza storica, son da lodare anche per la forma semplice, naturale e insieme dignitosa: tali, da essere buon esempio del linguaggio politico e diplomatico del tempo.

[Per la biografia, vedi G. PELLI negli Elogi di illustri tosc., Lucca, 1772, III, e la prefazione del Guasti alle Commissioni, e consulta anche sui fatti di lui, C. F. PELLEGRINI, La repubbl. fiorent. a tempo di Cosimo il vecchio, Pisa, Nistri, 1889, passim.]

1 Firenze, Galileiana, 1867-73, 3 vol.

2 Ist. fior., lib. IV sul fine.

3 E infatti la risposta sulle stesse rime è al Burchiello indirizzata : Burchiello, io voglio che certo mi credi, come notò il FLAMINI, La lirica tosc. del Rinascimento, Pisa, Nistri, p. 99, 755.

C. GUASTI, Lettere di L. M., Firenze, Le Monnier, 1880, II, 342.

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