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questi frate Lorenzo fosse, gridò: "A questo modo, frate, serbate la fede a Romeo? a questo modo a lui mi conducete sicura?" Romeo, la donna viva sentendo, forte si maraviglio, e forse di Pigmalion ricordandosi disse: "Non mi conoscete, o dolce donna mia? non vedete, che io il tristo sposo vostro sono, per morire appo voi da Mantova qui solo e secreto venuto? La Giulietta nel monimento vedendosi, ed in braccio ad uno che diceva essere Romeo sentendosi, quasi fuori di se stessa era, e da sè alquanto sospintolo, e nel viso guatatolo, e subito riconosciuto, abbracciandolo mille baci gli donò, e disse: "Qual sciocchezza vi fece qua entro, e con tanto pericolo entrare? Non vi bastava egli per le mie lettere aver inteso, com'io con lo aiuto di frate Lorenzo fingere morta mi dovea, e che di breve sarei stata con voi?" Allora il tristo giovane, accorto del suo gran fallo, incominciò: "O miserissima mia sorte! o sfortunato Romeo! o vie più di tutti gli altri amanti dolorosissimo! Io di ciò vostre lettere non ebbi giammai." E qui le raccontò, come Pietro la sua non vera morte per vera gli disse; onde, credendola morta, aveva, per farle morendo compagnia, ivi presso lei tolto il veleno, il quale, come acutissimo, sentia che per tutte le membra la morte gli cominciava mandare. La sventurata fanciulla, questo udendo, si dal dolore vinta restò, che altro, che le belle sue chiome e lo innocente petto battersi e strapparsi, fare non sapea; ed a Romeo, che già resupino caduto era, baciandolo spesso, un mare delle sue lacrime spargeva sopra. Ed essendo più pallida che la cenere divenuta, tutta tremante disse: "Dunque nella mia presenza e per mia cagione dovete, signor mio, morire? ed il Cielo patirà, che dopo voi, benchè poco, io viva? Misera me! almeno a voi la mia vita potessi io donare, e sola morire!" Alla quale il giovane con voce languida rispose: "Se la mia fede e il mio amore mai cari vi furono, viva mia speme, per quelli vi prego, che dopo me non vi spiaccia la vita, se non per altra ragione, almeno per poter pensare a colui, che della vostra bellezza tutto ardente dinanzi ai begli occhi vostri si muore." A questo rispose la donna: "Se voi per la mia finta morte morite, e che non debbo io per la vostra non finta fare? Dogliomi solo, che io qui ora dinanzi a voi non abbia il modo di morire; ed a me stessa, perciocchè tanto vivo, odio porto. Ma io spero bene, che non passerà molto, che si come sono stata cagione, così sarò della vostra morte compagna; e con gran fatica queste parole finite, tramortita cadde. Appresso risentitasi, andava miseramente colla bella bocca gli estremi spiriti del caro amante raccogliendo, il quale verso il suo fine a gran passo camminava.

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In questo tempo frate Lorenzo, inteso come e quando la giovane la polvere bevuta avesse, e che per morta era stata seppellita, e sapendo il termine esser giunto nel quale la

detta polvere la sua virtù finiva, preso un suo fidato compagno, forse un'ora innanzi giorno all'arca ne venne. Alla quale giungendo, ed ella piagnere e dolersi udendo, per lo fesso del coperchio mirando ed un lume dentro vedendovi, maravigliatosi forte, pensò che la giovane a qualche guisa la lucerna con esso lei ivi dentro portata avesse, e che svegliata, per tema di alcun morto, o forse di non istar sempre in quel luogo rinchiusa, si rimaricasse e piangesse in quel modo. E coll' aita del compagno prestamente aperta la sepoltura, vide Giulietta, la quale tutta scapigliata e dolente s'era in sedere levata, e il quasi morto amante nel suo grembo recato s'avea. Alla quale egli disse: "Dunque temevi, figliuola mia, che io qui dentro ti lasciassi morire?" Ed ellá il frate udendo e le lacrime raddoppiando, rispose: "Anzi temo io, che voi con la mia vita me ne caviate. Deh! per la pietà di Dio rinserrate il sepolcro, ed andatevene in guisa che io qui muoia; ovvero porgetemi un coltello, ch'io nel mio petto ferendo di doglia mi tragga. O padre mio! o padre mio! ben mandaste la lettera! ben sarò io maritata! ben mi guiderete a Romeo! Vedetelo qui nel mio grembo già morto." E, raccontandogli tutto il fatto, a lui lo mostrò. Frate Lorenzo, queste cose sentendo, come insensato si stava; e mirando il giovane, il quale per passare all'altra vita era, forte piangendo cosi disse: "O Romeo! quale sciagura mi ti toglie? parlami alquanto; drizza a me un poco gli occhi tuoi. O Romeo! vedi la tua carissima Giulietta, che ti prega che la miri! perchè non rispondi almeno a lei, nel cui grembo ti giaci?" Romeo al caro nome della sua donna alzò alquanto i languidi occhi dalla vicina morte gravati, e, vedutala, li rinchiuse; e poco dappoi tutto torcendosi, fatto un breve sospiro, si morì.

Morto, nella guisa che divisato vi ho, il misero amante, dopo molto pianto, già avvicinandosi il giorno, disse il frate alla giovane: "E tu, Giulietta, che farai?" La quale tostamente rispose: "Morrommi qui entro."-" Come? figlia mia, diss'egli, non dire questo. Esci fuori, chè quantunque io non sappia che farmi di te, pur non ti mancherà il racchiuderti in qualche santo monistero, ed ivi pregar sempre Dio per te e per lo morto tuo sposo, se bisogno ne ha." Al quale disse la donna: "Padre, altro non vi domando che questa grazia, la quale per lo amore che voi alla felice memoria di costui portaste (e mostrògli Romeo) mi farete volentieri; e questo fia di non far mai palese la nostra morte, acciò che li nostri corpi possano insieme sempre in questo sepolcro stare; e se per caso il morir nostro si risapesse, per lo già detto amore vi prego, che i nostri miseri padri in nome di ambo noi vogliate pregare, che quelli, i quali amore in uno stesso fuoco arse e ad una stessa morte condusse, non sia loro grave in uno stesso sepolcro lasciare." E voltatasi al giacente corpo di Romeo, il cui capo sopra un origliere, che con lei nel

l'arca era stato lasciato, posto aveva, gli occhi meglio rinchiusi avendogli, e di lacrime il freddo volto bagnandogli, disse: "Che debbo io senza di te in vita più fare, signor mio? e che altro mi resta verso te, se non con la mia morte seguirti? niente altro al certo; acciocchè da te, dal qual solo la morte mi potea separare, la stessa morte separare non mi possa." E detto questo, la sua grande sciagura nell'animo recatasi, e la perdita del caro amante ricordandosi, deliberando di più non vivere, raccolto a sè il fiato e per buono spazio tenutolo, e poscia con un gran grido fuori mandandolo, sopra il morto corpo morta ricadde.

MATTEO BANDELLO.

Nacque a Castelnuovo Scrivia presso Tortona, non si sa precisamente in qual anno, ma più probabilmente nel 1485, se la bolla di Giulio III del 1° settembre 1550 gli assegna allora il sexagesimo quinto vel circa suae etatis anno.1 Giovinetto era a Milano presso lo zio Vincenzo, monaco e poi priore del convento delle Grazie, dove vide Leonardo lavorare al Cenacolo.2 Vesti anch'egli l'abito domenicano. La venuta dei francesi col Trivulzio recò gran danno alla famiglia, seguace degli Sforza, dacchè le furono confiscati i beni (1500). Da Milano andò a Pavia, dove attese anche all'alchimia. Nel 1504 era a Genova, tutto assorto negli studj e nelle pratiche di religione, additando a sè e ad altri per modello un giovane confratello Giovanni Cattaneo, morto di peste, del quale scrisse latinamente la biografia. L'anno dopo, accompagnò lo zio in una visita ai conventi dell' Italia meridionale: a Firenze si innamoro di una Violante Borromeo, scrisse versi italiani per lei e compose, a lei dedicandola, la prima sua Novella, quella della bella Gualdrada; passò poi a Napoli e in Calabria, donde, mortogli lo zio in Altomonte (1506), fece ritorno a Milano. Ivi nel 1508 attendeva ad una traduzione latina, che pubblicò l'anno appresso, della novella boccaccesca di Tito e Gesippo. A Milano contrasse amicizia e servitù con Annibale Bentivoglio e con la moglie di lui Ippolita Sforza, alla quale più tardi dedicò il suo novelliere. Questa famiglia principesca, esule allora da Bologna, si giovò del Bandello

I più davano finora il 1480 per anno di nascita del B. La bolla papale che gli assegnerebbe piuttosto l''85 fu fatta conoscere da CARLETTA (A. VALERI) in Rir, d'Ital, del 15 nov. 1900, pag. 536.

2 Novelle, parte I, nov. 58. La data può essere accertata dal ricordo che allora era ospite del convento il card. Gurgense: e dai Diarj di M. SANUDO si rileva che ciò fu nel 1497.

3 Pubbl. in parte di su un cod. inedito da E. MASI nel libro che più oltre citeremo, pag. 223.

Vedi M. MANDALARI, Il B. in Calabria, Catania, Mattei, 1900.

in più faccende di matrimonj e di politica, e nel decembre di cotest'anno lo troviamo « per certi negozj di grandissima importanza > a Blois presso il re di Francia. Pare che rivalicasse le Alpi anche una seconda volta, ma nel '12 era a Milano, lieto del ritorno degli Sforza. Se non che, sopravvenendo i francesi, si vide costretto a riparare a Mantova, ben accolto dalla duchessa Isabella, dalle gentildonne di casa Gonzaga e da altre di cospicue famiglie, non che dai dotti, che erano ornamento di quella Corte. Nel '20 recitò l'orazione funebre del duca Francesco.1 Alternando il soggiorno di Mantova con quello di Milano, qui era nel '23 nel convento delle Grazie col titolo di Priore di Crema; ma poco appresso lo vediamo a Roma e a Capua: se non che più lo attraeva Mantova, dove lo chiamava l'amore ad una donna, da lui designata e cantata col nome di Mencia, e circa la quale varie sono le congetture. Dopo la battaglia di Pavia, egli dovette nuovamente lasciar Milano, dove le soldatesche spagnole gli avevano devastato la dimora e distrutto libri e carte. Allora mutato « abito e costumi », ma non prosciolto, come invano aveva chiesto al Papa, dall'osservanza dell'Ordine, seguì le mosse e le fortune dell' esercito della Lega contro Carlo V. Lo vediamo pertanto al campo, amico a Giovanni delle Bande Nere e al Machiavelli, « uno dei belli e fecondi dicitori, e molto copioso, di Toscana, che ambedue gli daranno argomento di novella (I, 40). Fra le armi ci apparisce a Lambrate, in Romagna e nel '27 a Viterbo, seguendo, probabilmente come segretario, la persona del duce dell'esercito, il Gonzaga. Nel '29 era al servizio di Cesare Fregoso, e con lui dimorò a Verona dal '323 al '36. Riardendo la guerra, lo troviamo col Fregoso e col cognato di lui, Giulio Rangone, negli alloggiamenti militari, nelle imprese, negli assedj, in Carignano, a Pinerolo, a Barge, a Cherasco e altrove. Col Fregoso va poi in Francia presso il re, e conosce la culta principessa Margherita di Navarra, cui, tornato di qua dalle Alpi, invia tradotta l'Ecuba di Euripide, tentando di riprodurre nella sua versione il ritmo del verso greco. Quetata la guerra, passò qualche tempo in Castelgoffredo presso le sorelle Rangone, Costanza moglie al Fregoso, Ginevra moglie a Luigi Gonzaga. Ivi pur si trovava l'orfana giovinetta Lucrezia, dei Gonzaga di Gazzuolo, cui fu maestro di lettere latine e classiche, e della quale cantò poi la bellezza e la pudicizia in un poema in undici canti, che pubblicò in Agen nel 1545. Ma siffatto lieto e tranquillo soggiorno non durò a lungo: nel '41 il Fregoso,

1 Riprodotta in parte da E. MASI, op. cit., pag. 237.

2 Vedi LUZIO-RENIER, Cultura e Relaz, letter. di Isab. d'Este, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIV, 85.

3 Di quest'anno sono alcune lettere al conte Sarego, pubbl. da G. BIADEGO nel Preludio di Ancona, 31 luglio 1883.

Vedi C. E. PATRUCCO, Il soggiorno di M. B. in Pinerolo con notizie

e lettere ined., Pinerolo, tip. Sociale, 1900.

5 Riprodotta in Roma nel 1813 da Guglielmo Manzi.

tornando di Francia, veniva proditoriamente ucciso. La vedova si rifugiò allora presso il re Cristianissimo, che le assegnò per dimora il castello di Barsens sulla Garonna, ed ivi la seguì il fido Bandello. Sebbene alcuno ne abbia dubitato, a proposta di Enrico II, fu nominato vescovo di Agen, come afferma la bolla di Giulio III del 1550, e durò in tale ufficio quattr'anni finchè gli fu sostituito un figlio della sua protettrice, del quale intanto teneva temporaneamente il posto, coll'obbligo di dar metà della rendita ad un altro figlio della Fregoso. In quest' ultimo periodo della vita, riposando dopo tante vicende in sicuro porto, raccolse le novelle che via via aveva composte,' cominciando a pubblicarle a Lucca nel 1544 presso il Busdrago: il tomo quarto apparve nel 1573 a Lione presso il Marsili, postumo. Si ignora la precisa data della morte, che dovette essere fra il 1561 e il '62. V' ha chi afferma che le ultime parole dette da lui agli astanti fossero Vivete lieli: e queste parole, ben osserva chi ciò narra, « riassumono gran parte della sua filosofia ».2

Passiamo di volo sulle varie scritture del Bandello, alcune delle quali già abbiamo ricordate. Diremo tuttavia che il poema su Lucrezia porge utili indicazioni biografiche: e il suo Canzoniere, che Lorenzo Costa trasse da un cod. di Torino e nel 1816 ivi pubblicò presso il Pomba, raccoglie rime erotiche per la Violante e per la Mencia e lodi di gentildonne. Ma l'opera sua principale, e cui attese, può dirsi, per tutta la vita, sono le Novelle, per le quali fu detto Boccaccio lombardo », e da altri « Ariosto in prosa ». Sono esse in numero di dugento quattordici. Ognuna di esse è dedicata, con lettere più o meno ricche di particolari, a culte donne o a cospicui personaggi, in modo da fornire utile materia di storia e dar una immagine della vita signorile di quell'età. Di questa egli aveva senza dubbio larga e diuturna esperienza, essendosi, come abbiam detto, aggirato fra le corti e gli accampamenti, avendo percorso quasi intera l'Italia, osservato con perspicacia caratteri di uomini e donne, nature di città, costumi di gentili e lieti ritrovi, e scritto successivamente quei racconti di varia indole, che poi dovevan formare così grosso volume. La vita sua propria sembra che fosse più casta della parola, e la sua morigeratezza è attestata

1 Vedi nel libro che citeremo del MORELLINI, pag. 159, la cronologia delle Novelle, che va dal 1505 a dopo il 1554.

2 Chi ciò afferma è il DOUGLAS, che più oltre ricordiamo. Sulle dottrine di vita pratica del B., vedi M. MANDALARI, I proverbi del B., Catauia, Giannotta, 1900, e il IV capitolo dello scritto più sotto notato del MEYER. 3 Vedine l'Elenco nel cit. MORELLINI, pag. 185.

Vedi H. MEYER, M. B. nach Seinen Widmungen, in Archiv. f. d. Studium d. neuren Sprach. u. Litteratur, N. S., VIII, 324, IX, 83. Lo STENDHAL, Correspondance, Paris, Lévy, 1855, II, 123, scrive così a proposito delle Lettere dedicatorie: N'avez-vous jamais lu les épîtres dédicatoires de certaines Nouvelles du Bandello? Rien ne peint mieux la façon d'être de ce beau pays vers 1500.

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