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fatto si rannoda un'elegia, che è la più antica delle rime della Colonna), fino alla fortunata battaglia di Pavia (1525), dove il Pescara stesso fece mirabili prove quale capitano generale di Carlo V. Ma del trionfo non godè a lungo, e la moglie lo seppe estinto nel dicembre 1525, mentre trovavasi a Viterbo in via per raggiungerlo. Visse d'allora in poi del ricordo del consorte perduto, e dal celebrarlo, idealizzandolo, nelle sue rime, ebbe qualche conforto; come conforto cercò nella fede, che volle intima e aliena da soverchie apparenze, onde non disdegnò da prima le nuove dottrine della Riforma e fu in relazione con Giovanni de Valdès e Bernar

dino Ochino senese; ma non si accostò mai però del tutto alla Riforma, tanto più che la reazione cattolica trionfava in Roma dopo il 1542.1 Visse a Roma, a Orvieto, a Viterbo, passando di chiostro in chiostro. Tornata a Roma nel 1544, dimorò presso le Benedettine di Sant' Anna de' Falegnami. Mori il 25 febbraio 1547 nel palazzo dei Cesarini, dove era stata condotta inferma.

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La prima parte del suo Canzoniere è in morte del marito; la seconda è d'argomento spirituale. Vi si rivela l'imitazione petrarchesca, e le sottigliezze teologiche spesseggiano nelle rime sacre; ma vigoroso è il pensiero e il sentimento della scrittrice, la quale fu donna di animo così singolare, pur fra le molte gentil donne che emersero nella Rinascita, da infiammare nobilmente alla sua ammirazione altissimi spiriti, e maggiore fra tutti, Michelangiolo che la chiamava suo amico ». La onorarono anche il Bembo, Bernardo Tasso, la Gambara: e fu in relazione con Margherita di Navarra. La vigoria dell' ingegno e dell'animo dà alla sua opera poetica un' impronta propria, che talora si desidera invano in quella di molti fra i letterati più in fama di quel secolo; ma toglie alle sue rime ogni traccia di femminilità.

1 Vedi in proposito: B. FONTANA, Docum. vaticani di V. C., in Arch. d. soc. romana di stor. patria, 1856, e Nuovi docum. sulla fede di V. C., ibid., X, 1888; E. RODOCANACCHI, V. C. et la réforme en Italie, Versailles, 1892: P. TACCHI-VENTURI, V. Colonna fautrice della riforma cattolica se. condo alcune sue lett. ined., Roma, tip. Poliglotta, 1901.

2 Per le relazioni fra la Colonna e Michelangiolo, vedi A. RACZYNSKI, Les arts en Portugal, Paris, Rénouard, 1846, pag. 1-77.

[Per la biografia, vedi G. CAMPORI, Vittoria C., in Atti e mem. della deputaz. di stor. patria dell'Emilia, N. S., III, Modena, Vincenzi, 1878; P. OCCELLA, V. C., Torino, Bruno, 1879; A. REUMONT, V. C., Leben, Dichten, Glauben im XVI Jahrhund., Freiburg i. B., 1881; trad. ital., Torino, 1883, e 2a ediz., 1892; A. LUZIO, V. C., in Rivista storica mantov., I (1885), pag. 1 e seg.; A. MORPURGO, V. C., Trieste, 1888 (cfr. R. RENIER, in Giorn. stor. d. lett. ital., XIII, 398); F. GALDI, V. C. dal lato della neuro-psicopatologia, Portici, 1898. Sulla madre, Agnese di Montefeltro, vedi E. CASINI-TORDI, nel giornale Vitt. Colonna, I, n. 10; sul luogo ed anno di nascita di Vittoria, D. TORDI, in Giorn. stor. d. lett. ital., XIX, pag. 1 e segg.; e dello stesso, V. C. in Orvieto, durante la guerra del sale, in Bull. d. soc. umbr. di stor. patr., I (1895), pag. 473 e seg. Vedasi anche l'importante nota biografica e bibliografica di S. BONGI, Annali di Gabr. Giolito, I, 372-7.

Il Carteggio di V. C. fu pubbl. da E. FERRERO e G. MÜLLER, Torino, Loescher, 1889 e con supplem. di D. TORDI, 1892, che riassume le sparse pubblicazioni del Giuliari (Verona, 1868), del Piccioni (Roma, 1875), del Campori (Modena, 1878), ec. Del Tordi è poi da vedere l'importante pubblicazione Il cod. delle rime di V. C. appartenuto a Margh. d'Angoulême, Pistoia, Flori, 1900 (cfr. A. SALZA, in Rass. bibliogr. d. lett. ital., IX, 110). Sonetti inediti pubblicò il Tordi stesso (Roma, 1891) e lettere ined. A. SALZA (Firenze, 1898), per nozze Mancini-Achiardi; altre lettere ined. P. TACCHI-VENTURI, in Studi e docum. di stor. e dir., XXII, 3-4, e P. D. PASOLINI per Nozze Corsini-Rasponi, Roma, Loescher, 1901 con ritratto.

Sulle rime vedi R. MAZZONE, V. C. e il suo canzoniere, Marsala, 1897, Giarre, 1900, e B. ZUMBINI, negli Studi di lett. ital., Firenze, Succ. Le Monnier, 1894, pag. 1 e seg.]

Compianto del morto marito.

Quanti dolci pensieri, alti disiri
Nodriva in me quel Sol che d'ogn'intorno
Sgombrò le nubi, e fe' qui chiaro il giorno,
Ch'or tenebroso scorgo ovunque io miri!
Soave i lagrimar, grati i sospiri
Mi rese in questo suo breve soggiorno;
Chè al parlar saggio ed allo sguardo adorno
S'acquetavano in parte i miei martiri.

Veggio or spento il valor, morte e smarrite
L'alme virtuti, e le più nobil menti
Per lo danno comun meste e confuse.

Al suo sparir dal mondo son confuse
Di quell'antico onor le voglie ardenti,
E le mie d'ogni ben per sempre escluse.

Sette anni dopo la morte del marito.

Sperai che'l tempo i caldi alti desiri
Temprasse alquanto, o da mortale affanno
Fosse il cor vinto sì, che 'l settim'anno
Non s'udisser si lunge i miei sospiri.

Ma perchè 'l mal s'avanzi o perchè giri
Senza intervallo il sole, ancor non fanno
Più vile il core o men gravoso 'l danno;
Chè 'l mio duol spregia tempo, ed io martiri.
D'arder sempre piangendo non mi doglio;
Forse avrò di fedele il titol vero,

Caro a me sopra ogn'altro eterno onore.
Non cambierò la fè, nè questo scoglio
Ch'al mio Sol piacque, ove fornire spero,
Come le dolci già, quest'amare ore.

Invocazione di perdono.

Deh! potess' io veder per viva fede,
Lassa con quanto amor Dio n'ha creati,
Con che pena riscossi, e come ingrati
Semo a così benigna alta mercede:

E come ei ne sostien; come concede
Con larga mano i suoi ricchi e pregiati
Tesori; e come figli in lui rinati

Ne cura, e più quel che più l'ama e crede.
E com'ei nel suo grande eterno impero
Di nuova carità l'arma ed accende,
Quando un forte guerrier fregia e corona;
Ma poi che per mia colpa non si stende
A tanta altezza il mio basso pensiero,
Provar potessi almen com'ei perdona!

Sulla Maddalena di Tiziano, inviatale dal Duca di Mantova.

Donna accesa, animosa, e dall'errante

Vulgo lontana in solitario albergo

Parmi lieta veder, lasciando a tergo

Quanto non piace al vero eterno amante;

E fermato il desio, fermar le piante

Sovra un gran monte, ond'io mi specchio e tergo
Nel bello esempio, e l'alma drizzo ed ergo
Dietro l'orme beate e l'opre sante.

L'alta spelunca sua questo alto scoglio
Mi rassembra, el gran sole il suo gran foco
Ch'ogni animo gentil anco riscalda.

In tal pensier da vil nodo mi scioglio
Pregando lei con voce ardita e balda
M'impetri dal Signor appo sè loco.

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DONATO GIANNOTTI.

Nacque in Firenze il 27 di novembre del 1492; studiò alla scuola del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, e si addottorò in legge. Per integrità di vita e virtù d'ingegno emerse ben presto fra' suoi coetanei, si che nel '21 e nel '22 insegnò a Pisa Poetica, Retorica e Lettere greche, e nel 1527, gonfaloniere il Capponi, fu segretario de' Dieci, come già il Machiavelli, al quale era stato amico. Caduta la repubblica, fu mandato a confino, e gli ozj dell' esilio confortò scrivendo il Trattato della Repubblica fiorentina, nel quale reca a più larga forma ciò che nel '27 aveva proposto in un Discorso sul fermare il governo di Firenze, indirizzato al Capponi. Dopo l'uccisione di Alessandro tornò in Firenze, ma vi si senti mal sicuro, e il Varchi lo condusse in salvo. Riparò a Bologna, e, dopo la rotta di Montemurlo, a Venezia, ove continuò a osservare e studiare da presso gli ordini di quella repubblica, ch'egli stimava ottimi per civile prudenza e per stabilità, sì che avrebbe voluto, fin dal suo primo occuparsi di cose politiche, applicarli anche a Firenze, che con essi si sarebbe libera mantenuta nè avrebbe sentito quelle alterazioni, che l'hanno ad estrema ruina condotta. Nel 1540 stampò il suo Libro della Repubblica dei Veneziani, composto già nel 1526, quand'egli aveva visitato Venezia e gran parte della Lombardia. Nell'esilio scrisse anche il Discorso sulla forma della Repubblica di Firenze, e l'altro Sopra il riordinare la Repubblica di Siena, nonchè quello Delle cose d'Italia, a papa Paolo III (1535): ed inoltre la vita di due gran capitani, il Ferruccio e il Savorgnano. Mori il 27 dicembre 1573, a Roma.1

In ogni sua scrittura è gravità di dottrina e di stile e bontà di politici avvedimenti, vagheggiando egli un governo che, a guisa di piramide, avesse larghissimo fondamento al basso, e in alto andasse sempre più restringendosi. Restano di lui anche poesie giovanili in volgare e in latino; e le commedie il Vecchio amoroso in prosa, e la Milesia in versi. Varie Lettere sue sono state pubblicate in questi ultimi anni: importanti fra tutte quelle edite da G. Milanesi (in Arch. stor. ital., 1863), da P. Dazzi (Firenze, Galileiana, 1863), da I. Del Badia (Firenze, Polverini, 1870), e da L. A. Ferrai (negli Atti dell'Ist. Veneto, 1885). Un Discorso, del 1528, di armare la città di Firenze, fu pubblicato da G. Sanesi (in Arch. stor. ital., ser. V, vol. VIII). Par sua certamente una Scrittura della Rep. di Firenze fatta a istanza di Marco Foscari, pubblicata da O. Tommasini.2

[Per la biografia vedi il Discorso di ATTO VANNUCCI intorno alla vita e alle opere di D. G., premesso alle sue Opere politiche

1 G. MILANESI in Riv. crit. d. lett. ital., 2 settembre 1884, pag. 90-91. 2 In Miscell. fiorent. di erudiz. e di storia, n. 15.

e letterarie raccolte da F. L. POLIDORI, Firenze, Le Monnier, 1850, 2 vol.; TASSIN, G., sa vie, son temps et ses doctrines, Paris, Douniol, 1869; E. ZANONI, D. G. nella vita e negli scritti, Roma, Soc. D. Alighieri, 1899 (cfr. A. ROSSI, Di un nuovo libro su D. G., Bologna, Monti, 1901); G. SANESI, La vita e le opere di D. G., Pistoia, Bracali, 1900 (il solo vol. I; cfr. F. PINTOR, in Rass. bibliogr. lett, ital., vol. VIII, 273.]

Per

Del Governo di Firenze e del modo di riformarlo. chè una specie di Repubblica1 semplice e sola, sì come la Popularità, o lo stato degli Ottimati, o il Principato di un solo, non può contentare se non un desiderio solo; perciò è necessario comporre insieme tutte a tre le dette specie di Repubblica. Perchè, mediante la Popularità, l'obietto della quale è la libertà, si satisfà a quelli che son d'essa desiderosi: mediante lo stato delli Ottimati, si satisfà a quelli che desiderano l'onore (e questi sono le più volte quelli che hanno prudenza, il premio della quale pare che sia l'onore, come testimonio d'essa; e però vediamo che quelli che sono reputati valenti, sono di quello desiderosi): finalmente, mediante il Principato, conseguiscono il desiderio loro quelli che aspirano ad esso.

È, adunque necessario che in questa Repubblica sia un membro che referisca la Popularità; uno che rappresenti lo stato delli Ottimati; un altro che renda il Principato. Quel membro che ha a rappresentare la Popularità, è necessario che sia uno aggregato di tutti li cittadini; cioè di tutti quelli che godono il benefizio: 2 perchè propriamente questi sono cittadini, essendo cittadino chi è partecipe di comandare e obbedire. E questo membro è quello il quale debbe essere il signore della città; perchè altrimenti non rappresenterebbe la città, se non fosse signore di far le leggi, e distribuire i magistrati, e altre cose che mostrano colui essere signore, in potestà del quale elle sono collocate. Sarà, adunque, questo membro il Gran Consiglio, che fia la basa e il fondamento di tutto lo stato. Sopra questo è necessario che sia un membro, che referisca lo stato delli Ottimati; e questo sarà un certo Senato, composto di cento Senatori: ed acciocchè questo membro sia onoratissimo, e, conseguentemente, amatore e partigiano della repubblica, bisogneria ch'e'tenessi questa dignità a vita, sì come facevano li Romani; ed acciò ch'egli abbia dependenzia dal Consiglio grande, bisogna che sia eletto da lui. Le principali faccende che ha a trattare questo Senato, sono le cose appartenenti alla pace e guerra, triegue, patti, elezioni di oratori e commissarj,

1 Di ordinamento politico; di Stato.

2 Che hanno il benefizio dello Stato: Che sono, come allora dicevasi, Ineficiati o statuali, formando, come dicesi ora, il paese legale.

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