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condotte di capitani e altre cose, le quali non deono altrimenti passare nel Gran consiglio; perchè, oltra che sarebbe troppo grave e oneroso chiamare tanto frequentemente il Consiglio grande, si torrebbe ancora assai d'onore e di reputazione al Senato. Onde seguitería quasi il contrario effetto di quello che cerchiamo; perchè il Senato rimarrebbe disonorato: e noi facciamo questo membro, oltre alle altre ragioni, perchè quelli che appetiscono onore, ottenghino i loro desiderj. Sopra questo bisogna, finalmente, che sia un altro membro, che rappresenti il Principato d'un solo; e questo sarà uno Gonfaloniere a vita (e per brevità, lasceremo indietro le ragioni), il quale, con li Signori o altro magistrato, rappresenti il dominio fiorentino. Costui debbe essere capo di tutta l'amministrazione pubblica. Non debbe avere alcuna autorità separata dalli altri magistrati o consigli ne' quali abbia a intervenire; ma debbe solamente vegliare le faccende pubbliche, e proporre, e sollecitare.

Ma perchè questa dignità non cape se non in uno, e nella città son pure più che uno che desiderano grandezza, è necessario creare un membro, per il quale questi tali possino, se non in tutto, in parte, ottenere il desiderio loro. Questo membro sarà uno aggregato di dodici cittadini a vita, il più; li quali si possono chiamare li Procuratori della Città; e saría bene che niuno potessi essere di questi, se non fussi Senatore. Vorrei dare a costoro una cura speziale di considerare sempre le cose della città; e li primi pensieri d' introducere nuove leggi e correggere le vecchie, secondo che ricerca la varietà de' tempi, e trovar modo di far danari, fussino loro; e quando avessino consultato alcuna cosa, si seguitassi l'ordine delle deliberazioni, che di sotto si dirà. E perchè questi sarebbono sempre i più valenti della città, vorrei che alcuni di loro si trovassino nelle pubbliche consultazioni delle faccende dello stato, nel modo che appresso diremo. Ed acciò che tenessino questo grado onoratamente, vorrei tirassino una provvisione di cento ducati l'anno, e fussino tenuti accompagnare chi rappresenta il dominio, con veste di drappo o di scarlatto. E potríano essere questi, per non multiplicare nuovi magistrati, i dodici Buoni uomini; la dignità de' quali saría maggiore che quella de'Senatori e minore che quella del Principe, ma tale che ciascuno potrebbe sperare di avere ad essere Principe. E sarebbe bene che di questi non potessi essere se non uno per famiglia; e saría questo membro proporzionale tra il Senato ed il Principe. Tanto che il corpo di questa repubblica è piramidato, e composto di quattro membri: del Consiglio, del Senato, de' Procuratori e del Principe.

Il Consiglio è la basa di tutto il corpo e il fondamento, ed ha similitudine d'una pianta: perchè il Consiglio rassembra le radici, che danno virtù a tutta la pianta: gli altri tre membri somigliano il tronco, che si regge sulle radici, come

quelli sopra il Gran Consiglio, avendo dependenzia da lui: gli altri magistrati sono i rami, de'quali esce il frutto che produce la pianta; sì come ancora da quelli nasce l'esecuzione delle deliberazioni della repubblica, le quali sono come il frutto di quella. Ed avendo descritto il corpo di questa Repubblica quanto a'membri principali, resta che diciamo del modo del procedere nelle azioni pubbliche, ed alcune cose particulari di alcuni magistrati.

È, adunque, da notare che ogni azione pubblica ricerca tre cose: consultazione, deliberazione ed esecuzione. Tutti quelli che consigliano, è necessario che siano valenti, e di quel primo ordine che scrive Esiodo, nel quale sono connumerati quelli che hanno invenzione per loro medesimi, e non hanno bisogno del consiglio d'altri. Quelli che deliberano, se e'non sono in questo primo ordine, basta che e' siano nel secondo; perchè se non si sanno essi consigliare, basta ch'e' siano delli altrui consigli capaci. Quegli ancora che eseguiscono, non è necessario che siano del primo ordine, ma basta ch'e' siano del secondo. Seguita di questo, che il consiglio debbe essere nei pochi; perchè debbe essere ne'savj, li quali sono sempre pochi. La deliberazione debbe essere nei molti; perchè se i pochi avessino la deliberazione in potestà loro, si correría pericolo che alcuna volta, per ambizione, non deliberassino il contrario di quello che ricerca l'utile della Repubblica. E però i consigli che sono composti di gran numero, sono quelli che deono diliberare; le deliberazioni de'quali poi debbono essere eseguite dai magistrati.

Nel presente governo, li magistrati sono quelli che consigliano, deliberano ed eseguiscono; sì come noi veggiamo fare i Dieci nelle faccende della guerra: di che seguitano tutti questi inconvenienti. Primamente, non consigliano i pochi, cioè i valenti: nè conseguentemente, gli ambiziosi. Onde la repubblica viene a patire in dua modi; perchè ella è mal consigliata, non intervenendo di necessità a' consigli suoi i valenti e reputati; e all'ambizione de'pochi non si viene a satisfare, tanto che restano malcontenti...

Per riparare, adunque, alli detti inconvenienti, credo che saría bene provvedere che il Gonfaloniere sempre si ragunasse con li Dieci, o che le faccende dello Stato si trattassino sempre dove si truova il Gonfaloniere, dove intervenissino ancora tre Procuratori, che si cambiassino ogni tre mesi; tanto che ogni anno tutti i Procuratori sarebbono stati tre mesi de'Dieci, o di quel magistrato che trattasse dette faccende. Seguiterebbe per questo modo, che trovandosi la persona del Principe in tali trattamenti, le faccende d'importanza si tratterebbono con dignità e con prestezza; e dando i Dieci audienza alli ambasciadori, procederebbe tal cosa con maestà: perchè rispondendo sempre il Principe, le risposte sarebbono più secondo l'utile ed onore della Repubblica; e intervenendo con i Dieci tre Procuratori (li quali sarebbero

dei primi della città), le cose sarebbono meglio consigliate, e più si satisfarebbe all'ambizione de' cittadini.

I Dieci, non vorrei che avessero autorità di deliberare i principj e fini delle loro azioni (cioè della pace e guerra), ma solamente alcune cose necessarie alla esecuzione di esse; e solamente fussino consigliatori ed esecutori. Perchè non è dubbio che l'autorità che hanno al presente, è violenta; e chi ben considera, può vedere che il governo della presente amministrazione, ancora ch'ei paiă largo, è strettissimo. Il che avviene per essere ridotta la deliberazione in sì poco numero d' uomini, i quali con arte e industria facilmente si possono disporre alla voglia di chi sa con tali mezzi procedere: e perciò è necessario provvedere, perchè da questo dependono infiniti errori. Bisogna, adunque, ordinare che il Senato sia quello che deliberi della pace e guerra (cioè i primi loro principj, e gli ultimi fini, ed alcuni accidenti intermedj, che sono di grande importanzia), e che i Dieci sieno solamente esecutori. Verbigrazia: deliberasi nel Senato se la città nostra debba pigliare la guerra contro all'imperatore ad istanzia del re di Francia; e deliberato che la si pigli, i Dieci ne siano esecutori; e se nel trattare tal guerra sopravviene accidente alcuno d'importanza, quello si deliberi nel Senato, e la esecuzione resti alli Dieci.

Il modo, adunque, del procedere sia questo. Viene in consultazione nel magistrato de' Dieci, ragunato nel modo detto, se la città debba concorrere al far la guerra allo imperatore. Ciascuno, secondo li gradi, dica la sua opinione: e, tra tutti, poniamo saranno dua opinioni; una che si concorra, l'altra che non si concorra. Queste dua opinioni si scrivino sotto li nomi di quelli che ne furono autori: gli aderenti non bisogna notare. Di poi ragunisi il Senato, e le dette opinioni si proponghino in quello; e chi ne fu autore, sia obbligato a narrar le ragioni che l'hanno mosso. Di poi, secondo i gradi, ciascuno possa e contraddire e confermare o questa o quella opinione; le quali poi si mandino a partito; e quella che dalla metà in su ha più suffragj, s'intenda rata e ferma, e debba essere eseguita da' Dieci; e se niuna arrivasse alla metà (il che dimostrerebbe niuna essere approvata), saría bene che ciascuno avessi autorità di dire quello che s'avessi a fare. E se per alcuno fussi innovato altro parere, vorrei che il Proposto del Senato1 avesse autorità di mandarlo a partito; e vincendosi, quello fussi rato e fermo; e non si vincendo, tornassino i Dieci a riconsiderare quello fussi da fare.

Il Proposto di detto Senato saría necessario creare, e durassi quel tempo la dignità sua che paressi a proposito; e sarebbe tal magistrato simile a quello che i Romani chiamavano Princeps senatus. Nè saria forse male che detto

Il Presidente, simile, come dice sotto, al princeps senatus dei Latiui.

Proposto si ragunasse co' Dieci, tre Procuratori e Principe, per esser testimone alle loro consultazioni; la deliberazione delle quali tanto più fussino constretti rimettere al Senato nel modo detto. E saría bene che chi è stato autore d'uno parere, quando vedessi che alcuno nel Senato avessi persuaso il contrario, contraddicendo a quello, potessi vietare il mandarlo a partito: perchè e' saría manco disonorevole cedere, intese le ragioni, che con ostinazione mantenere quello che non abbia ad essere approvato.

Il Senato vorrebbe essere, come di sopra è detto, a vita; e la elezione sua si facessi dal Consiglio grande per le più fave, vinto il partito per la metà, e per tutta la città sanza distinzione della maggiore e minore, che al tutto si debbe tor via. Bastería per ciascuno trarre venti nominatori; e li nominati prima si leggessino, e poi andassino a partito. In detto Senato debbe convenire il Gonfaloniere, li dodici Procuratori e li Dieci; e tutti rendino il partito. Saría ancora bene provvedere che ogni anno si mettessi otto o dieci giovani in detto Senato per un tempo determinato, li quali solamente vedessino il modo del procedere delle faccende, senza rendere il partito: il che saría di frutto grande, perchè si assuefarebbero alle cose di Stato, udendo disputarle nel modo di sopra detto. E saría bene ordinare che ciascuno oratore, quando torna, riferisse la sua legazione in detto Senato, dando notizia del paese, del principe o repubblica dove fussi stato, e del governo di quella, e delle più notabili cose avessi trattate; e tale relazione lasciassi in scriptis alli signori Dieci, per servire quando bisognassi.

Questa forma di governo saria di grandissima satisfazione; perchè in quella aría il luogo suo ciascuna qualità d'uomini, e massime li ambiziosi, li quali sempre governerebbono e sopra tutto, li dodici Procuratori saríano onoratissimi, e farebbono quel membro proporzionale tra il Senato e il Principe; ed avendo autorità di pensare alle cose della città e regolarle, sarebbono continuamente occupati in cose grandi; e trovandosi sempre nel Senato li Tre con li Dieci, interverrebbono sempre alle consultazioni e deliberazioni di tutte le cose di Stato; tanto che sarebbono molto conspicui: ed essendo pure buon numero, molti verrebbono a partecipare di tali onori, e, conseguentemente, sarebbono affezionati e partigiani alla Repubblica. L'utile che risulterebbe di tal modo, non bisogna narrare, perchè troppo per sè è manifesto. Il Consiglio saria in pochi, cioè nei valenti; la deliberazione in molti: e per ciò la libertà saría sicura; chè quelli che arebbono autorità, l'arebbono per virtù della

1 Ora direbbesi: a maggioranza di voti. Allora votavasi colle fave, c il colore diverso aveva ne'diversi luoghi diverso significato. 2 Delle Arti maggiori e minori.

3 Elettori, proponitori, o come anche dicevasi, elezionarj.

Repubblica, e non per loro presunzione e importunità. Le esecuzioni, essendo le cose determinate da'molti, cioè dal Senato, saríano necessarie e, conseguentemente, preste. La maestà che arebbe la Repubblica, saría grandissima, essendo in essa tutti i cittadini di qualità onorati, e trattandosi le cose con quella dignità che si richiede. (Dal Discorso sul fermare il gov. di Fir., nelle Opere, I, pag. 3 e segg.)

AGNOLO FIRENZUOLA.

La famiglia Giovannini, dalla terra di Firenzuola s'era da qualche tempo trasferita in Firenze, dove si chiamava ormai da Firenzuola, quando da Sebastiano notaio, uomo di lettere e onorato di pubblici ufficj, e da Lucrezia di Alessandro Braccesi nacque in Firenze il 28 settembre 1493 Agnolo (Michelangiolo Girolamo).' Non restano molte notizie della sua vita, oltre quelle che volle dare egli stesso più qua e più là nei suoi scritti. Compiuti i primi studj, a 16 anni andò a Siena, dove attese alle leggi; studio che continuò a Perugia, facendo per altro vita allegra e licenziosa. A Perugia conobbe Pietro Aretino, che ritrovò poi a Roma, dove si recò e fu occupato per poco tempo nell'ufficio di patrono di cause presso la Curia, e venne ammesso alla corte di Clemente VII. Ma nauseato di quella professione e della corruttela dei giudici, l'abbandonò per darsi tutto alle lettere, alle quali lo invitava anche l'amore

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per Costanza Amaretta, sua parente, di cui loda egualmente la bellezza e la cultura letteraria e filosofica. Per essa dall'asinino studio delle leggi civili, anzi incivili» fu tratto ad applicare alle umane lettere », e la sua trasformazione volle significare adattando a sè, colle necessarie modificazioni, le avventure che Apuleio narra di Lucio. Il Papa compiacevasi delle scritture del Firen

1 Ebbe un fratello, Girolamo, che fu buon cultore di agronomia, ma non del pari buon massaio, sicchè finì alle Stinche e perdette tutti i possessi toccatigli per eredità del padre. Scrisse tre libri Dell' Agricoltura, dei quali molto si valse il Davanzati nella sua Coltivazione toscana, e che di sur un cod. senese stampò F. BERNARDI a Siena, Bargellini, 1871.

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