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cidente alcuno, non mancherai mai. - Giusto. Questo mi piace. - Anima. E perchè ad altro fine, come io già ti dissi, non ha ordinato la natura che tu ti cibi e che tu bea, se non per ristorare l'umido e il calore naturale, userai per tuoi cibi tutte quelle cose che sono calde e umide, perchè di queste solamente puoi cavare nutrimenti atti a conservarti vivo e sano. Giusto. E quali sono queste? - Anima. Tutte quelle cose generalmente che sono dolci; imperocchè in fra i sapori, solo il dolce nutrisce; e gli altri non par che sieno stati fatti da la natura se non per reprimere e temperare il troppo dolce, acciocchè egli non ristucchi altrui. Giusto. Dunque il vin dolce e le frutta ancora, per esser dolci, mi saranno ottime. Anima. Il vino certamente sì, se egli sarà sottile e odorifero; ma ti bisogna berne poco; imperocchè il dolce, per esser caldo, è ancora leggieri, e subito assalisce il capo. Le frutte, è vero ch'elle son dolci; ma per esser crude e difficili a digestire, non generano molto buon sangue, nè buoni umori; eccetto però i fichi e le uve, i quali sono molto sani, secondo che scrive Galeno, dandone per segno che tutti gli animali, e i contadini ancora, nel tempo ch'elle sono, son grassi, ed hanno le carni chiare e liete. - Giusto. E de le frutte che si serbano? - Anima. Sonti molto a proposito le mele appiuole e le mandorle e i pinocchi; ma questi vorrebbono stare alquanto prima in molle, e dipoi ne puoi usare spesso, e così cavare de le mandorle il latte e usarlo con zucchero. Sarebbe ancora molto utile il finocchio dolce; imperocchè egli difende e porta i nutrimenti per tutte le membra, e accresce l'umor naturale in quella maniera che farebbe il latte a chi lo digestisse; e voglioti dir più là, che Dioscoride scrive, che la serpe getta ogni anno lo scoglio vecchio come ella mangia del finocchio. - Giusto. Oh quanto mi piaccion questi tuoi discorsi, Anima mia. E certamente (io vo'dire come quel filosofo) noi ci mojamo appunto quando noi impariamo a vivere. · Anima. Bisogna ancora che tu avvertisca, che l'acqua che tu usi per bere sia pura, e non mescolata con alcuna cosa: il che ti avverrà ogni volta che ella non avrà nè odore nè sapore alcuno, e che ella sarà più leggiera che l'altre; e non si possendo trovare alcuna acqua che pesi manco che l'acqua pura. - Giusto. Oh questo sarebbe ben troppo avere a pesare l'acque! — Anima. Tu puoi, per non avere a far questo, tòrre di quelle de le cisterne, la qual per esser acqua piovana generata ne l'aria da'vapori che ha tirato su il sole, viene a essere propriamente acqua, e più leggeri di quella che passa per le vene de la terra; conciossiachè il sole cavi de l'acqua col suo calore solamente le parti più leggeri, che sono le più dolci: per la qual cagione dissono alcuni, che il mare è salso, perchè vengono a restare solamente in lui le parti terrene e grosse,

le quali hanno del salso. - Giusto. Oh, or conosco io quanto torto fanno a la natura coloro che, non usando la prudenzia che Dio ha dato loro, si cibano e beono d'ogni cosa, come fanno le bestie, senza considerazione alcuna. - Anima. Bisogna che quelle carni de le quali tu vuoi cibarti sieno di animali e d'uccelli di lunga vita; perchè, e questo avviene loro solamente (come io ti dissi già) per avere l'umido buono e manco atto a corrompersi, e conseguentemente maggior calore e più perfetto. Giusto. Questo mi cape. Anima. Ma avertisci sopra tutto, che sien giovani, chè solamente allora si ritruovano in loro il caldo e l'umido perfetti; perchè i vecchj, o e'non hanno caldo ně umido, o e' l'hanno avventizio e adulterino. E che questo sia il vero la esperienza stessa te lo dimostra, non si trovando animale alcuno che sia buono vecchio, cominciandoti dai pippioni, dai polli, dai cavretti, dai vitelli, e discorrendo per tutti. Giusto. Oh, io ho pur sentito dir del pesce, che e' vorrebbe esser vecchio. Anima. Be'; sappi, Giusto, che cotestoro voglion dir grande, ma non vecchio: imperocchè, quando uno animale è pervenuto alla sua maggior grandezza, allora appunto viene a esser nel fiore e nel colmo della giovinezza sua. Riguardalo ne'buoi, e vedrai quanto è migliore un vitello di tre o quattro anni, che un bue di otto o di dieci; e niente di manco sono grandi a un modo. La qual cosa non si può conoscere ne' pesci, non si avendo notizia de l'età loro, per vivere sotto l'acqua. Giusto. Io credo certamente che tu dica il vero; chè e'mi ricorda essermi trovato già in Pisa a mangiare de' muggini grandi di dieci o didici libbre l'uno e d'una grandezza medesima, che l'uno era buonissimo, e l'altro alido propriamente come una stoppa. Anima. E da che credi tu che venisse? se non che l'uno era giovine, e l'altro vecchio. - Giusto. E del vino, come mi ho a governare, chè sento lodare molto il vecchio? - Anima. Sì, per berlo per medicina; ma per nutrirsene e'non vorrebbe passar l'anno: perchè se bene e'diventa poi più potente e più caldo, ha però perduto quella umidità naturale, la quale ricrea, e pare che molto conforti l'uomo. - Giusto. Certamente, tu mi hai insegnato un modo di vivere che, osservandolo, io credo avere a vivere più vent'anni ch'io non pensava. Anima. E'non basta solamente nutrirsi per le cagion dette di sopra, chè bisogna che tu cerchi ancora con ogni diligenzia di confortare ed ajutare gli spiriti vitali, i quali sono in te, per i troppi anni, molto debilitati. - Giusto. E come s'ha a fare questo? io non ti intendo. Anima. Con le cose che gli confortano, con lo esercizio, con la dieta, e col vivere lietamente e senza pensieri.

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- Anima. Sarebbe ancor bene, per esercitazione di questo calore naturale, che tu facessi talvolta un poco di esercizio; ma vedi, infino a che tu ti senti cominciare il sudore

e la stracchezza; cercando il verno i luoghi riposti e caldi, come fanno gli armenti e le pecchie, e la state gli ameni e freschi, come gli uccelli. Giova ancor molto spasseggiare lungo i rivi de le acque correnti, e in fra le piante verdi e odorifere; perchè il corso de l'acque par che faccia venir voglia di mangiare, e l'odor che spirano le piante vive ajuta molto lo spirito vitale de l'uomo, e il color verde conforta molto la vista..

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Giusto. Oh quanto sono begli i secreti de la natura! Io non mi maraviglio certamente, che la maggior parte di coloro che cominciano a gustarli abbandonin bene spesso tutte l'altre faccende. - Anima. La regola de la dieta che tu debbi usare per restaurazion de la forza de lo stomaco te la insegnerà egli col chiedere e col ricusare il cibo; ma non voglio già però che tu passi un di quei termini ne'quali tu se'solito prendere il cibo, che tu non pigli qualcosa, perchè lo stomaco, quando gli manca che mangiare, o ei logora sè stesso, o e'digestisce di quegli umori che generano cattivo sangue: e per questo ufficio giudico esser molto a proposito un tuorlo d'uovo nato di poco, o una midolla di pane fresco in un bicchier di vino buono, del quale non so io vedere cosa nessuna più perfetta fatta da la natura; conciossiachè egli riscaldi l'abitudine fredda del corpo, refrigeri la riscaldata, inumidisca la secca, disecchi l'umida, ricrei l'umido radicale, e nutrisca il calor naturale. — Giusto. Certamente che a questo può ben conoscere l'uomo quanto gli sia stata la natura amica, avendo fatto per lui solamente così perfetto e prezioso liquore. · Anima. Bisogna ancora, se tu vuoi che noi stiamo lungamente insieme, che tu discacci la maninconia, e i pensieri, i quali tirano gli spiriti al capo, levandogli da quelle parti dove eglino hanno a fare la digestione, e l'altre opere appartenenti al conservarti. - Giusto. Certamente che tu di'il vero, chè quando io ho qualche pensiero, e'non mi vien voglia di mangiare. Anima. Fuggi la troppa vigilia e la troppa solitudine; chè l'una ti debiliterebbe, e l'altra genererebbe in te bene spesso tedio o accidia; e quando tu vuoi pur vivere alquanto solo, pensa a cose liete e gioconde, le quali abbino a ricrearti, e non a distruggerti; cerca tal volta di qualche giuoco che ti faccia passare il tempo, e non fuggir anche al tutto quelle cose che ti piacevano da giovane, perchè egli è impossibile ringiovanir in un certo modo il corpo, se lo ingegno non ringiovanisce ancora egli. — (Ibidem, Ragionamento VII, ediz. cit., pag. 235-242.)

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Rimproveri di una madre al figliuolo scapestrato e scostumato. Lisabetta. Franzino! - Franzino. Madonna! Lisabetta. È ito fuora Alamanno? Franzino. Madonna no: e'si veste. Lisabetta. Che vuol dire ch'e'si leva si tardi? e' dovette tornare ier sera a mezza notte, eh? - Fran

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zino. Madonna no: e' tornò allora allora che voi fust' ita in camera. - Lisabetta. Io non lo senti' però. Va', chiamalo un po'qua. Io dubito che costui non sia anche egli un tristo, e tengagli il sacco: e'non fa mai se non scusarmelo.

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Alamanno. Dio vi dia il buon dì, mia madre: che dite voi? - Lisabetta. A che ora tornammo noi iersera a casa? a mezza notte eh? chè noi ci leviamo sì tardi. - Alamanno. A ora che io son qui adesso, ed a tempo a far le mie faccende. Lisabetta. Eh, Alamanno, Alamanno! tu non fai punto quel che ti conviene. Se tu non muti modo, noi arem poco accordo insieme. Alamanno. E fatto sta, chi ha più bisogno di mutarlo, o voi o io? Lisabetta. Come io?Alamanno. Madonna sì, voi. - Lisabetta. E perchè? - Alamanno. Perch'io non vo`più stare senz'un quattrino, come voi m'avete tenuto insino a qui. Lisabetta. Come, senz'un quattrino? Non ti do io dua scudi il mese?- Alamanno. Si, ma a che mi servon eglino, avendomen'io a calzare e vestire? Lisabetta. E'si vuol anche far le cose con qualche modo, e non volere ogni di un paio di scarpe, e spendere ogni due mesi tre o quattro scudi in un paio di calze. Io mi ricordo pur tuo padre andare con un paio d'otto o nove lire, e bastargli anche un anno; chè non le portava così tirate come vuoi far tu: e usava le stringhe di cuoio, e cignevasi con un busecchio; dove tu spendi oggi un tesoro in stringhe e in becche. E' fu altro uomo che non sarai mai tu; chè e'sapeva guadagnarsi un fiorino a sua posta, e tu non sei buono se non a spendere e andarti a spasso. Eh quanto sarebbe egli il meglio che tu ti ponessi a fare qualche cosa! Alamanno. E parvi che gli stia bene, or che io sono un uomo, che io mi ponga a star con altri? — Lisabetta. No; ma tu potresti tor moglie, e por la dota in su una bottega, e starvi poi anche tu. Alamanno. Ragionatemi d'ogni altra cosa che di tor moglie. Lisabetta. lo per me non so un tratto a quel che ti s'abbia a servire questo tuo studiare. Ed anche veggo che la maggior parte di questi che v'attendono, son poveri. · Alamanno. Non dite così, mia madre; chè e'non può essere il più bell'ornamento a un gentil uomo, che le lettere. Lisabetta. Sì, a chi è altrimenti ricco che non sei tu; e Dio sa anche come tu v'attendi! Almanco, quand' io ti teneva il maestro, io sapeva pur quello che tu facevi: ma quel fantastico di Lapo tuo zio si cacciò nel capo che io lo mandassi via; e Dio sa quanto disagio io n'ho patito, chè ho avuto a ire poi fuori di casa per sei bisogni, che a tutti sopperiv'egli. Ma lasciamo ire: da poi che tu hai tanta voglia di studiare, io per me

1 Gli tenga mano, gli dia aiuto al mal fare.

-

2 Budellame e ventre degli animali; qui è usato per cigna di pelle di poco costo. Becche, cintoli di taffetà per legare le calze.

3 Per tanti, numero determinato per l'indeterminato.

non voglio anche stortene. Ma io ti dico bene, che se tu non tieni altro modo circa a lo spendere e al tornare a casa, io rivorrò la mia dota, e arrecherommi a star da me: chè io non vo'lasciarti mandar or male ciò che io ho, per avere a stentar poi quand'io sarò vecchia. - Alamanno. Mia madre, io mi sono ingegnato sempre e 'ngegnerommi di far parte del debito mio, e di onorarvi come si conviene; ma quando pur voi vogliate starvi da voi, dividiànci a vostro piacere, ch'io arò pazienzia. - Lisabetta. E che divisione vuoi tu fare? èsciti di casa, e siamo divisi; chè qui ogni cosa è mio. Alamanno. Al nome di Dio, e'bisognerà altro che parole. Lisabetta. Io mostrerò, quando e' sarà tempo, ben altro che parole: ma va'a le faccende tue, e pensaci su molto bene, perchè io ti so dire che io l'ho deliberato..... (Dalla Sporta, a. II, sc. I, ediz. Le Monnier, pag. 334-336.)

PIER VETTORI.

Nacque in Firenze il 15 luglio 1499. Fu sommo grecista e latinista, e benemerito specialmente per le edizioni ed i commentarj di Aristotile e Cicerone; pubblicò anche parecchi testi greci inediti, e vi aggiunse preziose illustrazioni. Le sue Varia Lectiones (1582), composte sul fare delle Notti di A. Gellio, mostrano la sua singolare dottrina umanistica. Professò lettere greche e latine nello Studio fiorentino dal 1548 circa al 1553, e vi ebbe numerosi e dotti allievi; poi Cosimo lo fece senatore. Morì nel 1585, e ne disse le lodi Francesco Bocchi.

La sua scrittura italiana di maggior pregio è il Trattato delle lodi e della coltivazione degli ulivi (Firenze, Giunti, 1574). Si hanno di lui alcune Orazioni, e cinquanta Lettere nelle Prose fiorentine.3 Il suo Carteggio, che servirebbe, chi ben sapesse adoprarlo, alla sua biografia e insieme alla storia degli studj classici, trovasi ora, dopo aver migrato da Firenze a Corfù e di qui a Londra, nel Museo britannico. Esso è compreso in ventun volumi (il 3o è perduto), e contiene, secondo l'Indice datone da C. E. POLLAK, lettere dei più illustri contemporanei.

1 Distogliertene.

2 Vedi P. FERRIERI, P. V. e l'umanesimo nel sec. XVI, negli Studi di stor. e critica lett., Milano, Trevisini, 1892, pag. 333.

3 Un saggio del suo carteggio con dotti italiani e tedeschi fu pubblicato da A. M. BANDINI (Firenze, 1758); diciannove ne diè fuori G. GHINASSI (Bologna, Romagnoli, 1870); altre nove P. DE NOLHAC, P.V. et C. Sigonio, correspondance avec Fulvio Orsini, Roma, 1889.

* Vedi in Rass. bibl. d. lett. ital., II, 78. E nello stesso periodico, nel vol. III, 145, furono pubblicate lettere al Vettori del Vasari, del Cesalpino, di G. P. Maffei e di F. Sassetti.

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