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tesche. Nell'insieme riesce freddo e monotono, anche per la quasi costante identità dell'argomento; ma ad ogni modo, nel sec. XV rappresenta nella sua purezza la forma derivata dal Canzoniere di messer Francesco, e per ciò la Bella Mano fu tenuta in gran pregio da tutti i seguaci di cotesta scuola.

La prima edizione della Bella Mano è di Bologna (Malpighi, 1472), cui seguono quella curata a Parigi dal Corbinelli (Patisson, 1595), ambedue rarissime: l'altra di Tommaso Bonaventuri, con note di A. M. Salvini (Firenze, Guiducci e Franchi, 1715), e la veronese del Tumermani nel 1753, cui precede la biografia scritta da G. M. Mazzuchelli. Alcune Rime inedite di lui, cioè cinquantaquattro sonetti, pubblicò G. A. Angelucci a Firenze (tip. dell'Ancora, 1819), da un codice già smarrito e ora ritrovato fra gli asburnamiani, e ampiamente illustrato dal prof. E. Rostagno, sicchè la total produzione poetica del Conti è di 206 componimenti.

Lodi della sua donna.

Chi è costei che nostra etade adorna
Di tante meraviglie e di valore,

E in forma umana, in compagnia d'Amore,
Fra noi mortali come Dea soggiorna;

Di senno e di beltà dal ciel si adorna,
Qual spirto ignudo e sciolto d'ogni errore,
E per destin la degna a tanto onore
Natura, che a mirarla pur ritorna?

In lei quel poco lume è tutto accolto
E quel poco splendor, che a' giorni nostri
Sopra noi cade da benigne stelle:

Talchè il Maestro dai stellati chiostri
Sen loda, rimirando nel bel volto,
Che fe' già di sua man cose sì belle.

SAN BERNARDINO (ALBIZZESCHI) DA SIENA.

Nacque l'8 settembre 1380 in Massa Marittima; entrò nel 1402 nell'Ordine de' minori francescani, de' quali ridusse la regola a maggiore osservanza: fu oratore popolare efficacissimo e celebrato; menò vita semplice, e si oppose con molto zelo alla generale corruttela del chiericato, che, principalmente, voleva escluso

1 Vedi V. A. ARULLANI, Dante e G. d. C., in Fanf. d. Domenica, 7 luglio 1901.

2 Nella Rivista delle Bibliot., VII, 1 (1896). Cfr. M. MANCHISI, in Rass. crit. di lett. ital., I (1896), 171.

dagli uffizj pubblici, e con calda parola inveendo contro l'irreligione, il mal costume e le divisioni e parzialità 1 della cittadinanza, contento dell'opera sua modesta ed utile, rinunziò al vescovado di Siena, e al cappello cardinalizio. Mori all'Aquila il 20 maggio 1444 e fu canonizzato nel 1450.*

Di lui restano in latino numerosi scritti: prediche, sermoni, studj biblici. Della sua terza predicazione in Siena nel 1427 ci rimangono le Prediche, piene di vivacità, ricche di bei modi del parlar sanese di quel tempo, e tutte cosparse di esempj, di arguzie e novellette e favole: notevole è che citi qual testo sacro anche la Divina Commedia. Esse furono raccolte e trascritte con un particolar sistema di abbreviatura su tavolette di cera da Benedetto di maestro Bartolommeo senesc, cimatore di panni: le pubblicò ai di nostri Luciano Banchi, e non poche altre ne restano inedite in varie biblioteche.7

[Per la vita, vedi fra le antiche, oltre quella preposta dal B. GIOV. DA CAPISTRANO alle Opera omnia del santo, Venezia, Giunta, 1591, quella di VESPASIANO DA BISTICCI, ediz. Bartoli, pag. 185, e l'inedita finora, di LEON. BENVOGLIENTI, pubbl. negli Analecta Bollandiana, XXI, 53; e, fra le recenti, l'Introduzione del BANCHI alle Prediche; F. DONATI, Notizie su s. B., in Bullett. Senese di st. patria, I, 48; G. SANESI, Docum. relat, a s. B., Pistoia, Bracali, 1895 (riguardante il culto del Santo); P. THUREAUDANGIN. Un prédicateur popul. dans l'Italie de la Renaissance, Paris, Plon, 1896; (cfr. O. BACCI, in Arch. st. ital., S. V, t. XVIII, pag. 415, 1896); A. ALESSIO, Storia di s. B. e del suo tempo, Mondovi, Graziano, 1898. Sulla sua predicazione in varie città, vedi G. MAZZATINTI, S. B. a Gubbio, in Miscell. francescana, n. 5, 1889; D. A. SPAGNOLI, S. B. da S. a Verona ed una sua predica ined., Verona, Franchini, 1900; S. B. a Perugia, in Bollett. umbro di st. patria, VI, 1.- Per l'iconografia, vedi O. SCALVANTI in Rassegna d'Arte, I, 7, e C. CESARI, ibid. 12.]

1 Vedi su questo proposito, specialmente le Prediche X-XII nell'ediz. Banchi.

2 Veggasi la predica XVIII.

3 Vedi L. PASTOR, S. B. da S. e la sua canonizzaz., in Miscell. francesc., V, 3. Vedi O. BACCI, Inventario degli oggetti e libri, lasciati da S. B., Castelfiorentino, Giovannelli, 1895.

* Pred. XXIII, XXXIV. — Vedi sul carattere delle prediche di S. B., 0. BACCI, Le pred. volg. di 8. B. da S. nel 1427, Siena, Lazzeri, 1895; D. RONZONI, L'eloquenza di 8. B. da S., Siena, tip. di s. B., 1899, nonchè F. ZANOTTO, Storia della predicaz. nei secoli della lett. ital., Modena, tip. arcivesc., 1889, e L. MARENCO, L'oratoria sacra ital. nel medio evo, Savona, Ricci, 1900. Vedi anche alcune belle pagine in proposito, di PH. MONNIER, Le Quattrocento, Paris, Perrin, 1901, II, 192.

Le Prediche volgari di s. B. da S., Siena, tip. di s. Bernardino, 1880-88, 3 vol.

7 Vedi la indicazione di quelle a stampa a cura di O. BACCI, in Arch. stor, ital. (S. V, t. XVIII, 1896, pag. 201 e segg.).

Esempio del monaco, del monachetto e dell'asino.1 — Elli fu uno santo padre, el quale essendo ben pratico delle cose del mondo, ed avendo sguardato che in esso non si poteva vívare 2 per niuno modo contra chi voleva detrarre, elli disse a uno suo monachetto: "Figliuolo, viene con meco e tolle el nostro asinello ". El monachetto ubidiente tolse l'asino, e mòntavi su; el fanciulletto andava dietro al santo padre a piei, e passando fralla gente, elli era in uno luogo molto fango. Uno parla e dice: "Doh! guarda colui quanta crudeltà ha a quello monacuccio ch'è à piei e lassalo andare fra tanto fango, e elli va a cavallo!" Come costui udi questa parola, subito ne scese; e come egli n'è scieso, ed elli vi pose su il fanciullo; ed andando poco più oltre, elli andava toccando l'asino dietro per questo fango. E un altro dice: "Doh! guarda stranezza d'uomo, che ha la bestia ed è vecchio e va a piei, e lassa andare a cavallo quello fanciulletto, che non si curerebbe della fadiga nè del fango. Credi che sia pazzia la sua! ed anco potrebbero andare amenduni in su quell'asino, se volessero, e farebbero il meglio". Viene questo santo padre e vi monta su anco lui. E cosi andando più oltre, ed elli fu uno che disse: "Doh! guarda coloro che hanno un asinello, e amenduni vi so' saliti su! Credi che abbino poco caro quell' asinello, chè non sarebbe gran fatto che elli si scorticasse!" Anco udendo questo il santo padre subito ne scese e fecene scendere il fanciulletto, e vanno a piei dietro ognuno, dicendo: arri là. E poco poco andàro oltre, e un altro dice: "Doh! guarda che pazzia è questa di costoro, che hanno l'asino e vanno a piei in tanto fango!" Avendo veduto questo santo padre che in niuno modo si poteva vivare che la gente non mormori, disse al monachetto: "Oltre, torniamo a casa". Ed essendo alla cella, disse il santo padre: "Vien qua, figliuolo mio; hai tu posto mente alla novella dell'asino?" Dice il monachetto: O di che?" "O non hai tu veduto che in ogni modo che noi siamo andati, n'è stato detto male? Se io andai a cavallo e tu a piei, elli ne fu detto male; e che, perchè tu eri fanciullo, io vi dovevo pónare te. Io ne scesi e posivi te, e un altro ne disse anco male essendo su tu, dicendo, che io ch'ero vecchio vi dovevo salire, e tu ch'eri giovano, andare a piei. Anco vi salímo poi amenduni, e tu sai che anco ne dissero male, e che noi savamo crudeli dell' asinello per lo troppo ca

Su quest'apologo, vedi E. Bouvy, Sur une version italienne de la fable « Le meunier, son fils et l'âne, » in Bulletin italien di Bordeaux, II, 97.

2 Forma senese, come più oltre pónare, èssare, agiógnare, gióynare ec. E così sono sanesismi giovano per giovane, suoro per suora, ténare per énere, passare per passere, gattivo per cattivo; non che ponto per punto, onto per unto ec.

3 Tieni per certo ec., perchè non sarebbe un caso strano, impossibile ec. Forma sanese per eravamo.

rico. Anco poi ne scendemo ognuno, e sai che anco ne fu detto male, che la nostra era pazzia andare a piei ed avere l'asino. E però, figliolo mio, impara questo che io ti dirò: sappi che chi sta nel mondo facendo quanto bene egli può fare, ed ingegnisi di farne quanto a lui è possibile, non si può fare che non sia detto mal di lui. E però, figliuol mio, fatti beffe di lui e nol curare, e non avere voglia d'èssare con lui, chè in ogni modo che con lui si sta, sempre si perde, e da lui non esce se non peccato: e però fatti beffe di lui e fa sempre bene e lassa dire chi vuol dire, o male o bene che e'dicano ".- (Dalle Prediche, ec., ediz. cit., I, 172.)

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Il lupo e la volpe. Essendo una volta la volpe in una contrada dove essa faceva molto danno, e' le fu fatto uno lacciuolo cor una gallina in sur un pozzo d'acqua. E venendo la volpe, vidde questa gallina; saglie su al pozzo; ed egli era ordinato, che come ella toccasse la gallina, ogni cosa cadesse nel pozzo. E così l'avvenne. Come ella ciuffò la gallina, subito cadde nel pozzo; e per non affogare, ella entrò nella sechia, ed inesi stava. Advenne che 'l lupo passava, e vidde la volpe caduta giuso, e dissele: "O che vuol dire questo, suoro mia? Oh, tu se si savia e maestra, come se così male capitata?" Dice la volpe: Oh io so pura pura! Ma tu sai che noi siamo d'una condizione, cioè che tu ed io viviamo di rapire; aitiamci insieme, come noi doviamo; doh! io mi ti raccomando che tu m'aiti di quello che tu puoi". Disse il lupo: "Che vuoi ch'io facci?" Dice la volpe: Entra in cotesta secchia vota, e viene quaggiù, e aiutàrami". Dice il lupo: "Hai tu da mangiare nulla?" Dice la volpe: Elli c'è una gallina ". Ed egli, udendo questo, entrò nella secchia, e come elli vi fu dentro, subito per la gravezza a un tratto egli andò in giù, e la volpe che era nell' altra secchia andò in su. Dice il lupo alla volpe: 0, 0, 0, 0, tu te ne vai costassù? Che modi so'i tuoi ? Ella disse: Oh! questo mondo è fatto a scale: chi le scende e chi le sale!"— (Ibid., I, 319.)

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Il leone e le altre bestie. - El lione udi una volta che i frati avevano fatto capitolo, laddove essi si accusavano peccatori de' falli i quali ellino avevano commessi, rendendosene in colpa. Dice el lione: Oh, se i frati fanno capitolo di tutti loro dinanzi al loro maggiore, io che sono il maggiore di tutti gli animali della terra, e so signore di tutti loro, debbo io èssare peggio di loro?" E subito fece comandare il capitolo a tutti gli animali, che venissero dinanzi a lui. E ragunandosi così, elli entrò in una sedia; e come fu dentro, elli fa comandare che tutti si ponessero a sedere intorno a lui. E così sedendo, disse il lione: Io non voglio

1 Ivi, e più oltre quine per quivi.

che noi siamo peggio degli altri in questo. Io voglio che noi facciamo capitolo come fanno i frati, laddove voglio che si dica ogni peccato e male che si fa; però che essendo io el maggiore, voglio saperli. Io ho sentito che molti pericoli so' stati fatti per voi. Io dico a chi tocca. E però voglio che ciascuno dica a me il peccato suo. Venite tutti a me, a uno a uno, accusarvi peccatori di quello che voi avete fatto ". Egli fu detto all'asino che andasse prima: e l'asino andò oltre al lione, e inginocchiossi e disse: "Missere, misericordia!" Dice il lione: "Che hai fatto, che hai fatto? dillo". Dice l'asino: "Missere, io so'd'un contadino, e talvolta egli mi carica e pommi la soma della paglia e menami alla città per venderla: elli è stato talvolta, ch'io ne tollevo un boccone, mentre ch'io andavo, non avvedendosene il mio padrone; e così ho fatto alcuna volta ". Allora, dice il lione: Oh ladro, oh ladro, traditore, malvagio; non pensi tu quanto male tu hai fatto? E quando potrai tu restituire quello che valeva quello che tu hai furato e mangiato?" É subito comandò che quest'asino fusse preso e fussegli dato una grande carica di bastonate: e così fu fatto. Doppo lui andò la capra dinanzi al lione, e similmente si pose ginocchioni, domandando misericordia. Dice il lione: "Che hai fatto tu? Oh di il peccato tuo". La capra dice: "Signore mio, io dico mia colpa, ch'io so' andata talvolta in cotali orti di donne a far danno, e spezialmente in un orto di una vedova, la quale aveva un suo orticello, dove erano molte erbucce odorifare, petorsello, maiorana, serpollino ed anco del basilico; e molte volte feci danno di cotali cavoli, ed anco di cotali arboscellini giovanelli; e tollevo le cime che erano più tènare. E come io feci questo danno a costei, così anco ho fatto in molti orti; e talvolta feci danno per modo, che io non vi lassavo nulla di verde ". Dice il lione: "Doh! io mi so' abbattuto già a due coscenzie molto variate; l'una l'ha tanto sottile, che è troppo; e l'altro l'ha troppo grossa, come fa el ladro dell' asino. Tu ti fai una grande coscienzia di mangiare queste tali erbucce ? Eh! va in buon' ora; va', non te ne fare coscienzia: doh! vattene alla pura, come vo' io. Non bisogna dire di questo peccato; egli è usanza delle capre di fare a questo modo. Tu hai una grande scusa, imperò che tu se' inchinata a far questo. Va', va', ch'io t'assolvo, e non vi pensar più ". Dietro alla capra andò poi la volpe, e posesi in ginocchioni dinanzi al lione. Dice il lione: Or di'i tuoi peccati; che hai tu fatto?" La volpe disse: "Missere, io dico mia colpa, ch'io ho amazzate di molte galline e mangiatole, e talvolta so' entrata al pollaio, ove albergano; e perchè io ho veduto di non poterle agiógnare, ho fatto vista che la mia coda sia un bastone, e ch'io el voglia arrandellare; e perchè elleno hanno creduto che sia bastone, subito spaventate so volate a terra, e allora io so' corsa fra loro, e quante

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