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qua et or là comandavo, aiutavo, e dicevo: O Dio, che con le tue immense virtù risuscitasti dai morti, e glorioso te ne salisti al cielo..." di modo che in un tratto e' s'empiè la mia forma; per la qual cosa io m'inginocchiai e con tutto il cuore ne ringraziai Iddio: dipoi mi volsi a un piatto d'insalata che era quivi in su 'n banchettaccio, et con grande appetito mangiai e bevvi insieme con tutta quella brigata; dipoi me n'andai nel letto sano e lieto, perchè gli era due ore innanzi il giorno, et, come se mai io non avessi auto un male al mondo, così dolcemente mi riposavo. Quella mia buona serva, senza che io le dicessi nulla, mi aveva provvisto d'un grasso capponcello; di modo che quando io mi levai del letto, che era vicino all'ora del desinare, la mi si fece incontro lietamente, dicendo: "Oh, è questo uomo quello che si sentiva morire? io credo che quelle pugna e calci che voi davi a noi stanotte passata, quando vi eri così infuriato, che con quel diabolico furore che voi mostravi d'avere, quella vostra tanto smisurata febbre, forse spaventata che voi non dessi ancora a lei, si cacciò a fuggire." Et così tutta la mia povera famigliuola rimossa da tanto spavento et da tante smisurate fatiche, in un tratto si mandò a ricomperare, in cambio di quei piatti e scodelle di stagno, tante stoviglie di terra, et tutti lietamente desinammo, che mai non mi ricordo in tempo di mia vita nè desinare con maggior letizia nè con miglior appetito.

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Dopo l desinare mi vennono a trovare tutti quegli che mi avevano aiutato, i quali lietamente si rallegravano, ringraziando Iddio di tutto quel che era occorso, et dicevano che avevano imparato et veduto fare cose, le quali eran dagli altri maestri tenute impossibili. Ancora io alquanto baldanzoso, parendomi d'essere un poco saccente, me ne gloriavo; et messomi mano alla mia borsa, tutti pagai et contentai. (Dall' ediz. citata ad uso delle scuole, per cura di ORAZIO BACCI.)

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ANTON FRANCESCO GRAZZINI DETTO IL LASCA.

Nacque in Firenze ai 22 marzo del 1503 da Ser Grazzino d'Antonio e Lucrezia de' Santi, di famiglia oriunda di Staggia in Valdelsa. Qualche studio dovette pur fare, e anche di lettere latine; fu poi speziale e tenne la farmacia del Saracino al Canto alla

Manca la conclusione a questa preghiera, che poteva essere: aiutami nell'opera mia, o altra simile; ma la mancanza esprime perfettamente l'effetto immediato dell' invocazione che non fu nemmeno compiuta.

2 Il che duplicato intralcia il periodo il cui schema ha io credo che quelle pugna devia alla nuova proposizione aggettiva che... quella vostra tanto smisurata febbre... si cacciò a fuggire.

3 Idiotismo per davate, come poco dopo eri per eravate.

paglia. Fu uno dei fondatori nel 1540 dell' Accademia degli Umidi promossa da Giovanni Mazzuoli detto lo Stradino, prendendovi il nome di Lasca. Quest' accademia si disse poi Fiorentina ed egli vi ebbe vari ufficj; ne fu poi escluso nel 1547 per sue bizzarrie, ma riammesso nel 1566. Nel 1582 con alcuni amici suoi, ai quali si aggiunse Lionardo Salviati, fondò l'Accademia detta della Crusca, nella quale, a significare lo scopo di separare nella lingua la farina dalla semola, furono scelti nomi accademici, imprese e motti, allusivi più o meno al frumento: e perchè, come ei disse, le lasche non si friggono senza infarinarle, il Grazzini volle mantenersi l'antico nome di Lasca. Rimase celibe, e alternando il soggiorno in città con gli svaghi campagnoli, visse sempre fra dotte e allegre brigate,' e in buone relazioni colla famiglia ducale. Morì in Firenze il 18 febbraio 1584 (st. com.), e fu sepolto nella chiesa di San Pier Maggiore.

Scrisse Rime petrarchesche, spirituali, pastorali, egloghe: da ricordare soprattutto le burlesche, e cioè: sonetti, canzoni, canzoni a ballo, canti carnascialeschi, madrigali, madrigaloni, madrigalesse, ottave, capitoli,3 epitaffj, la maggior parte delle quali edite dopo morto l'autore. Per queste rime, importanti spesso anche come saggi di satira letteraria, quali quelle contro la congrega Aramea, cui accennammo nelle biografie del Gelli e del Giambullari, non che per la storia del costume, il Grazzini può ben chiamarsi il migliore erede della maniera del Berni, del quale ha minor finezza, ma scioltezza maggiore nel verseggiare: l'uno accostandosi più al fare classico, l' altro al popolare. Rimangono inoltre alcuni poemetti burleschi in ottave, scritti fra il 1547 e il 1548: la Guerra de' mostri, della quale abbiamo solo il primo canto, e la Nanea: alcuni gli attribuiscono anche la Gigantea.

In prosa compose: le Cene, cominciate già a scrivere circa il 1540, novelle raccontate in tre sere da cinque giovani e cinque donne in una casa vicina a Firenze, nel carnevale. Oltre l'Introduzione al novellare, ci restano compiute la prima e la seconda Cena; della terza due novelle: in tutto, ventidue. Sono racconti di burle,

1 Vedi O. DINI, Il Lasca tra gli accademici, Pisa, tip. Mariotti, 1896. 2 Vedi Le rime burlesche edite e inedite di A. F. G. detto il Lasca, per cura di CARLO VERZONE, Firenze, Sansoni, 1882.

3 Un Capitolo su Castelfiorentino fu riprodotto con illustrazioni da O. BACCI, in Ricordi storici di C., Castelfiorentino, tip. Giovannelli, 1895.

La prima Cena fu stampata a Firenze, 1743, Stambul, dell'egira 122; tutte in Londra, 1756, e ora da CARLO VERZONE, Firenze, Sansoni, 1890.La Giulleria, novella attribuita al Lasca, pubblicata a Londra nel 1765, fu riprodotta a cura di G. GARGANI presso il libraio Agostini di Firenze, nel 1861, colla data falsa di Parigi: ma niuna certezza abbiamo circa la sua autenticità. Furono nel 1868 pubblicate come del Nostro tre Novelle a Perugia, tip. Boncompagni, da A. Rossi: ma certamente non sono sue. Una breve Novella inedita, senza però indicarne la provenienza, mise a stampa F. BARIOLA, Firenze, tip. Carnesecchi, 1887.

molto usate allora, a pedanti, a preti; d'avventure strane, anche tragiche, od amorose, e ci danno un quadro assai vivo della vita fiorentina di quel tempo. La lingua schietta e lo stile assai efficace e semplice, fanno del Lasca uno dei più singolari novellatori del Cinquecento.

Le Commedie del Grazzini, composte tutte prima del 1566, sono: la Gelosia composta e rappresentata nel 1550 (Firenze, Giunti, 1551); la Spiritata (Firenze, Giunti, 1561); la Strega ovvero la Taddea, di cui il prologo fu scritto nel 1582; la Sibilla ovvero la Medaglia; la Pinzochera; i Parentadi: tutt'e sei stampate in Firenze dai Giunti nel 1582. Non gli si può attribuire con tutta sicurezza l'Arzigogolo, dove un episodio principale, forse desunto dalla tradizione orale e viva, ricorda il soggetto della celebre farsa francese di Mastro Patelin. Di tre brevi lavori drammatici da lui composti sotto il nome di farse, si è conservato il Frate, che è la Commedia senza titolo già attribuita al Machiavelli:1 di quattro drammi spirituali ci è noto soltanto il nome. Nelle commedie, pur sostenendo che non si dovevano imitare servilmente gli antichi, specie« negli sciocchi e impossibili ritrovamenti », pur non se ne guardò, e nei Parentadi ce ne sono ben quattro: ma si può dire che, sebbene il carattere di quelle sia in sostanza sempre il classico e tradizionale nè poche ne sieno le imitazioni o rassomiglianze con altre del tempo, pur tuttavia il Lasca con quel suo libero ingegno non si mostra privo di originalità ne' particolari, e nel modo in genere di riprodurre l'antico, superando i suoi coetanei nella spontanea grazia e festività della forma. anche una Lezione di maestro Niccodemo dalla pietra al migliaio, - In prosa abbiamo nella quale commentò il suo Capitolo della salsiccia: quattro Orazioni alla croce e qualche altra minore scrittura, fra le quali una descrizione in lettera dell'inondazione di Firenze del 1547. Il Grazzini curò la stampa del primo (Firenze, B. Giunta, 1548) e forse del secondo libro (1555) delle Opere burlesche del Berni, del Della Casa ec.; dei Sonetti alla burchiellesca del Burchiello e di Antonio Alamanni (Firenze, Giunti, 1552 e 1558), de' Trionfi, carri e mascherate ossia de' Canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico al 1559 (Firenze, Torrentino, 1559), per la quale stampa ebbe fiera controversia con Paolo dell' Ottonaio.

[Vedasi la Vita del Lasca scritta da A. M. BISCIONI in Le Cene ed altre prose di A. F. G., pubblicate da PIETRO FANFANI, Firenze, F. Le Monnier, 1857; sul G. come scrittore, vedi G. B. MAGRINI, Di A. F. Grazzini detto il Lasca e delle sue opere in prosa e in rima,

1 Vedi C. ARLIA, Una farsa del Lasca attribuita al Machiavelli, in Bibliofilo, VIII, 5.

Pubblicata da G. E. SALTINI, in Borghini, III (1865), 34. Una Lezione sopra un sonetto del Petrarca, fu recentemente edita da G. GENTILE, Castelvetrano, Lentini, 1898.

Imola, Galeati, 1879, e G. GENTILE, Delle commedie di A. F. G. detto il Lasca, Pisa, Nistri, 1896. Seguiamo per le rime e le novelle le edizioni cit. del Verzone, Firenze, G. C. Sansoni, 1882; per le commedie, e quella del Fanfani, Firenze, F. Le Monnier, 1859.]

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Dialogo fra il Prologo e l'Argomento per introduzione alla Commedia « La Strega. » Questi escono fuori insieme, uno da un capo uno dall'altro della scena, e favellano a un tratto, fingendo di non si vedere e non si udire.

Prologo. Dio vi salvi, onoratissimi spettatori. Argomento. Buon giorno vi dia Dio, uditori nobilissimi. Prologo. Qui semo per recitarvi.... Argomento. Bonifazio cittadino fiorentino.... Prologo. Chi è costui sì mal creato? Argomento. Che vuol questo insolente di qua? Prologo. Chi sei tu, olà, e che vai cercando? Argomento. E tu, che fai qui, e come ti domandi? Prologo. Sono il Prologo, e vengo a recitarlo a questi generosi gentiluomini. Argomento. E io son l'Argomento, e vengo a farlo a queste belle e valorose donne. Prologo. Non sai tu che 'l Prologo va sempre innanzi alla Comedia? Però vattene dentro, e lascia prima dir a me. Argomento. Vattene dentro tu, che non servi a niente, e lasciami far l'ufizio mio. Prologo. Tu fosti sempre mai odioso e rincrescevole. Argomento. E tu villano e presuntuoso. Prologo. Se io ho questo privilegio e questa maggioranza, perchè vuoi tu tòrmela? Argomento. Tu l'hai anco senza ragione, non avendo a far nulla con la comedia, e si può fare agevolmente senza te; e fusti aggiunto alle comedie, non già per bisogno che elle n'avessino, ma per comodo del componitore, o di colui o di coloro che le facevano recitare; e non sei buono se non a scusargli;1 ma senza me non si può fare in modo niuno. Prologo. E però, non sendo io necessario, e per conseguente chiamato e introdotto sempre nelle scene, è segno che io sono molto caro, e piaccio sommamente alle persone; e poi, per dirne il vero, la maggior parte delle comedie, e massimamente moderne, fa anche senza te; che non ti paressi essere il bel messere, perciocchè nelle prime scene del primo atto s'introducono dai componitori migliori alcuni personaggi, che, per via di ragionamento, aprono e manifestano agli uditori tutto quello che è seguito innanzi, e parte di quello che deve seguir dopo nella comedia: e questa è appunto una di quelle comedie che séguita l'ordine che io t'ho detto. Argomento. Dunque noi potevamo far senza venirci? Prologo. Sì, tu; ma io bisogna pur che dica a questi cortesissimi ascoltatori il nome della scena, della comedia e di chi 'ha composta. Argomento. Se tu non ci hai altro che fare, tu potevi rimanerti a casa. Primieramente la scena si co

A far le lor veci; o meglio a far le loro scuse e difese.

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nosce benissimo esser Firenze; non vedi tu la Cupola, bue! edifizio che di grandezza, d'altezza, di bellezza e di maestà avanza e passa quanti ne sono oggi nell'universo? Sapere o non sapere il nome dell'autore non importa niente; sì che tu potevi anche tu fare senza capitarci. Prologo. Non è egli ben fatto coll'esaltare e magnificare gli uditori, umiliandoci e abbassando noi, rendergli benevoli e discreti? Argomento. Poco importa o niente. Prologo. E chiedendo loro grato e riposato silenzio, farcegli mansueti e attenti? Argomento. Tutti sono panni caldi; altro bisogna. Prologo. Che diavol bisogna? Argomento. Bisogna che la comedia sia allegra, capricciosa, arguta, ridicola, bella e ben recitata. Prologo. Dove sono oggi queste comedie cosi fatte? e questi buoni strioni? Argomento. Bisogna saperli trovare, e conoscere i recitanti; e questo consiste nel dar le commissioni a uomini pratichi, intendenti e giudiciosi. Prologo. Orsù, vedrem come questa riuscirà. Argomento, Questa non è fatta da principi, nè da signori, nè in palazzi ducali e signorili; e però non arà quella pompa d'apparato, di prospettiva e d'intermedj che ad alcune altre nei tempi nostri s'è veduto; nè anco si può comandar alli strioni, sendo fatta da persone private, da una compagnia di giovani onorati e amatori delle virtù. Prologo. Che vuoi tu inferire per questo? Argomento. Voglio inferire, che ella ha bisogno in questa parte d'essere scusata. Prologo. Anzi merita commendazione, perchè non sta bene, non è lecito, e non si conviene che i sudditi e i vassalli competino e gareggino coi principi, e coi signori e padroni. Argomento. E così pare a me; anzi dico che a le comedie poco belle e poco buone interviene come a certe donne attempate e brutte, che quanto più si sforzano, vestendosi di seta e d'oro, e con ghirlande e vezzi di perle, e ornandosi, lisciandosi, e stribbiandosi il volto, di parer giovane e belle, tanto più si dimostrano a gli occhi dei risguardanti vecchie e sozze. Prologo. Non è dubbio che la ricchezza e la bellezza degl'intermedj, i quali rappresentano per lo più muse, ninfe, amori, dèi, eroi e semidei, offuscano e fanno parer povera e brutta la comedia. Argomento. E di che sorte! veggendosi poi comparirvi in scena un vecchio, un parasito, un servidore, una vedova e una fantesca; bella convenevolezza! Prologo. Che vuoi tu fare? il mondo va oggi così: bisogna accomolarsi all'usanza. Argomento. Un'usanza da dirle voi! Già si solevon fare gl'intermedj che servissero alle comedie; ma ora si fanno le comedie che servono agl'intermedj: che ne di' tu? Prologo. Intendola come

1 Cose superflue, inutili; ora direbbesi: pannicelli caldi.

2 Strusciandosi, tormentandosi.

30 come ora direbbesi: alla moda.

Da darle del voi, per rispetto: detto ironicamente.

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