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ne ho potuto giógnare, tante n'ho amazzate; e mangiavo quelle che io potevo, e l'avanzo lassavo stare morte, benchè talvolta io me ne portavo una o più ". Dice il lione: Oh, tu hai quanta coscienzia! Va', in buon'ora, va'!egli è naturale a te tutto questo che tu fai; io non te ne do già niuna penitenzia e non te lo imputo già in peccato: anco ti dico che tu facci valentemente nel modo che tu hai fatto, e non t'incresca se non di quelle che rimangano ". E partita costei, v' andò poi il lupo e disse: Signor mio, io so' andato talvolta a torno alla mandria delle pecore, vedendo com'ella sta. Tu sai che la rete è alta intorno intorno, e io ho posto mente il luogo dove e più agevolmente io possa entrare; e come io ho trovato il luogo, e io so' andato per un legno, che io pensi che sia grave quant' una pecora, e provo com io possa entrare e uscire con esso; e questo fo per non èssare sopraggionto da' cani. E come io ho fatto questo, e io entro dentro, piano quanto io ho potuto, col peso del bastone; e subito ho ammazzate più pecore, ch' io non ho avuto bisogno, e sommene venuto cor una in collo ". Dice il lione : Oh questa è l'altra coscienzia sottile! Sai che ti rispondo? Non te ne far mai coscienzia di tali cose; vae fa gagliardamente da ora in là, senza pensiero niuno di me ". E così partito il lupo, v' andò la pecora, e andò col capo basso, dicendo: "Be, be ". Dice il lione: "Che hai fatto, madonna ipocrita? Ella risponde: "Missere, in so' talvolta passata per le vie, al lato dove so' seminate le biade, e so' talvolta salita alla macchia, e vedendo quell'erbuccine verdi e tenaruccie, io n' ho tolti cotali bocconcelli; non l'ho già cavate, ma holle svettate di sopra, sopra quello tenaruccio". Allora dice il lione: "Oh maladetta ladra, ladra traditrice, sicchè tu hai fatto cotanto male? E vai dicendo sempre be, be, e rubbi in sulla strada? oh maladetta ladra, quanto male hai fatto! Oltre: datele dimolte bastonate; tanto ne le date, che voi la rompiate tutta quanta, e fate che voi la teniate tre di senza mangiare niuna cosa ". Oh, e' c'è quanto sale in questa novella! Hammi inteso? Corbo con corbo non si cava mai occhio.... Lupo e lupo non si mangiano insieme, ma mangiano l'altrui carni. E però vi dico: O tu che reggi, non bastonare l'asino e la capra per una piccola cosa, e non commendare il lupo e la volpe per lo fallo grande. (Ibid., II, 29.)

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Il governo della donna. E però ti dico che è meglio pigliar moglie; e poi che l'hai, fa' che tu viva come die fare ogni fedel cristiano. Sai chi l sa? Sallo colui che l'ha, e buona massaia, la quale sempre procura3 a tutta la casa.

1 Ho preso proprio la parte somma, la vetta più alta, senza nè sbarbare le erbe nè intaccare il gambo tenero. 3 Provvede, opera in vantaggio, ec.

2 Deve.

Ella ha cura al granaio; ella il tiene netto, che non vi possa andare niuna bruttura; ella conserva i coppi dell'olio, ponendo mente: questo è dá logorare, e questo è da serbare. Ella il governa si che non vi possa cadere nulla su, e che non v'entri nè cane, nè altra bestia. Ella pon mente in ogni modo che ella sa o può, che eglino non si versino. Ella governa la carne insalata, si al salarla, e si poi al conservarla. Ella la spazza e procura: questa è da vendare, questa è da serbare. Ella fa filare, e poi fa fare la tela del pannolino. Ella vende la sembola, e de' denari riscuote la tela. Ella pone mente alle botti del vino; se ella vi trova rotte le cerchia, o se elle versano in niuno luogo. Ella procura a tutta la casa. Non fa così la fantesca, sai; che d'ogni cosa che ella tramena,1 ella ne fura. Ella non procura alle cose, come elleno si vadano; che, perchè la robba non è sua, non vi dura fatiga volentieri, e non v'ha troppo amore. E se uno si sta, e non ha nè moglie nè persona che 'l governi, sai come sta la casa? Oh? io te l vo' dire, perché io il so. Se egli è ricco e ha del grano, le pássare sel mangiano, e' topi. Egli nol tiene assettato, ma porrallo isparto per modo che tutta la casa se ne imbratta. Se egli ha l'olio, perchè non vi procura, egli si versa; quando si rompono i coppi; e se n'è versato, egli vi pone su una poca di terra, ed è fatto. El vino? Finalmente giógne alla botte, attegne 2 il vino e non pensa più là: talvolta la botte mostrarà dal lato dietro, e il vino se ne va. Simile, romparassi uno cerchio o due, e egli il lassa andare; simile, qual vino si fa aceto, e qual si fa cercone." A letto, sai come sta a dormire? Egli dorme in una fossa, e come egli ha messo il lenzuolo nel letto, mai non nel cava se non si rompe. Similmente, ne la sala dove egli mangia, quine in terra so' búcciche di poponi, ossia, nettatura d'insalata: ogni cosa lassa ine in terra senza mai appena spazzarvi. La tavola sai come sta? Che in tal ponto vi pone su la tovaglia, che mai non se ne leva, se non fracida. E' taglieri li forbe un poco poco; e 'l can li lecca e li lava. E' pignatti tutti ónti: va', mira come stanno! Sai come egli vive? Come una bestia. Io dico che non potrebbe mai stare bene a stare solo a quel modo. Donne col capo basso.* La donna è quella che sa governare la casa: d'ogni altra cosa si fa beffe; chè mai non potresti vivare bene in tal modo come tu vivi. (Ibid., II, 118.)

1 D'ogni cosa che tocca, su cui mette le mani.

2 Attinge.

3 Piglia la punta.

Ammonimento non privo di malizia fatto alle ascoltatrici, che non s'insuperbiscano.

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LEONARDO GIUSTINIANI.

Nacque, probabilmente nel 1388, in Venezia, di nobil famiglia, e suo maggior fratello fu Lorenzo, patriarca in patria, poi beatificato. Nel 1420 ebbe l'uffizio di Avogador del Comune, nel '32 di Luogotenente nel Friuli, nel '43 di Procuratore di San Marco. Mori ai 10 novembre 1446.

Esperto di lettere classiche, studiate col Guarino,' tradusse in latino dal greco parecchie vite di Plutarco; e tanto seppe del primo, da poter in esso, insieme con Francesco Barbaro, salutare l'imperatore Giovanni Paleologo al suo giungere in Venezia. In latino disse in pubblico l'orazione funebre di Carlo Zeno, e in versi latini pianse la morte di Vittorino da Feltre. Fu in relazione personale o epistolare con dotti umanisti, come il Filelfo, col quale poi si guastò, e Ciriaco d'Ancona, e con pii personaggi, come san Bernardino, e il Traversari, ch' era insieme dotto e pio. In gioventù, esemplando le forme popolari, compose Strambotti e Canzonette, cui egli stesso adattava note musicali. Ma nell'età più avanzata (1429?) e specialmente per le esortazioni del fratello, abbandonato il poetare profano ed erotico, si diè tutto a comporre Laudi spirituali, che ebbero notorietà anche in Toscana.

Lo Strambotto, derivante a parer nostro dall'ottava siciliana,2 fu nel sec. XV trasportato dal contado nelle città, e dai trivj nei palazzi e nelle Corti, diventando forma gradita di poesia nei galanti ritrovi, dove, improvvisata da vero o per finta, la parola poetica si accompagnava col canto e col suono della lira o della viola. Coltivato in Firenze dalla clientela borghese del Magnifico, serbò lo Strambotto o Rispetto, come anche chiamavasi, presso il Poliziano ed altri minori un certo sentore dell' origine sua, che invece si attenuò nelle Corti feudali e militari dei Signorotti di altre parti d'Italia, come può notarsi presso Serafino dell'Aquila ed i suoi seguaci. Gli Strambotti del Giustiniani non si discostano invece molto dai modelli popolari, diffusi già in tutta la Penisola; anzi talvolta hanno comuni con quelli immagini, concetti e versi, così da lasciar dubbiosi se egli abbia usurpato forme già note, o il popolo abbia fatto suoi i componimenti di un poeta, che aveva così bene saputo interpetrarlo.

La brevità del componimento dovette costringere il Giustiniani a serbarsi fedele al tipo originale, conservandogli anche le forme più comuni dell'idioma; ma nelle Canzonette egli si senti

1 Vedi R. SABBADINI, Sugli studi volgari di L. G., in Giorn. stor. d. lett. ital., X, 363.

* Vedi A. D'ANCONA, La poesia popol. ital., Livorno, Vigo, 1878, pag. 323. E per altre opinioni, cfr. T. ORTOLANI, Studio riassuntivo sullo strambotto, Feltre, tip. P. Castaldi, 1898.

maggiormente a suo agio e sdegnò la temperanza, osservata da Lorenzo, dal Poliziano, e in genere dai toscani, nella consimile forma della Canzone a ballo o Ballatetta. Egli ripete, allunga, annacqua, e usa, abusa del suo nativo dialetto, sicchè le sue composizioni improntate a forme personali e locali, diedero origine al genere chiamato Odi Giustinianee o veneziane. Per ciò, sebbene scritte da un autore che sapeva di lettere classiche, le Canzonette del Giustiniani hanno forme del tutto plebee, e, quanto alla forma idiomatica, si direbbe che l'autore abbia voluto espressamente contrapporre la Canzonetta della laguna a quella sorta nelle valli e nei colli toscani, e quasi impedirne la diffusione nel Veneto.

È tuttavia un desiderio una edizione degli Strambotti del Giustiniani, che sceveri gli autentici dagli apocrifi, e una pure delle Canzonette, che ce ne offra la vera ed originale forma.

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[Per la biografia, vedi G.DEGLI AGOSTINI, Notizie storico-critiche degli Scrittori viniziani, Venezia, Occhi, 1752, I, 135. — Per gli Strambotti, vedi le notizie bibliografiche sulle più antiche edizioni, di A. TESSIER nello scritto di A. D'ANCONA, Strambotti di L. G., in Giorn. di filolog. romanza, II (1879), 179, che ne riprodusse e illustrò ventisette. Altri ne pubblicò T. ORTOLANI, Appunti su L. G. con l'Appendice di ventiquattro nuovi Strambotti, Feltre, tip. Panfilo Castaldi, 1896, ma essi sono per la più parte apocrifi (ctr. Nuova Antol., 16 aprile 1897, pag 756). Per le Canzonette, ved. l'ediz. delle Poesie edite ed ined. di L. G. per cura di B. WIESE, Bologna, Romagnoli, 1883. Il Wiese già aveva dato notizia della sua pubblicazione nel Giorn. di filolog. romanza, IV, 144, e seguitò ad occuparsi del G. in questi altri scritti: Neunzehn Lieder L. G.'s nach der alten Drucken, Ludwiglust, 1885; Einige Dichtungen L. G.'s, in Miscellanea Caix-Canello, Firenze, Succ. Le Monnier, 1886, pag. 191; e Zu den Liedern L. G., in Zeitschr. f. roman. Philol., XVII (1893), 256, e Handschriftsliches, Halle, 1894. Sulla stampa bolognese, vedi T. CASINI, in Riv. crit. d. letterat. ital., I (1884), pag. 83, che ha anche notizie sulla metrica giustinianea, e E. LAMMA, Int. ad alcune rime di L. G. (in Giorn. st. d. lett. ital., X, 372), che reca tre canzonette di su un cod. bolognese. Altri codd. furono additati e altre Canzonette pubblicate da S. MORPURGO, Canzonette e Stramb. in un cod. veneto del sec. XV (in S. FERRARI, Bibliot. di letterat. popol. ital., Firenze, tip. del Vocabolario, 1885, vol. II); da G. MAZZONI, Rime profane di un ms. del sec. XV, Padova, Randi, 1891, e da M. VATASSO, in Giorn. stor. d. lett. ilal., XL, 102.]

Strambotti amorosi.

Sia benedetto il giorno che nascesti,
E l'ora el punto che fusti creata!
Sia benedetto il latte che bevesti,
E il fonte dove fusti battezzata !
Sia benedetto il letto ove giacesti,
E la tua madre che t'ha nutricata!
Sia benedetta tu sempre da Dio;
Quando farai contento lo cor mio?

Dio ti dia bona sera! son venuto,
Gentil madonna, a veder come stai,
E di bon core a te mando il saluto,
Di miglior voglia che facessi mai.
Tu se colei che sempre m'hai tenuto
In questo mondo innamorato assai;
Tu se colei per cui vado cantando,
E giorno e notte mi vo consumando.

Non ti ricordi quando mi dicevi
Che tu m'amavi si perfettamente?
Se stavi un giorno che non mi vedevi
Con gli occhi mi cercavi fra la gente,
E risguardando stu non mi vedevi
Dentro de lo tuo cor stavi dolente.
E mo`mi vedi, e par non mi conosci
Come tuo servo stato mai non fossi.1

DOMENICO DI GIOVANNI DETTO IL BURCHIELLO.

Nacque nel 1404 a Firenze, figlio di un povero falegname. Burchiello fu soprannome del quale ci sfugge l'origine e il significato preciso; si chiamò propriamente Domenico di Giovanni. Nel 1427 era garzone presso un barbiere nel Corso degli Adimari, oggi Via Calzaiuoli: più tardi, probabilmente nel 1432, quando si scrisse a matricola nell'Arte dei medici e degli speziali, mise su bottega di barbiere nella strada di Calimala; nella retrostanza forse operava come flebotomo. Vuole la tradizione, che presso di lui convenisse una lieta brigata di letterati e d'artisti, tra'quali Leon Battista Alberti e Giovanni Acquettini da Prato. Ma divenuto fautore degli Albizzi, come apparisce da alcuni suoi vigo

1 Per i raffronti fra questi strambotti e la poesia popolare vedi le illustrazioni di A. D'ANCONA, loco cit., e F. SABATINI, Alenni Stramb, di L. G. conservati nella tradiz. popol., Roma, tip. di Roma, 1880.

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